Il Tar Lazio annulla l’interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Roma nei confronti di Francesco Corallo – patron di Bplus, il maggiore dei concessionari di slot e vlt – ma conferma la gestione straordinaria cui è stata sottoposta la compagnia. E’ quanto emerge dalla articolata sentenza emessa questa mattina dalla Seconda Sezione del Tar. Sull’interdittiva, il Collegio afferma che “Mentre alla data del 26 luglio 2013 (ossia alla data di adozione del provvedimento di sospensione degli effetti dell’informativa antimafia, impugnato con il ricorso n. 10955/1013) ancora non sussistessero i presupposti per la revoca dell’informativa antimafia, ad opposte conclusioni si debba invece pervenire con riferimento agli elementi di fatto posti all’attenzione del Prefetto alla data del 27 maggio 2014 (ossia alla data di adozione del provvedimento di proroga della sospensione degli effetti dell’informativa antimafia, impugnato con il ricorso n. 10141/2014)”. La concessionaria aveva formato un blind trust “proprio al fine di separare completamente un soggetto dal proprio patrimonio, in modo da evitare alcune forme di conflitto di interessi, e comporta che il titolare (denominato settlor) conferisca il proprio patrimonio a un terzo (denominato trustee), il quale lo amministra per suo conto, scegliendo nella più completa libertà le forme di investimento più opportune, senza obbligo di rendiconto, e ciò fino alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione. Per quanto riguarda il commissariamento, il giudice amministrativo ribadisce che “l’adozione della misura della gestione straordinaria e temporanea della società B-Plus risulta giustificata dalla presenza di una grave “situazione anomala” (cfr. art. 32, comma 1, del decreto legge n. 90/2014), costituita dal fatto che la società dal 29 maggio 2014 ha unilateralmente interrotto le operazioni concordate con l’Amministrazione dell’Interno, non permettendo l’esercizio delle funzioni di controllo previste dal suddetto protocollo di legalità. Pertanto risulta evidente che non sussiste la denunciata violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza, perché il provvedimento impugnato è stato adottato proprio a seguito dell’inadempimento, da parte dei gestori della società, ad uno degli obblighi assunti con la sottoscrizione del protocollo di legalità”. Il Collegio tuttavia dichiara il ricorso contro il provvedimento “inammissibile in quanto proposto avverso un atto endoprocedimentale, non idoneo ad incidere immediatamente sulla sfera giuridica del suo destinatario. Infatti, secondo la giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Lazio Roma, Sez. II-ter, 18 febbraio 2014, n. 1912) la comunicazione di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990 costituisce un atto endoprocedimentale, non dotato di autonoma capacità lesiva, mentre la lesione della sfera giuridica del destinatario è, di regola, imputabile solo all’atto che conclude il procedimento; pertanto il ricorso proposto avverso la comunicazione dell’avvio del procedimento deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse, mentre gli eventuali vizi della comunicazione stessa possono essere fatti valere unicamente in via derivata, a mezzo dell’impugnazione del provvedimento conclusivo del procedimento”. gr/AGIMEG