Attorno al settore di giochi e scommesse “sono andati a polarizzarsi gli interessi di tutte le organizzazioni mafiose, dalla camorra alla ‘ndrangheta, dalla criminalità pugliese a cosa nostra, in alcuni casi addirittura ‘in consorzio’ tra di loro”. È quanto emerge dall’ultima relazione semestrale della Dia, che approfondisce gli interessi della criminalità organizzata nel settore del gioco. Il rapporto ricorda come il mercato legale nel solo 2018 ha movimentato 106,8 miliardi di euro. I profitti delle mafie “vengono realizzati secondo due direttrici: da un lato la gestione ‘storica’ del gioco d’azzardo illegale, le cui prospettive sono andate allargandosi con l’offerta online; dall’altro, la contaminazione del mercato del gioco e delle scommesse legali, che garantisce rilevanti introiti a fronte del rischio di sanzioni ritenute economicamente sopportabili”.
“Per quanto attiene all’ambito propriamente illegale connesso al gioco, occorre fare riferimento, in primo luogo, alla tradizionale attività estorsiva ai danni delle società concessionarie, delle sale da gioco e degli esercizi commerciali, soprattutto bar e tabaccherie, in cui si esercita il gioco elettronico. Altrettanto frequente è poi l’imposizione degli apparecchi negli esercizi pubblici da parte di referenti dei clan o l’alternativa, offerta alle vittime, di consentire l’installazione ad altri, a fronte, però, del pagamento di una somma mensile per ogni apparecchio. Si è detto di quello legato al territorio e alle connesse condotte estorsive. Ce n’è poi un altro più sofisticato, che richiede competenze elevate. Si tratta della gestione delle scommesse sportive e giochi on line realizzata, attraverso i c.d. Centri di Trasmissione Dati (CTD), su piattaforme collocate all’estero. Il tutto architettato da soggetti sprovvisti delle previste concessioni o autorizzazioni che operano su siti web collegati a bookmaker esteri. Bookmaker “pirata” o, in alcuni casi, autorizzati a effettuare la raccolta a distanza, in forza di licenze rilasciate da Autorità straniere che non tengono conto dei gravi precedenti penali di cui tali soggetti risultano gravati in Italia. Spesso, per rendere più difficoltosa l’individuazione dei flussi di giocate, i server vengono collocati in Paesi off-shore o a fiscalità privilegiata e non collaborativi ai fini di polizia. Si tratta di un circuito totalmente “invisibile”, in cui i brand raccolgono puntate su giochi e scommesse, restando ignoti al Fisco”.
“Tra le forme di gioco illegale – riferisce ancora la DIA – oltre agli ambiti di maggiore complessità, tra cui il match fixing, rientrano anche strutture da gioco tecnicamente più semplici, come i cd. totem, la cui installazione negli esercizi pubblici è vietata: si tratta di terminali informatici che, attraverso il collegamento internet, consentono la fruizione del gioco mediante piattaforme collocate all’estero, accedendo quindi a server stranieri i cui gestori non sono soggetti agli stessi obblighi di identificazione e tracciabilità previsti dalla normativa o nazionale. Possono essere qualificati come totem anche normali computer messi a disposizione dei clienti, collegati a siti non autorizzati di giochi e scommesse on line, sfuggendo, così, ai previsti controlli sulle vincite e sugli utilizzatori. Ovviamente, i siti on line illegali hanno maggior successo presso il pubblico rispetto a quelli legali perché, non soggiacendo ad imposizione fiscale, possono offrire quotazioni maggiori e vincite più alte. Era quindi scontato – considerati i volumi, sempre crescenti, della domanda – che, accanto all’offerta del gioco regolare controllato dallo Stato, le consorterie puntassero a sviluppare una ‘filiera parallela’, utile sia ad ottenere un nuovo canale da cui ottenere alti profitti, sia per riciclare i capitali illegali”.
“Un ulteriore dato della dimensione del fenomeno può essere colto dall’attività dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. A luglio 2015, l’Agenzia aveva oscurato 5.436 siti di scommesse non autorizzati, mentre al dicembre 2018 i siti di gioco confluiti nella black list dell’Agenzia risultavano saliti a 8.009. La congiunzione tra l’ambito propriamente illegale, sinora descritto, e quello del settore del gioco legale, comunque d’interesse delle organizzazioni mafiose, passa attraverso tutta una serie di attività che si collocano nel mezzo tra le due e che vanno a coprire diversi ambiti connessi ai giochi. Le numerose indagini svolte sul territorio hanno evidenziato, infatti, la capacità delle organizzazioni criminali di lucrare sulle attività indirette e collaterali al settore, si è detto dei prestiti ad usura elargiti ai giocatori, cui si aggiungono l’imposizione di lavoratori e fornitori di beni e servizi e gli investimenti nelle strutture alberghiere e in locali di intrattenimento. Investimenti, quest’ultimi, realizzati delocalizzando all’estero la sede legale delle imprese”.
La Dia sottolinea come “le condotte criminali puntano proprio a nella filiera del gioco e sono per lo più finalizzate all’alterazione dei flussi di comunicazione dei dati di gioco, dagli apparecchi al sistema di elaborazione del concessionario. Grazie a questo meccanismo la criminalità si appropria non solo degli importi di spettanza dei Monopoli a titolo di imposta, ma anche dell’aggio del concessionario che è direttamente proporzionale al volume delle giocate. Le modalità di manipolazione sono numerose, da quelle più raffinate – attraverso svariate tecniche di introduzione abusiva nel sistema telematico – a quelle più semplici di scollegare le apparecchiature dalla rete pubblica. Fondamentale risulta l’apporto di figure dotate di specifiche competenze tecniche, in grado di sfruttare al meglio le nuove tecnologie informatiche. Queste figure sono funzionali alla manomissione degli apparecchi da gioco (agendo sulle schede elettroniche), allo scopo di eliminare il collegamento alla rete dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e quindi far registrare un minor numero di giocate per sottrarsi all’imposizione fiscale, alterando anche le percentuali minime di vincita previste dai regolamenti. In sostanza, pur risultando regolarmente collegate alla rete telematica dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, le slot machines e le video lottery (VLT) trasmettono solo parzialmente i dati relativi alle giocate, consentendo, in tal modo, una gestione “separata” illecita delle giocate realmente effettuate, sottratte così all’imposizione tributaria”.
Anche il Direttore dell’UIF, nel corso della sua audizione del 10 dicembre 2019 dinanzi alla citata Commissione parlamentare Antimafia, ha affrontato il tema del riciclaggio in relazione alla tematica in esame, evidenziando come “le collaborazioni prestate all’Autorità Giudiziaria, in particolare alle Direzioni Distrettuali Antimafia presso primarie Procure del meridione, hanno portato alla luce l’esistenza di associazioni di stampo mafioso con proiezione transnazionale che, avvalendosi di società non italiane e dislocando in Paesi esteri i server per la raccolta e la gestione delle giocate, hanno esercitato abusivamente attività di gioco e scommesse sul territorio nazionale, riciclando ingenti proventi illeciti. Seguendo il percorso del denaro utilizzato per scommettere tramite internet, è emerso, tra l’altro, come gruppi della criminalità organizzata si adoperassero per sviluppare forme di controllo sul mercato delle scommesse clandestine online. I guadagni accumulati venivano poi reinvestiti in patrimoni immobiliari e attività finanziarie all’estero…”.
“Nel tempo – ricordano gli analisti della Dia – si è assistito alla progressiva limitazione dell’uso della violenza nell’ambito di questo settore, sostituita da proficue relazioni di scambio e di collusione finalizzate a infiltrare economicamente e in maniera silente il territorio. Con una metafora, si può dire che le mafie prediligono, oggi, il clic-clic del mouse al bang-bang delle pistole. Una infiltrazione ‘carsica’ certamente agevolata dallo sviluppo di meccanismi sofisticati, quali la gestione di piattaforme illegali di scommesse online, raggiungibili attraverso siti web dislocati in Paesi esteri, privi di concessione per operare in Italia”. La Dia evidenzia come “se da un lato la camorra è quella con un interesse storicamente più risalente, la ‘ndrangheta ha certamente recuperato terreno” negli ultimi anni, operando anche nel settore dei giochi alla stregua di una vera e propria holding criminale, riconosciuta per la sua affidabilità. Sembra, infatti, aver traslato su questo settore i metodi e l’organizzazione gerarchico-piramidale già adottata nel traffico internazionale di stupefacenti, con la differenza che il gioco è più conveniente: all’estero, la logistica della droga richiede “basi stabili, meccanismi corruttivi, infiltrazioni negli spazi doganali, carichi di copertura” mentre “per realizzare affari milionari nel settore dei giochi basta stabilire la sede legale di una società in un paradiso fiscale e un server che raccoglie e gestisce le giocate in un Paese non collaborativo”. Allo stesso tempo,” il gioco crea un reticolo di controllo del territorio, senza destare allarme sociale. E anche in questo caso il parallelismo con gli stupefacenti è d’obbligo. La disseminazione dei punti di raccolta scommesse è paragonabile alla rete di pusher di una piazza di spaccio, con l’evidente differenza che i primi raccolgono denaro ‘virtuale’ – senza destare clamore – immediatamente canalizzato all’estero e quindi più facile da riciclare; i secondi raccolgono somme minime, con forte esposizione all’azione di polizia. Somme che per essere riciclate nei circuiti legali, comportano costi notevoli”.
Il controllo – conclude la Dia – “punta ad alterare anche l’esito delle competizioni sportive, specie di quelle delle serie minori di calcio, allo scopo di trarre maggiori profitti o di non subire perdite”. Mentre “se l’infiltrazione nel gaming online appartiene trasversalmente a tutte le organizzazioni, quella nel settore delle corse ippiche sembra appannaggio prevalentemente di Cosa nostra”. cr/AGIMEG