La Corte di Cassazione respinge un nuovo ricorso – contro un’ordinanza di custodia cautelare – intentato da un soggetto coinvolto nell’inchiesta Gaming Machine condotta dalla Guardia di Finanza lo scorso gennaio. L’operazione ha portato all’arresto di 27 persone e al sequestro di beni per 7,5 milioni di euro. La vicenda ruota attorno ai legami che un imprenditore barese – attivo nell’istallazione delle slot – aveva stretto con alcuni clan locali per assumere il controllo del mercato. Il ricorso odierno è stato intentato appunto da uno dei vertici del clan Capriati, secondo l’accusa avrebbe percepito “una somma periodica per la collocazione, da parte dell’imprenditore (…) di slot machine presso pubblici esercizi insistenti nel territorio di influenza del predetto clan”. La Cassazione sottolinea che le indagini della GdF hanno consentito di appurare che “alla società di noleggio fosse riferibile pressoché la totalità delle slot machine presenti nei vari esercizi commerciali del territorio di Bari”. E questo – come hanno confermato diversi collaboratori di giustizia e alcuni commercianti costretti a istallare le macchinette – era “la conseguenza di un accordo intercorso tra l’imprenditore, nipote di un noto esponente di spicco della criminalità barese (detenuto all’epoca dei fatti) ed esponenti dei sodalizi criminosi egemoni sul territorio di Bari”. I pagamenti periodici che l’imprenditore effettuava non possono che essere quindi che “l’aggio dovuto ai diversi clan”. lp/AGIMEG