Giochi, avv. generale CGE Bobek: “La norma che prevede di un’autorizzazione non è una regola tecnica. Rischio di un obbligo generalizzato di notificata alla Commissione”

L’obbligo di ottenere un’autorizzazione per commercializzare giochi d’azzardo non rappresenta una «regola tecnica» ai sensi della direttiva 98/34/CE, pertanto la norma che prescrive il titolo non doveva essere notificata alla Commissione Europea e essere sottoposta allo stand still. Sono le conclusioni cui giunge Michal Bobek, avvocato generale presso la Corte di Giustizia, riguardo alla causa Naczelnik Urzędu Celnego contro G.M. riguardante la normativa polacca sui giochi. “L’insidiosa continua espansione della nozione di «altro requisito»” mette in guardia Bobek, “potrebbe portare all’imposizione di fatto di un obbligo generalizzato di notifica anche sui servizi, e la sola base di tale espansione sarebbe che le norme sui servizi sono suscettibili di avere un impatto periferico sui prodotti utilizzati per fornire detti servizi”.

La vicenda nasce dal procedimento penale avviato nei confronti di alcuni esercenti che avevano istallato degli apparecchi da intrattenimento nei loro bar. La normativa polacca prevede che l’esercizio di questi e altri giochi sia consentita solo ai  soggetti in possesso di un’autorizzazione per la gestione di casinò; gli imputati hanno quindi obiettato che l’obbligo di ottenere una licenza debba essere considerato una regola tecnica, e quindi la relativa norma doveva essere notificata a Bruxelles e appunto sottoposta allo stand still, iter che invece non è stato seguito.

L’Avvocato generale respinge però questa interpretazione e propone addirittura due diverse letture. La prima si basa su un’analisi della normativa polacca. Bobek ricorda che la Corte di Giustizia nella causa Berlington Hungary e a. (C‑98/14) aveva affermato che la norma che riserva l’organizzazione di determinati giochi di azzardo ai soli casinò “costituisce una “regola tecnica” se “può influenzare in modo significativo la natura o il commercio dei prodotti utilizzati in tale contesto”. In sostanza “un divieto di gestire slot machine fuori dei casinò (…) può influenzare in modo significativo il commercio di tali macchine (…) limitandone i canali di sfruttamento”. La normativa polacca tuttavia non punta a consentire l’istallazione delle slot nei soli casinò, ma piuttosto a vietarla nei bar e nei ristoranti. Come ha confermato il governo polacco, il riferimento all’ubicazione “non dovrebbe in alcun modo essere considerata un elemento della procedura di autorizzazione. Piuttosto, tale restrizione, in combinazione con il codice penale, mira a sanzionare l’organizzazione di giochi d’azzardo, ad esempio, nei bar o nei ristoranti” sottolinea Bobek. Seguendo questa lettura, l’Avvocato generale invita la CGE a affermare che la norma non fosse sottoposta all’obbligo di notifica, anche se chiede di incaricare i giudici polacchi di appurare in concreto la portata della norma che consente l’offerta di gioco “esclusivamente nelle sale dei casinò”.

Bobek propende però per una seconda lettura, altrimenti i governi nazionali si troverebbero costretti a notificare a Bruxelles qualunque normativa preveda un regime di autorizzazione. “Misure che disciplinano la fornitura di servizi avranno sempre una qualche influenza indiretta sulle merci. La fornitura di qualsiasi servizio comporta prima o poi l’uso di prodotti. ” osserva. “I tassisti utilizzano automobili” oppure “i contabili utilizzano calcolatrici e gli avvocati utilizzano penne, carta e occasionalmente libri di diritto. Inoltre, tutti utilizzano i computer praticamente per qualsiasi tipo di servizio”. In sostanza “assoggettare la fornitura di ciascuno dei servizi sopra menzionati a una previa autorizzazione avrebbe un qualche impatto collaterale sul consumo dei prodotti utilizzati”.

Bobek traccia quindi una linea di demarcazione: “le misure nazionali principalmente «prescritte per un prodotto» costituiscono un «altro requisito» (…) purché siano soddisfatte le altre condizioni” dettate dall’articolo 1, punto 4 della direttiva 98/34. Inoltre, chiede che in linea di principio non debbano essere considerate “altro requisito” “le misure nazionali principalmente prescritte per i servizi o per lo stabilimento”e cita come esempi gli obblighi di autorizzazione e altri criteri di idoneità, le restrizioni relative ai luoghi in cui i servizi sono forniti e  la pubblicità dei servizi. Ma poi chiede  anche vengano previste delle eccezioni: “le norme nazionali che, prima facie, sono prescritte per i servizi possono rientrare (nuovamente) nella nozione di «altro requisito» in circostanze specifiche e purché siano soddisfatte le altre condizioni di cui all’articolo 1, punto 4, in particolare quando:

–      la misura nazionale comporta un divieto totale relativo a un servizio e ciò si risolve nel mancato utilizzo di uno specifico bene o in un suo utilizzo estremamente marginale in altri contesti; o

–      la misura nazionale che riguarda principalmente la fornitura di servizi influisce necessariamente sul ciclo di vita del prodotto in modo tale da avere un impatto sulle sue caratteristiche fisiche (ad esempio, restrizioni all’utilizzo di un prodotto nella fornitura di un servizio che comporta necessariamente l’alterazione della composizione, dell’etichettatura o della presentazione di un prodotto). In tali casi vi è un’evidente ripercussione o un impatto sul prodotto stesso”. gr/AGIMEG