“FIPE si propone come aggregatore del tessuto imprenditoriale del turismo nelle sue più varie forme, rappresentando e assistendo bar, ristoranti, pizzerie, società di catering e banqueting, gelaterie, pasticcerie, discoteche, stabilimenti balneari ma anche mense, grandi catene di ristorazione multilocalizzata, emettitori di buoni pasto, casinò e sale da gioco. Allo stato attuale aderiscono alla Federazione oltre 120.000 soci”. E’ quanto sottolineato nella memoria depositata alla Camera dalla FIPE, Federazione Italiana Pubblici Esercizi sul DL Rilancio. “In questo momento non nascondo di sentire tutto il peso del settore che ho il privilegio di rappresentare, un mondo che va dalle tradizionali attività di ristorazione, bar, ristoranti, pub, pizzerie, alla ristorazione commerciale e collettiva, alle società di catering e banqueting, senza dimenticare i locali di intrattenimento serale, gli stabilimenti balneari e le attività e i luoghi legati al gioco legale, come i casinò o le sale bingo. L’impatto della pandemia e delle necessarie misure restrittive è stato devastante per l’intera categoria e continua ad esserlo anche nella cosiddetta “Fase due”. Secondo le stime del Centro Studi FIPE, la pandemia Covid-19 l’emergenza epidemiologica, ha prodotto per l’intero comparto dei Pubblici Esercizi perdite di fatturato pari a circa 34 miliardi di euro, sull’anno in corso, portando alla probabile chiusura di 50.000 imprese e il rischio di perdita di 350.000 posti di lavoro. A questi numeri si aggiunge l’intero settore dell’intrattenimento con oltre 2.500 imprese ancora chiuse e il mondo del catering che vede ancora non operative migliaia di aziende legate al settore degli eventi sia pubblici che privati. Dietro a questi numeri, dietro alle chiusure, è bene ricordarlo, ci sono persone, famiglie, collaboratori, fornitori e testimoniano storie di reale disperazione, purtroppo, sono numerose le testimonianze di reale disperazione di imprenditori che non si sono sentiti tutelati dalle Istituzioni”, aggiunge. “Da una nostra indagine sui livelli di fatturato della prima settimana dei locali di somministrazione, settimana dal 18 al 25 maggio su un campione di 550 imprese, emerge un quadro di enorme difficoltà, con cali di fatturato nell’ordine del 69,2%, ed un 74,5% di valutazioni negative rispetto alla riapertura. È del tutto evidente che a parità di costi non è economicamente sostenibile un’attività con il 70% di fatturato in meno e che sarà necessario, a meno di non volerle condannare alla chiusura delle forme di sostegno specifico nei prossimi mesi, identificando risorse o da risparmi pubblici o da fondi di origine europea. Questo è ancora più valido per quelle attività come l’intrattenimento o il catering che di fatto ancora oggi sono necessariamente chiuse o non operative. Se un merito questa epidemia l’ha avuto è stato far capire cosa significhi chiudere la rete dei pubblici esercizi, bar, ristoranti, pizzerie, luoghi di intrattenimento, eventi e catering, per la vita del tessuto urbano, per l’attrattività turistica del territorio italiano, per la domanda della catena agroalimentare, per l’indotto del settore Horeca, per l’impatto sull’occupazione. Salvaguardare questo settore significa salvaguardare una componente importante a livello economico ma, soprattutto, significa preservare la vitalità sociale che rende il nostro Paese un unicum a livello internazionale”, sottolinea. “La Federazione, con senso di responsabilità, ha nel corso degli ultimi mesi inviato alle forze politiche una serie di documenti, analisi, appelli con il fine di approntare una serie di proposte concrete per sostenere il settore. Va detto che il provvedimento in oggetto, pur nell’enorme difficoltà imposta dal vincolo del bilancio pubblico, contiene delle prime risposte ai temi più volte richiamati dalla scrivente Federazione, tuttavia si ritiene che nel corso della conversione in legge possano essere apportate delle modifiche in grado di migliorarne l’efficacia e rispondere a due direttrici che riteniamo importanti: a) una maggiore incisività nel concentrare gli aiuti di emergenza con intensità differente, parametrandoli al differente grado di impatto della crisi Covid-19; Non si può trattare tutti allo stesso modo, chi ha perso il 100% del fatturato non è uguale a chi ne ha perso il 33%. b) la necessità di adottare misure strutturali per il rilancio dei settori più colpiti come la ristorazione e l’intrattenimento che avranno, più di altri, la difficoltà di convivere con l’epidemia e a garantire un’autosufficienza economica”, aggiunge. “Gli artt. dal 68 al 70 sanciscono la possibilità di fruire dei trattamenti integrativi previsti dal fondo integrazione salariale e dalla cassa in deroga, prevedendo 9 settimane all’interno del periodo dal 23 febbraio al 31 agosto 2020, incrementabili di ulteriori 5 settimane nello stesso periodo per le aziende che abbiano interamente fruito delle 9 settimane già precedentemente concesse. Un eventuale ulteriore periodo, di durata massima di 4 settimane, può essere concesso ma a decorrere dal 1°settembre 2020 e fino al 31 ottobre 2020. Questo vincolo temporale non opera però nei settori del turismo. In merito va precisato con chiarezza che nella categoria del turismo rientrano tutte le attività di pubblico esercizio, ivi incluse le società di catering e quella legata all’intrattenimento e sale giochi, che sono ancora obbligate alla chiusura. Riteniamo, inoltre, che anche per la gestione dei costi del personale sia necessaria la ricerca di un nuovo equilibrio strutturale. Al fine di non generare un’espulsione dal settore di capitale umano e competenze professionali, riterremmo opportuno prevedere un abbattimento del cuneo fiscale, eliminando gli oneri sociali legati al costo del lavoro nel settore del turismo fino a fine crisi, con l’obbiettivo di incentivare la tenuta occupazionale dal settore. Sarebbe un’operazione certamente onerosa ma andrebbe considerata in compensazione al maggiore costo sul bilancio dello Stato da una massa crescente di addetti disoccupati”, continua. cdn/AGIMEG