Corte Costituzionale, “Se vi è un contrasto con il diritto comunitario, basta disapplicare la norma interna, non è necessario che la Consulta la cancelli”

La Corte Costituzionale fin dal 1984 ha costantemente affermato che il “giudice nazionale deve dare piena e immediata attuazione alle norme dell’Unione europea provviste di efficacia diretta e non applicare, in tutto o anche solo in parte, le norme interne ritenute con esse inconciliabili”. E’ quanto scrive la stessa Consulta nell’ordinanza con cui ha respinto la questione pregiudiziale sulla durata delle concessioni Monti, sollevata dal Tribunale di Bari chiamatoi a decidere sul sequestro di un ctd Bet1128. In sostanza, secondo la Corte Costituzionale, i giudici italiani devono sempre disapplicare la norma nazionale – in questo caso quella penale che sanziona la raccolta non autorizzata di scommesse – quando sia in contrasto con il diritto comunitario. Il giudice pugliese aveva chiesto l’intervento della Corte Costituzionale proprio per “cancellare” in via definitiva le norme interne in contrasto con l’ordinamento comunitario, visto che il Pubblico Ministero – esercitando l’azione penale – non aveva ritenuto di disapplicare la norma italiana. La Corte Costituzionale replica però che la semplice disapplicazione è sufficiente a risolvere le controversie: il rinvio alla CGE infatti “costituisce un prius logico e giuridico rispetto alla questione di legittimità costituzionale in via incidentale, poiché investe la stessa applicabilità della norma censurata nel giudizio principale e, pertanto, la rilevanza di cotesta questione”. E a nulla vale sostenere che vi siano dei giudici che non disapplicano la normativa interna: “l’esigenza di dirimere discordanze interpretative non può valere a sovvertire le regole del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, rendendo rilevante una questione che (proprio nella prospettiva del rimettente) non lo è”, conclude la Corte. gr/AGIMEG