“Le società Stanley International Betting Limited e Stanleybet Malta Limited (“Gruppo Stanley” o “Stanley”) si sono viste respingere dal TAR Lazio il loro ricorso volto all’annullamento degli atti adottati, sulla base della legge n. 190 del 2014 (cd. Legge di stabilità 2015, art. 1, comma 653), dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) per l’assegnazione della concessione del gioco del Lotto. Esse hanno quindi impugnato la sentenza del TAR davanti al Consiglio di Stato. In particolare, Stanley contesta la scelta di un modello c.d. di monoproviding esclusivo (a concessionario unico) e sostiene che, comunque, i requisiti previsti per la partecipazione alla gara, di fatto, ne abbiano ristretto l’accessibilità ad un solo soggetto, il consorzio Lottoitalia Srl guidato da Lottomatica SpA, in violazione del diritto dell’Unione. In effetti, alla gara partecipò soltanto tale consorzio.
Il Consiglio di Stato ha sospeso il procedimento e si è rivolto in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia per sapere se il diritto dell’Unione (in particolare, il diritto di stabilimento, la libera prestazione di servizi, la direttiva 2014/23/UE[1] e i principii di non discriminazione, trasparenza, libertà di concorrenza, proporzionalità ecoerenza) osti:
A) a un modello di monoproviding esclusivo in relazione al solo servizio del gioco del lotto, e non già per altri giochi, concorsi pronostici e scommesse;
B) ad un bando di gara che prevede una base d’asta (nella specie, 700 milioni di euro) di gran lunga superiore rispetto ai requisiti richiesti di capacità economico-finanziaria (nella specie, almeno 100 milioni di euro al triennio di fatturato nelle attività di gestione o raccolta di gioco) e tecnico-organizzativi (nella specie, almeno 350 milioni di euro all’anno di raccolta gioco);
C) all’obbligo, di fatto, per il partecipante alla gara di rinunciare ad esercitare altri servizi di scommessa su base transfrontaliera.
Nelle sue odierne conclusioni, l’Avvocato generale Eleanor Sharpston (Regno Unito), ritiene, sulla prima questione, che il modello di monoproviding esclusivo in relazione al solo servizio del gioco del lotto non sia di per sé in contrasto col diritto dell’Unione.
A tal proposito, l’Avvocato generale rileva che vi sono vari fini di interesse pubblico e sociale che giustificano la limitazione dei giochi d’azzardo attraverso la concessione, anche esclusiva, della loro gestione: prevenire l’infiltrazione criminale nella gestione del gioco, convogliare i giochi d’azzardo in un circuito controllato soggetto a una minore competizione (e quindi promuovere una logica di governo responsabile del gioco), tutelare i consumatori, prevenire le frodi.
Per l’Avvocato generale, il modello di concessione esclusiva non sarebbe legittimo, invece, se giustificato principalmente dal fine di aumentare le entrate o da altre ragioni di natura puramente economica oppure da ragioni di efficienza amministrativa, ad esempio evitare un duplice livello di concessioni di gestione (vale a dire, l’esistenza di molteplici prestatori di servizi piuttosto che un solo prestatore di servizi esclusivo per gestire il gioco del Lotto, potrebbe rendere necessario nominare un «superconcessionario» responsabile di tutta l’attività). Secondo l’Avvocato generale, spetta al giudice nazionale stabilire quali siano gli obiettivi effettivamente e perseguiti con la scelta del modello in questione.
Per l’Avvocato generale, poi, non è corretto affermare che, poiché i giochi implicano tutti varie forme di gioco d’azzardo, devono essere trattati secondo un approccio indifferenziato. Ogni gioco d’azzardo ha le proprie peculiarità. Per quanto riguarda il lotto, l’Avvocato generale richiama le principali peculiarità ricordate dal giudice del rinvio, le quali consistono: i) nel fatto che il contratto offerto in appalto si riferisce alle attività tecniche, amministrative e organizzative rientranti nella gestione di una lotteria nazionale e non ad operazioni dirette con i clienti, come accade nel caso delle scommesse, e ii) nel rischio economico che lo Stato italiano sopporta – il quale, per quanto controverso, risulta in contrasto con l’assenza di qualsiasi rischio per lo Stato quando si effettuano scommesse presso un operatore commerciale autorizzato sul risultato di una partita di calcio o di una corsa ippica.
Quanto alla seconda questione, l’Avvocato generale rileva che il diritto dell’Unione non osta alla stipulazione di una base d’asta elevata in rapporto alle altre condizioni previste nel bando di gara, purché tale elevata base d’asta non sia indicata in modo arbitrario ma sia giustificata da argomenti oggettivi. La valutazione sul punto spetterà, ancora una volta, al giudice nazionale. A tal proposito, l’Avvocato generale ricorda comunque quanto affermato dal TAR Lazio: e cioè che: i) il fatturato derivante dalla raccolta delle giocate è stato superiore, ogni anno, a EUR 6 miliardi per cinque esercizi consecutivi (osservo che tale cifra trova riscontro nel punto II.2.1 del bando di gara), e ii) l’introito annuo che ne è derivato ammonterebbe approssimativamente a EUR 400 milioni (corrispondenti all’aggio del 6% proposto, sempre al punto II.2.1 del bando di gara). Risulta quindi che lo Stato italiano offriva di vendere la possibilità di realizzare EUR 400 milioni all’anno per un totale di nove anni (tutelata contro ogni forma di concorrenza) in cambio di (almeno) EUR 700 milioni da corrispondere in un periodo di tre anni.
Quanto alla terza questione, l’Avvocato generale osserva che essa parte da due presupposti (entrambi a favore delle società Stanley): che la legge di stabilità 2015 e il bando di gara richiedono alle società Stanley di rinunciare a un’attività commerciale qualora intenda ottenere l’aggiudicazione del contratto offerto in appalto, e che la Corte ha confermato la legittimità di tale attività commerciale. Per l’Avvocato generale, nessuno di questi due presupposti è corretto. Pertanto, l’Avvocato generale riformula la terza questione come segue: se i principii di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi e i principi di non discriminazione, proporzionalità e trasparenza ostino all’inserimento, in uno schema di convenzione per la concessione esclusiva della gestione di una lotteria nazionale, di clausole che prevedano la decadenza della concessione nel caso in cui a) il concessionario, i suoi dipendenti o agenti siano accusati di determinati reati o b) il concessionario violi le norme nazionali sulla repressione del gioco anomalo, illecito o clandestino, quando tali clausole operano in modo tale da escludere un potenziale offerente.
Per l’Avvocato generale, tali clausole debbono considerarsi legittime, purché:
– siano sufficientemente precise, prevedibili e chiare da consentire a un offerente ragionevolmente informato e normalmente diligente e avveduto di comprenderne la portata e l’applicazione, e
– le pertinenti violazioni di diritto penale o amministrativo a cui si riferiscono le clausole siano state confermate da una decisione giurisdizionale (anche se non ancora passata in giudicato), e
– l’operatore interessato abbia il diritto, riconosciuto per legge, di impugnare siffatta decisione giurisdizionale (compreso il diritto di chiedere provvedimenti provvisori), nonché il diritto di chiedere il risarcimento dei danni qualora tale decisione giurisdizionale dovesse essere successivamente riformata”. Ecco il testo in italiano delle conclusioni dell’Avvocato Generale. lp/AGIMEG