Scommesse: la scelta “politica” per un mercato con pochi grandi concessionari o aperto anche alle piccole e medie imprese

Anche il DEF 2021 (come il DEF dello scorso anno) prevede, tra i disegni di legge collegati alla decisione di bilancio, un “D.D.L. riordino settore dei giochi”. In precedenti interventi si è già detto che il riordino del comparto richiede, prima di tutto, una robusta proroga delle concessioni in essere, alcune delle quali di prossima scadenza.

In tal modo, si darebbe un po’ di respiro agli operatori, provati dalla chiusura forzata causa COVID, e si consentirebbe al legislatore di avere a disposizione il tempo necessario per la riscrittura delle norme di base ed applicative che dovranno regolare il settore per i prossimi anni.

In secondo luogo, vanno ripensati alcuni istituti fondamentali, come le concessioni, oggi previste per tipologia di gioco e che potrebbero essere sviluppate in concessioni multigioco per punti vendita.

Un aspetto di notevole rilevanza, perché in grado di orientare “dirigisticamente” il mercato, è quello che riguarda eventuali limiti di concentrazione e/o un numero massimo o minimo di diritti da assegnare a ciascun soggetto aggiudicatario.

Si tratta di una previsione apparentemente “tecnica” ma con rilevanti effetti sulle attività economiche e, quindi, sul mercato di riferimento.

Attualmente, gli unici comparti in cui sono previsti limiti di concentrazione “massimi” sono quelli degli apparecchi da intrattenimento e del Bingo.

Quanto agli apparecchi, l’art. 17, paragrafo 2, dell’atto di convenzione per la gestione telematica del gioco prevede che il numero massimo di apparecchi di gioco AWP installabili per ciascun concessionario (qualora i concessionari siano otto o più di otto, com’è oggi) “non può essere superiore al venticinque per cento del numero totale di apparecchi di gioco AWP collegati alla rete telematica”.

Analogamente, il par. 4 dello stesso art. 17 stabilisce che il numero massimo di apparecchi VLT in carico a ciascun singolo concessionario “non può superare l’indice di concentrazione del venticinque per cento del totale degli apparecchi videoterminali per i quali sia stata rilasciata apposita autorizzazione”.

Tali previsioni consentono di predeterminare un numero minimo di concessionari, che non può essere inferiore a quattro.

Per quanto riguarda le sale Bingo, l’art. 9 del D.M. 21 novembre 2000 (recante “Approvazione della convenzione tipo per l’affidamento in concessione della gestione del gioco del «Bingo»”) prevede che “Qualora nel corso dell’esecuzione della presente convenzione, il concessionario, direttamente oppure attraverso soggetti controllati o collegati, acquisti la titolarità di un numero di concessioni superiore al dieci per cento nell’àmbito nazionale e al cinquanta per cento nell’àmbito regionale, l’Amministrazione procederà alla revoca delle concessioni eccedenti la percentuale massima consentita” (norma, peraltro, di difficile lettura, in quanto manca l’oggetto di riferimento: 10 per cento di cosa? Delle sale previste originariamente dal Bando? Delle sale aggiudicate? Delle sale esistenti?).

In tal caso, il numero minimo di concessionari previsto dalla norma è di dieci.

Le due previsioni citate hanno impedito che uno o due concessionari monopolizzassero il mercato e hanno consentito la contemporanea presenza di concessionari “grandi imprese” e concessionari di minima dimensione.

La circostanza che limiti di concentrazione siano previsti solo con riguardo a due tipologie di gioco e non esistano, per esempio, per il settore delle Scommesse o del gioco a distanza, fa dubitare circa la legittimità o la valenza attuale di tali previsioni, tenuto conto che l’ordinamento comunque prevede una specifica disciplina sull’abuso di posizione dominante.

Peraltro, in occasione della (allora prossima) Gara Scommesse (2016), l’Autorità garante della concorrenza e del mercato si era espressa nel senso di ritenere non ammissibile fissare limiti di concentrazione.

Del resto, secondo la Comunicazione della Commissione UE 2009/C-45/02 del 24.2.2009, “è improbabile che l’impresa goda di una posizione dominante se la sua quota di mercato è inferiore al 40% sul mercato rilevante”.

Quanto precede, induce a ritenere che norme che prevedano limiti di concentrazione più limitativi di quelli rilevanti ai fini dell’abuso di posizione dominante siano scarsamente utili al mercato del gioco.

Diverso è il discorso sui limiti “minimi” di concentrazione (barriera di ingresso), in quanto la loro previsione favorirebbe i concessionari di grandi dimensioni a scapito dei piccoli, con propensione, quindi, verso un mercato oligopolistico (presenza di poche imprese).

Come dicevamo, si tratta di una previsione solo apparentemente tecnica, in quanto, in realtà, richiede una decisa “scelta” politica carica di effetti a cascata.

Una tentativo di regolare il mercato mediante barriere di accesso si è già tentato, anche se solo parzialmente, con l’art. 1, comma 727, della legge di bilancio per il 2020 (Legge 27 dicembre 2019, n. 160), che disciplina le gare in materia di apparecchi, punti vendita e gioco a distanza (non ancora espletate).

Tale disposizione, infatti, ha previsto, in modo innovativo rispetto al passato, un’offerta minima numerica (e non solo monetaria) per l’aggiudicazione della concessione, fissando livelli minimi relativamente alti per i diritti AWP e VLT (rispettivamente, offerta minima di 10.000 diritti e offerta minima di 2.500 diritti) e molto più bassi per i punti vendita Bar, Tabacchi e sale VLT (offerta minima 100 diritti).

Nulla di simile è previsto, come già detto, per il settore delle Scommesse.

L’argomento in esame, per le sue implicazioni economiche e “politiche”, è di quelli che devono essere ben ponderati; la politica dovrà, cioè, decidere, se preferisce un mercato dei pochi (più affidabili e più controllabili) o un mercato aperto anche alla media e piccola impresa. rf/AGIMEG