Giuliano Amato, relatore di fronte alla Corte Costituzionale del ricorso sull’eccessiva onerosità delle proroghe del bingo, non ha risparmiato le critiche alle Pubbliche Amministrazioni, in particolare all’Agenzia delle Entrate. La Consulta aveva infatti chiesto all’Agenzia e all’Ufficio Parlamentare di Bilancio di depositare delle relazioni per appurare se effettivamente il regime di proroga abbia creato delle disparità tra le sala bingo. Dalla relazione dell’Ufficio Parlamentare – ha ricostruito Amato – si deduce invece che per alcune sale il canone di proroga sia pari allo 0,4% del volume d’affari, per altre invece arrivi al 7%. Per gli avvocati delle varie sale e dell’Ascob questa disparità sta di fatto estromettendo le sale più piccole dal mercato. Oltretutto, il regime di proroga – che doveva durare due anni – è arrivato ormai a coprire un decennio e non è detto che la gara arrivi effettivamente nel 2023. L’avvocato di Stato Fabio Elefante, a conclusione dell’udienza ha però chiesto di restituire la questione al Tar Lazio, di modo che il Tribunale decida se sollevare nuovi dubbi di legittimità costituzionale: il quadro normativo è infatti profondamente mutato rispetto al 2019 – quando appunto il Tar ha chiesto l’intervento della Consulta – e sono state approvate anche una serie di norme che vanno in favore delle sale.
“L’Agenzia delle Entrate non si è sforzata molto nell’elaborazione dei dati, ci ha trasmesso un puro elenco dei concessionari con i dati relativi a ciascuno. Non ci sono cenni di aggregazione”. Lo ha detto Giuliano Amato, relatore di fronte alla Corte Costituzionale del ricorso sull’eccessiva onerosità delle proroghe del bingo, riferendosi alle relazioni chieste dalla Consulta per dirimere la controversia. “Questo lavoro lo fa un po’ meglio l’Ufficio di Bilancio che dice che l’incidenza dei canoni sulla raccolta 2019 è pari all’1,2%. Ma mentre per il 90% delle concessioni va dallo 0,8 al 2,7%, per le concessioni più ricche è pari allo 0,4%, per le più povere è al 7%”. Amato ha anche sottolineato che “La procedura selettiva è ferma al Consiglio di Stato, perché manca il parere della Conferenza Stato Regioni, poi per le vicende Covid tutto è andato a singhiozzo”.
“Un effetto così marcato, per i piccoli il canone è 14 volte superiore che per i più grandi, dà il senso della discriminazione irragionevole che paventiamo nei ricorsi” ha sottolineato l’avv. Alessandro Dagnino, legale di alcune sale bingo. “L’Ufficio Parlamentare riconosce che questa discriminazione avvantaggia le concessioni più redditizie e finisce con l’estromettere dal mercato le sale bingo più piccole”.
“Rispetto ai due cardini su cui era impostata l’ordinanza – ovvero la redditività media di una sala e lo scostamento da quella media – c’è uno scostamento che arriva al 92%. Le mie assistite appartengono sicuramente alla cerchia delle sale sfavorite”. Lo ha detto
l’avv. Luca Porfiri, legale di alcune sale. “L’Ufficio parlamentare di Bilancio riconosce che il meccanismo della proroga automatica favorisce le sale più redditizie. Oltretutto non ci troviamo di fronte a una proroga tecnica, sono passati quasi 9 anni, la durata di una concessione”.
“Già i 5mila euro sono nettamente superiori al costo della concessione, che in media dovrebbe aggirarsi sui 3.200 euro al mese” lo ha detto l’avv. Alvise Vergesio di Cesana. “Ma cos’è la proroga tecnica? Dovrebbe servire a concedere all’Amministrazione dei superpoteri in attesa della gara. Questi poteri straordinari sono giustificati se la gara arriva nel termine di 6 mesi, in questo caso parliamo di un decennio. E la stessa ADM ammette che è difficile arrivare a una gara, a causa delle normative regionali. Dal momento che non si riesce a raggiungere un’intesa con migliaia di Enti Locali, probabilmente anche il termine del 2023 verrà disatteso. La situazione provvisoria andrà avanti all’infinito, è come l’asino e la carota. Questo sistema non può andare avanti, se il Legislatore intende bandire il gioco, lo faccia in maniera trasparente”
“Come afferma il Tar le modifiche apportate nel corso degli anni hanno inciso sulla possibilità delle sale di effettuare delle scelte imprenditoriali”. Lo ha detto l’avv. Matilde Tariciotti, legale di alcune sale e dell’associazione Ascob, “Nel momento in cui è arrivata la prima proroga, l’orizzonte temporale era di 2 anni, e il canone era di 2.800 euro, la base d’asta era stato determinato in 350mila euro. Insomma la volontà del Legislatore era di traghettare i concessionari verso la nuova gara, e gli imprenditori potevano effettuare dei piani imprenditoriali basati sull’adesione o meno a questi parametri. Dal 2013 però tutti questi elementi sono stati mutati, e anche quel valore di 350mila euro potrebbe essere messo in discussione, ADM potrebbe mutare l’importo a seconda della localizzazione della sala. La proroga si è trasformata in una sorta di strumento darwiniano, resisteranno solo i concessionari più robusti”. Tariciotti ha anche sottolineato che “I dati ADM sono fuorvianti, sono dati grezzi basati sui ricavi, non tengono conto dei costi. Lo stesso Ufficio Parlamentare sottolinea che i costi sono elevatissimi. L’utile vero e proprio è estremamente esiguo e il canone incide profondamente sul suo importo”.
“Chiediamo alla Corte di restituire gli atti al Tar, come è stato già fatto nel caso dei 500 milioni. Il quadro normativo è profondamente mutato e la questione sollevata dal Tar dovrebbe essere rivalutata. Non c’è solamente il rinvio della gara al 2023, ma sono state dettate una serie di previsioni che alleviano la situazione delle sale, come la riduzione dei canoni”. Lo ha detto Fabio Elefante, avvocato dello Stato. “Inoltre sono stati emessi una serie di provvedimenti che sospendono il pagamento del canone durante la pandemia”. Elefante ha quindi ricordato che la CGE decidendo una questione simile ha affermato che “la particolare delicatezza della materia – la gestione del gioco – giustifica interventi che possono creare delle difficoltà agli operatori”. E poi ha rilevato che “Sono comunque pochi i concessionari che hanno lasciato il mercato, nel 2013 ce n’erano 214, nel 2019 erano 196. L scenario prefigurato forse non corrisponde alla realtà”
La Corte Costituzionale si è riservata di decidere sulla controversia, la sentenza è attesa nel giro di due mesi, anche se potrebbe arrivare tra un paio di settimane. lp/AGIMEG