Una persona che ha dovuto accettare un prestito usurario non è un testimone attendibile solo perché ha il vizio del gioco. E’ quanto afferma la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione decidendo sul ricorso intentato da un uomo contro la condanna a due anni e mezzo di reclusione (e un’ammenda di 4.100 euro) per usura continuata comminata dalla Corte d’Appello dell’Aquila. L’uomo aveva provato a contestare le circostanze del reato, appunto asserendo che le dichiarazioni di una delle vittime non potevano essere ritenute attendibili, visto che quest’ultima aveva utilizzato le somme prestate per giocare (circostanza peraltro negata dalla persona offesa). Ma per la Cassazione, il giudice d’appello ha correttamente riconosciuto che “lo stato di bisogno – cui versa la persona offesa, NdR – può essere di qualsiasi natura, specie e grado ed anche, dunque, originato da debiti contratti per il vizio del gioco d’azzardo. Lo stato di bisogno, infatti, va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza né la causa di esso, né l’utilizzazione del prestito usurario”. Non ha alcuna importanza, di conseguenza, che la vittima abbia utilizzato, o meno, le somme per giocare. La sua situazione è simile a quella “dell’imprenditore che si venga a trovare in una situazione di difficoltà economica dovuta ad investimenti sbagliati e che dunque si rivolge al prestito usuraria”, e questo “non determina di per sé l’inattendibilità della persona offesa”. rg/AGIMEG