Ippica, Consiglio di Stato annulla la sentenza sulla determinazione dei montepremi. Si torna al Tar Lazio

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha accolto la richiesta del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio concernente la determinazione e il trasferimento alla Agenzia per lo sviluppo del settore ippico della quota parte delle entrate erariali ed extraerariali derivanti dai giochi pubblici con vincita in denaro affidati in concessione allo stato e destinata all’ Unire.
Il precedente ricorso al Tar era stato intentato da oltre un centinaio di operatori dell’ippica per ottenere che parte dei proventi dei giochi e delle scommesse venisse destinato al montepremi delle corse di cavalli. IL ricorso è stato discusso già nel 2012, la Seconda Sezione accolse le ragioni degli operatori e intimò alle amministrazioni competenti di fissare la quota di gettito, nominando anche un commissario ad acta in caso di inadempienza. A marzo 2014 gli operatori tornarono di nuovo di fronte al Tar per chiedere l’ottemperanza della sentenza. IL Collegio constatò che “relativamente all’annualità 2012, rimane intatto l’obbligo dello Stato di corrispondere ad ASSI, per il finanziamento del montepremi delle corse, una ‘quota parte delle entrate erariali ed extraerariali derivanti dai giochi pubblici con vincita in denaro’ e che l’unico ambito di discrezionalità rimesso alle amministrazioni intimate è quello relativo alla concreta quantificazione del contributo dovuto”. Il commissario ad acta, invece aveva svolto un compito “meramente ricognitorio di risorse che sono state già attribuite ai destinatari, ai quali, pertanto, in base al presente decreto e per il medesimo triennio, non potranno essere attribuite risorse aggiuntive”. La sentenza del 2014 tuttavia è stata sospesa a maggio dal Consiglio di Stato, il quale ha asserito che “Sotto il profilo del periculum in mora, nel bilanciamento degli interessi appare preponderante quello prospettato dall’appellante amministrazione”. Il Consiglio di Stato ha quindi stabilito che il Tar perché si pronunci ancora sul ricorso per motivi aggiunti, visto che “rispetto all’esecuzione del giudicato amministrativo l’incidenza della normativa sopravvenuta va diversamente definita in base al fatto che la sentenza si sia pronunciata in modo pieno sul rapporto o invece non abbia pienamente vincolato la successiva attività amministrativa: nel primo caso il giudicato prevale sulla normativa sopravvenuta, mentre nel secondo caso la normativa sopravvenuta, se interviene negli spazi lasciati liberi dal giudicato, integra la disciplina che l’amministrazione è tenuta ad applicare”. lp/AGIMEG