Una cartella esattoriale da oltre 13 milioni di euro è stata confermata dalla sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Reggio Calabria nei confronti di un contribuente ritenuto coinvolto nella gestione di apparecchi da gioco d’azzardo irregolari, i cosiddetti totem. La vicenda prende le mosse da un’indagine penale condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia, nella quale l’uomo figura come uno dei soggetti coinvolti in un’organizzazione criminale attiva nel settore del gioco illecito.
L’Agenzia delle Entrate ha agito sulla base di una comunicazione ricevuta dal Tribunale di Potenza, contenente uno stralcio del decreto di rinvio a giudizio. Secondo l’accusa, l’uomo – formalmente dipendente come magazziniere e tecnico – avrebbe avuto un ruolo operativo ben più rilevante all’interno del sistema illecito, contribuendo alla messa in funzione e alla gestione di migliaia di apparecchi privi di autorizzazione.
Nel ricorso, il contribuente ha tentato di sottrarsi alla sanzione sostenendo la propria estraneità amministrativa alle operazioni, nonché la prescrizione dei termini di accertamento. Ha inoltre cercato di inquadrare l’attività sotto la categoria di giochi promozionali, non soggetti a imposte, e ha negato qualsiasi arricchimento personale o evasione volontaria.
Tutte le eccezioni sono state rigettate dalla Corte. In particolare, è stato ritenuto legittimo il raddoppio dei termini di accertamento previsto dall’art. 43 del DPR 600/73, poiché il procedimento penale in corso costituisce notizia di reato sufficiente ad applicare l’estensione temporale. Le violazioni contestate dalla Procura – tra cui esercizio abusivo dell’attività di gioco, frode fiscale e favoreggiamento di un’associazione criminale transnazionale – sono state ritenute gravi e rilevanti anche sul piano tributario.
Quanto alla quantificazione dei redditi non dichiarati, la Corte ha riconosciuto la validità del metodo induttivo adottato dall’Agenzia. Sulla base del numero stimato di apparecchi attivi (2.500 totem) e di un incasso medio giornaliero di 650 euro per ciascuno, i proventi complessivi dell’organizzazione sono stati calcolati in circa 593 milioni di euro annui. Al ricorrente è stata imputata una quota del 5% – pari a 1/20 del totale – in linea con il numero dei soggetti ritenuti coinvolti.
La pretesa erariale, pari a 13.061.052 euro, è stata dunque ritenuta fondata. La Corte ha sottolineato come le dichiarazioni del ricorrente non siano state accompagnate da elementi concreti capaci di escluderne il coinvolgimento o di ridimensionarne le responsabilità. Nessuna prova documentale ha avvalorato la tesi della natura “promozionale” delle attività, né è stata fornita una ricostruzione alternativa credibile dei redditi effettivamente percepiti. lp/AGIMEG