Il gup di Palermo ha condannato, con rito abbreviato, a pene comprese tra 10 mesi e 16 anni di carcere 16 persone coinvolte nell’inchiesta “Game Over” che, tra le altre cose, fece luce sugli interessi dei clan mafiosi nel settore delle scommesse online. Le imputazioni avevano vario titolo: estorsione, riciclaggio, traffico di droga e concorso in associazione mafiosa. Alessandro Acqua ha avuto 2 anni, Marco Cannatella 1 anno e 10 mesi, Ferdinando Chifari 10 mesi, Marco Corso un anno e 4 mesi, Vincenzo Corso un anno e 4 mesi, Salvatore De Simone, 2 anni e 8 mesi, Davide Di Benedetto un anno e 4 mesi, Giuseppe Gambino 3 anni e 4 mesi, Antonio Lo Baido 12 anni, Giuseppe Lo Bianco 2 anni, 2 mesi e 20 giorni, Antonio Mollisi un anno e 4 mesi, Francesco Nania 16 anni, Gerardo Antonio Orvieto Guagliardo 8 anni e 6 mesi, Antonino Pizzo 13 anni, Benedetto Sgroi 12 anni e 2 mesi e Devis Zangara 4 anni. Al Comune di Partinico costituito parte civile sono stati liquidati 15mila, mentre 10 mila ciascuno sono andati alle altri parti civili: l’Associazione Caponnetto, Sicindustria, il Centro La Torre, l’Associazione SOS Impresa, Confesercenti, Confcommercio e Solidaria. Cinque gli assolti: Alfredo Cannone, Carmelo Garruzzo, Antonino Lo Piccolo, Giampiero Rappa e Sebastiano Vinciguerra. L’indagine – come riporta il quotidiano La Sicilia – coinvolse anche Benedetto Bacchi, imprenditore di Partinico che, collaborando con Cosa nostra, avrebbe messo in piedi un impero economico proprio puntando alle scommesse. Oltre 700 agenzie, irregolari e sprovviste di concessioni, in tutta Italia. Oltre 40 solo in Sicilia. L’inchiesta svelò anche le pressioni sulla politica messe in atto dall’imprenditore che forzò l’approvazione di un emendamento che gli consentisse di sanare, a prezzi scontati, l’irregolarità dei suoi punti scommesse. La norma, presentata nel mille proroghe del 2016, non è mai passata. Il gip che, su richiesta della Dda dispose l’arresto di Bacchi per concorso in associazione mafiosa, riciclaggio, concorrenza sleale e violazione della normativa sulle scommesse, parlò di un “patto” stipulato tra l’imprenditore e i vertici di Cosa nostra. Secondo stime al ribasso l’imprenditore arrivava a guadagnare un milione di euro al mese. E quello che non dava alla mafia lo reinvestiva in altre attività. ac/AGIMEG