In vista dell’auspicato “riordino” del comparto del gioco pubblico, previsto (anche) dal DEF 2021, quale contributo alla discussione pubblica in materia, si ritiene interessante riprendere la proposta – di cui si è già parlato su queste pagine – relativa alla previsione di una compartecipazione al gettito da parte degli Enti locali.
Si tratta di un suggerimento condiviso un po’ da tutti e ribadito nelle diverse ipotesi avanzate dagli operatori, ma che, tuttavia, richiede ulteriori riflessioni.
Non v’è dubbio che destinare una quota parte del gettito derivante dai giochi rappresenta quasi una deriva naturale, in considerazione del fatto che l’impatto sociale, sanitario ed economico del gioco si manifesta prevalentemente a carico degli enti territoriali. Non solo, ma prevedere, come pure è stato autorevolmente proposto su queste pagine, di destinare ai territori, almeno in prima battuta, le maggiori entrate provenienti dai controlli e dalle sanzioni, otterrebbe un duplice beneficio, poiché gli enti locali avrebbero tutto l’interesse ad attuare, in sinergia con lo Stato, campagne mirate di controlli, innalzando così il livello di legalità e concorrendo a mettere in sicurezza l’intero comparto.
Sarebbe, però, fuorviante pensare che la previsione di destinare alle Regioni e ai Comuni una quota del gettito complessivo, sia quello ordinario sia quello da controlli e sanzioni, costituisca elemento decisivo perché gli enti locali “accolgano” il gioco, modificando quindi le normative locali ed eliminando, in primis, il c.d. “distanziometro”.
A tal riguardo, infatti, deve essere valutato che già oggi (da diversi anni) le Regioni a Statuto speciale e le province autonome sono destinatarie – con regole diverse da regione a regione – di una quota parte delle entrate erariali derivanti dal gioco.
Per esempio, l’art. 10 del D.Lgs. 9 giugno 2016, n. 114, recante le norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Sardegna in materia di entrate regionali, stabilisce che spetta alla Regione una quota parte delle entrate erariali derivanti dalla raccolta di tutti i giochi con vincita in denaro, “sia di natura tributaria sia di natura non tributaria”.
L’art. 2 del D.P.R. 26 luglio 1965 , n. 1074, recante norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria, stabilisce che spettano alla Regione Sicilia “i dieci decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette”, escluse quelle indicate nella tabella C), annessa al decreto, che spettano allo Stato.
Previsioni analoghe sono previste, come già detto, per le altre regioni a Statuto speciale e per le province autonome.
Tuttavia, questo non ha impedito a tali territori di emanare norme restrittive sul gioco, ritenute, in alcuni casi, anche in sede giurisdizionale, espulsive” del gioco stesso.
Basti pensare che il primo atto normativo che contemplava divieti e distanze per le Slot è stato emanato dalla Provincia autonoma di Bolzano, cui sono destinate parte delle entrate erariali da gioco, ivi comprese quelle provenienti dagli apparecchi da intrattenimento.
Del resto, se si ipotizza di destinare agli enti locali un gettito “aggiuntivo” rispetto a quello attuale (pre-covid), i margini di manovra sarebbero ridotti.
Infatti, a parte la considerazione che dopo circa un anno di chiusure è impensabile pensare, almeno per il momento, ad un inasprimento del prelievo sui giochi (anzi, ci sarebbe bisogno di una temporanea riduzione della pressione fiscale, per consentire al mercato di ripartire), in ogni caso un eventuale incremento del prelievo, tenuto conto degli attuali livelli di tassazione, non potrebbe che produrre risorse molto limitate che, distribuite sul territorio, avrebbero un peso specifico poco rilevante.
Se invece si ipotizza un trasferimento di risorse statali agli enti locali, occorre considerare che il prelievo da giochi è già destinato ad “impegni” di spesa, per cui si dovrebbe pensare o ad un aumento compensativo di altre entrate o ad una riduzione di spese (ipotesi che appare, al momento, impercorribile) oppure ad una riduzione dei trasferimenti agli enti locali per “compensare” l’incremento del gettito da gioco (ma in questo caso, si tratterebbe di una inutile partita di giro).
L’ipotesi in parola, quindi, porta con sé rilevanti implicazioni di finanza pubblica, sebbene riteniamo di dover ribadire che la destinazione di quota parte delle entrate pubbliche agli enti locali appare quasi “naturale” e, specie se proporzionata alla presenza del gioco sui territori stessi, giusta e corretta.
Tuttavia, le speranze di chi pensa che la devoluzione a Regioni e Comuni di una parte del gettito erariale possa consentire di superare l’atteggiamento di chiusura sul gioco (quasi sempre “ideologico”) e le restrittive leggi regionali, sembrano destinate a restare tali. Quello che serve è una “politica” sul gioco, che affermi la rilevanza sociale ed economica del gioco legale, come presidio dello Stato in un comparto sensibile e delicato, che faccia giustizia di pregiudizi ed ideologie, a prescindere (parzialmente) dai riflessi di carattere finanziario. rf/AGIMEG