Operazione Helianthus, Cassazione conferma la custodia cautelare per due indagati. Gestivano il racket delle slot e le corse clandestine

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione conferma i provvedimenti di custodia cautelare in carcere disposti nei confronti di due affiliati del clan Labate-Ti Mangiu, coinvolti nell’operazione Helianthus dello scorso gennaio. La cosca controllava il quartiere Gebbione di Reggio Calabria, lucrando inizialmente con il racket delle estorsioni, ma poi aveva iniziato a gestire anche altri business come quelli dell’azzardo e delle corse clandestine. Nonostante i vertici siano stati arrestati da tempo – Pietro Labate è in carcere fin dal 2013 – le indagini hanno accertato che “la cosca avesse mantenuto inalterato il proprio potere criminale nel territorio di competenza, coltivando e perpetuando i rapporti e le alleanze con gli storici sodalizi di ‘ndrangheta, dimostrando un interesse dinamico verso “nuovi” settori illeciti (come quello del betting e delle slot machine) e conservando intatto il proprio prestigio criminale in relazione alle attività costituenti tipica espressione dello strapotere mafioso del gruppo, rappresentate dal sistematico ricorso all’estorsione in danno di imprenditori e commercianti e dallo sfruttamento delle corse clandestine di cavalli”. Riferendosi alle corse in particolare, la Cassazione ricorda che rappresentavano “storicamente una lucrosa attività dei Labate, per come accertato nei processi Larice e Gebbione; le corse clandestine di cavalli, oltre che fonte di introiti illeciti connessi alle scommesse, integravano una delle più eclatanti manifestazioni del prestigio criminale e del controllo mafioso dei territorio”. La Suprema Corte, poi, evidenzia che uno degli imputarti in particolare ha avuto un ruolo di primo piano nella gestione delle corse: “in un arco temporale circoscritto a pochi mesi e senza la formale imputazione di reati-fine”, è stato infatti “coinvolto appieno negli affari illeciti del gruppo (ad es., nel settore delle corse clandestine dei cavalli)” e ha “intessuto ripetuti rapporti di intermediazione fra il boss in detenzione domiciliare e altri sodali o terzi interessati alle corse clandestine”. lp/AGIMEG