Torna su Agimeg la storica rubrica FUORI GIOCO curata dal dottor ROBERTO FANELLI, già Ufficiale Superiore della Guardia di Finanza, Docente di Diritto Tributario d’impresa all’Università Guglielmo Marconi di Roma e per 8 anni Direttore del Comparto Giochi in ADM. Una grande firma, un grande tecnico che potrà dare al settore un contributo di chiarezza e concretezza all’interno di normative, leggi, lavori che regolano i giochi in Italia.
Nell’ambito del tanto auspicato “riordino” del settore dei giochi, che potrebbe davvero arrivare con il nuovo Governo (in cui le posizioni radicalmente “antigioco” sembrano meno ferree rispetto al passato), occorrerà pensare – oltre che alle problematiche di maggiore spessore, prime tra tutte quelle delle leggi regionali e delle ordinanze dei sindaci (distanze dai luoghi sensibili, orari) – anche ad un migliore assestamento degli aspetti fiscali, per evitare che, a parità di condizioni, alcuni giochi subiscano una tassazione discriminatoria rispetto ad altri e per creare migliori condizioni di competitività con l’area della illegalità.
In primo luogo, vanno fatte delle scelte “strategiche”, che siano in grado di contemperare le dinamiche di gioco con una migliore e più efficiente applicazione del prelievo erariale. Basterebbe verificare gli effetti che l’introduzione (“storica”) della base imponibile delle scommesse misurata sul “margine lordo”, anziché sulla “raccolta lorda”, introdotta nel 2016, ha prodotto sul settore: migliore competitività rispetto al comparto illegale, maggiori introiti per l’Erario, più libertà per i concessionari di fissare le quote.
Il sistema del “margine lordo” si applica oggi anche al gioco a distanza (fino al 2015, invece, tale settore era diviso, sotto il profilo fiscale, in due parti: nel primo, la base imponibile era data dal “margine lordo”; nel secondo dalla “raccolta lorda”), anche in questo caso per effetto di adeguamenti normativi avvenuti negli anni 2016/2017. Si può constatare, numeri alla mano, che la (semi)rivoluzione copernicana ha prodotto una più efficace competitività rispetto al comparto illegale ed ha aumentato gli introiti per l’Erario.
Oggi, sotto il profilo fiscale, il settore del gioco può considerarsi diviso in tre parti:
1) i giochi ai quali si applica una vera e propria “imposta”, che ha connotazioni di tributo “diretto” (per esempio, l’imposta unica sulle scommesse);
2) i giochi ai quali si applica una vera e propria “imposta”, che ha connotazione di tributo “indiretto” (per esempio, il PREU sul gioco mediante apparecchi da intrattenimento);
3) i giochi soggetti a prelievo erariale, diverso da una vera e propria “imposta” (Lotto, Gratta e Vinci).
Le differenze non sono solo di carattere definitorio, in quanto i prelievi che assumono la natura di “imposta” sono soggetti all’applicazione di disposizioni comuni, che non trovano invece applicazione agli altri “prelievi” erariali. Si pensi, ad esempio, all’intero comparto sanzionatorio, disciplinato, quanto alle “imposte”, e salvo disposizioni specifiche previste dalle singole regolamentazioni, dal D.Lgs. n. 472 del 1997 (che prevede la punibilità solo in presenza di dolo o colpa, consente il ravvedimento operoso, la definizione agevolata, la possibilità di applicazione di misure cautelari, e quant’altro).
Una delle questioni di carattere “politico” che nel passato si è dovuto affrontare quando venne introdotta la tassazione del margine – e che riguarda tutti i giochi per i quali il prelievo erariale assume caratteristiche di tributo “diretto” (si tratta, principalmente, come già ricordato, dell’imposta unica applicabile alle scommesse e al gioco a distanza) – è consistita nel fatto che questo tipo di determinazione della base imponibile creerebbe una sorta di “alleanza” tra lo Stato esattore ed il concessionario, in quanto tanto più il margine per il concessionario cresce tanto più cresce il prelievo erariale. Quindi, per alcuni era poco commendevole che lo Stato partecipasse alla suddivisione degli introiti “lordi” realizzati dal concessionario, trattandosi di un’attività “nociva” per la collettività (il che, non considerava la “natura” del rapporto concessorio, che consiste proprio in una “alleanza” tra lo Stato e l’operatore privato, ma lasciamo stare…).
E’ ovvio che si trattava di un argomento “ideologico”, con scarso contenuto tecnico: qualunque prelievo erariale, di qualunque genere, esiste sempreché continui ad esistere l’attività soggetta ad imposizione. Così è per l’alcol, così è per il tabacco. Se domani nessuno più acquistasse alcol o sigarette gli introiti fiscali derivanti dalla produzione e dal commercio di tali beni si azzererebbero.
Il riordino fiscale (nell’ambito del riordino generale del comparto), quindi, se costruito al di fuori di barriere ideologiche che impediscono di vedere la realtà delle cose, potrebbe essere una occasione per realizzare un sistema più efficiente di prelievo, che, oltretutto, avvicinerebbe il settore agli altri comparti produttivi, anche sotto il profilo della legittimità ad esistere. rf/AGIMEG