Giochi, prof. Giovanni Leone: “Attenuare conflitti di competenza tra Stato ed enti locali, serve normativa comune”

“Ritengo che la futura normativa debba essere sottoposta ad un vaglio più approfondito per tentare di eliminare o, quanto meno, l’attenuazione dei conflitti di competenza tra Stato, Regioni ed Enti locali”. Lo auspica il professor Giovanni Leone, nella sua prefazione al libro ‘Gioco Pubblico e raccordi normativi’ presentato oggi a Roma. Le riflessioni di Leone si inseriscono nella controversia diatriba tra Stato centrale e governi locali in tema di offerta di gioco pubblico e relativa normativa: innanzitutto il professore parte dalla distinzione tra gioco lecito e gioco illecito: “non si comprende la ragione del coinvolgimento dei Comuni per la battaglia contro il gioco illegale ‘nella salvaguardia degli interessi dei minori e di tutela della salute’, quasi che i minori e la salute siano attaccabili in misura prevalente dai giochi illeciti e non, in genere, da tutti i giochi (allorquando, per gli adulti, esso prenda forme patologiche). Non si comprende, altresì, con quali mezzi e risorse finanziarie i Comuni possano esercitare questa nuova specifica delega (per contrastare il gioco illecito). In ogni caso, se un dipendente comunale, o meglio un vigile urbano ha notizia che in un locale si pratica un gioco illecito, è tenuto, a prescindere dal comma 1 dell’art. 13, in qualità di pubblico ufficiale, ad intervenire e a darne comunicazione agli organi di polizia giudiziaria (ed in particolare, ratione materiae, alla Guardia di Finanza), nonché alla magistratura: ma che sia prevista una sorta di istituzionalizzazione delle funzioni di vigilanza comunale, con la perdurante crisi della finanza locale, mi sembra, oltre tutto, paradossale. Maggiore pregnanza possiede il secondo comma dell’art. 13, anche se, come di qui a poco dirò, lascia molto delusi. Difatti, per quanto riguarda i giochi leciti, i Comuni esercitano le loro potestà regolamentari ed amministrative, secondo la disposizione in esame, ‘nel rispetto dei seguenti principi di coordinamento nazionale’. Tra questi, l’attenzione si ferma sulle lettere e) ed f). La prima (lettera e) così recita: ‘esclusione di limitazioni di distanza ed orarie nei riguardi dei punti di offerta di gioco che si conformano ai livelli organizzativi, di sicurezza e di legalità della rete fisica statale di raccolta del gioco con vincita in denaro previsti dal presente decreto e dai relativi provvedimenti di attuazione, rispettandone costantemente gli standard quantitativi e qualitativi’. La seconda (lettera f) statuisce la ‘esclusione di limitazioni in materia di arredo urbano tali da impedire totalmente la riconoscibilità dei punti di offerta di gioco’. Il tutto, ossia ‘l’insieme delle eventuali limitazioni…costituisce forma di pianificazione locale, da parte dei Comuni, dell’offerta di gioco’. Dette pianificazioni sono sottoposte ad intesa in sede di Conferenza Stato-Città e, successivamente, a valutazione delle medesima Conferenza con cadenza annuale. In poche parole, l’emananda norma sembra dire: non vi possono essere limitazioni di distanze e di orari ad libitum degli amministratori locali o dei parlamenti regionali, assecondando le varie suggestioni e/o pressioni del momento (richiamo qui le norme che definiscono luoghi sensibili gli obitori, i cimiteri, le caserme e quant’altro), ma il tutto deve essere regolato e conformato in modo omogeneo. Benissimo, ma come? In altre parole, l’imprenditore, aspirante concessionario da un canto, ed il dirigente comunale tenuto al rilascio degli atti autorizzativi, dall’altro, quali norme devono rispettare? O meglio quali nuove norme devono redigere i Comuni in sede di pianificazione locale? Non è affatto chiaro, in quanto la disposizione in esame richiama ‘livelli organizzativi, di sicurezza e di legalità della rete fisica statale di raccolta del gioco con vincita in denaro’ che dovrebbero essere previsti dal decreto, ma non vengono affatto previsti; anzi la disposizione sembra rimandare l’individuazione di tali livelli a futuri ‘provvedimenti di attuazione’. Quindi, la bozza della norma in esame non indica tali standard, ma ne rimanda l’approvazione ad un successivo provvedimento, di cui non si conoscono l’autore e la natura giuridica (altro decreto legislativo, oppure decreto ministeriale e, in quest’ultimo caso, di quale ministero?)”. Per Leone si tratta di un “paradosso il fatto che i Comuni sono tenuti ad adottare una specifica pianificazione che deve essere sottoposta alla ‘valutazione’ della Conferenza Stato-Città. Ci si chiede quale sia la natura di tale atto. Forse un parere, nel senso che la delibera del consiglio comunale, una volta ‘valutata’ dalla Conferenza, deve essere vagliata anche dalle Regioni territorialmente competenti. Oppure un provvedimento di approvazione che conclude il procedimento? La norma è oscura. Come incongruo appare il termine di decadenza delle preesistenti disposizioni regolamentari comunali (e quelle legislative regionali?) ‘difformi dalle disposizioni del presente articolo’, fissato in sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo. Si badi che i Comuni italiani sono più di ottomila; a voler ammettere, per un solo momento, che tutti i Comuni si adeguino con grande tempestività e solerzia alla nuova (peraltro non ancora chiara e definita) normativa per evitare la decadenza ora richiamata, appare improbo il lavoro della Conferenza di esprimere la ‘valutazione’ delle pianificazioni locali. Quale norma si adotterà? Il silenzio assenso della prossime riforme legislative della pubblica amministrazione (malgrado i problemi che attengono alla salute dei cittadini sono esclusi da tale forma di semplificazione)?”. dar/AGIMEG