dal nostro inviato – La Corte Costituzionale ha discusso questa mattina la legittimità dell’articolo 7, comma 3-quater, del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito nella legge n. 189 dello stesso anno, conosciuto comunemente come “normativa Balduzzi, che vieta l’installazione, presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature collegate in rete che consentano ai clienti di accedere alle piattaforme di gioco online. La norma si applica sia ai siti autorizzati dai concessionari a distanza, sia a quelli privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio.
Al centro della trattazione anche l’articolo 1, comma 923, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), che prevede una sanzione amministrativa pari a 20.000 euro per chiunque violi tale divieto.
I giudici della Corte Costituzionale nella loro relazione hanno sostenuto che “La Corte è chiamata sulla legittimità delle due questioni sollevate dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale di Viterbo, in cui vi è un’opposizione degli esercenti per sanzioni dovute alla presenza di apparecchi che consentivano l’accesso a internet”.
“La disposizione – proseguono i giudici – si potrebbe in contrasto con l’articolo 3 per il carattere assoluto del divieto che impedirebbe la messa a disposizione tout court di apparecchi con connessione a internet, anche non essendo dedicati esclusivamente al gioco online. Sarebbe violato anche l’articolo 25 per l’indeterminatezza della disposizione. Sarebbero violati anche l’articolo 41, 42 e 117 poiché i diritti di iniziativa economica sarebbero incisi da eguale sanzione anche in diverse condizioni. Inoltre, sarebbe violato anche il principio di proporzionalità. In via preliminare, l’avvocatura generale dello Stato ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili. Nel merito, l’avvocatura considera non fondate le questioni di legittimità costituzionale poiché il divieto si applicherebbe solo alle apparecchiature concretamente utilizzate per il gioco online”.
L’avvocato Marco Ripamonti, difensore della parte ricorrente, ha dichiarato: “Voglio riservare questo spazio che mi pertiene per qualche precisazione di ordine pratico: la Corte di Cassazione ha profuso uno sforzo per poter mantenere questa disposizione nell’ordinamento. Soprattutto la sua ordinanza tenta più volte di carpire il significato del dettato, ma essendo esso totalmente lapidario e svincolato da altre interpretazioni non lasciava spazio ad altro se non il rinvio alla Corte Costituzionale. Non va dimenticato che, nello stesso procedimento, prima ancora di rimettere gli atti, aveva depositato nel 2023 un’ordinanza con cui lo stesso giudice di legittimità ci dà un caposaldo entro il quale muoverci, ovvero il fermo restando della libera installazione degli apparecchi. Quindi va valutato se la navigazione su siti di gioco faccia parte della libertà dell’utente o sia una responsabilità dell’esercente”.
“In sede di udienza la Corte di Cassazione ha dovuto fare i conti con problematiche inseparabili, poiché siamo davanti a strumenti di connessione telematica attraverso i quali è possibile una navigazione a 360 gradi e, quindi, ha preso atto che i siti che potevano essere raggiunti erano i più disparati. Dunque, ha dovuto prendere atto che questi apparecchi rientrassero nel disposto così ampio della norma sanzionatoria. Inoltre, la norma non contempla i comportamenti omissivi dell’esercente. Cosa avrebbe dovuto fare l’esercente? Mettere dei filtri inibitori? Ma nel nostro ordinamento non ci sono norme in tal senso.
Come possiamo ipotizzare che il titolare di un esercizio possa controllare la navigazione di tutti gli utenti? Quindi anche il discorso della vigilanza lascia il tempo che trova. E infatti anche la Corte di Cassazione ha compreso che è una disposizione troppo sfumato, poiché non è spiegato anche il caso della concretezza della navigazione su siti di gioco online. Questa è una tesi che non si confronta seriamente con il principio di indeterminatezza. I principi suesposti sono quindi insuperabili. Inoltre c’è un altro problema: l’irragionevolezza e la sproporzione delle norme, poiché la tutela della salute non può prevaricare diritti altrettanto meritevoli di tutela come la libertà d’impresa. È irragionevole disporre un divieto così esteso.
Inoltre, nell’ambito del bilanciamento degli interessi, va capito anche se una disposizione del genere possa raggiungere i propri obiettivi poiché siamo realmente sicuri che una persona sarebbe disincentivata al gioco? A mio avviso no. La sua inconsistenza si trova anche nel rapporto col gioco online, dato che ossonoe sapere raggiunti da qualsiasi dispositivo. Inoltre, gli unici portali che possono essere raggiunti sono solo quelli autorizzati dall’ADM, sempre impegnata nell’oscuramento dei siti illegali che al 5 maggio ammontano a 11mila.
Aggiungo che per giocare sui siti di gioco online non basta raggiungerli, ma è necessario avere delle credenziali e che potrebbero essere facilmente raggiunti con qualsiasi dispositivo e non necessariamente da uno messo a disposizione al pubblico dagli esercenti. Proponiamo che la norma venga intesa nella misura in cui sia la condotta dell’esercente ad essere discriminante, ovvero che metta a disposizione, tramite credenziali di comodo o altro, siti che non potrebbero essere raggiunti con mezzi domestici. Questa è la soluzione interpretativa per questa norma. Confido quindi nell’accoglimento delle questioni di incostituzionalità che sono, a nostro avviso, fondate”.
L’avvocatura generale ha invece dichiarato che “Ribadiamo che la corretta interpretazione è quella restrittiva che abbiamo proposto nell’atto intervento, per la quale la sanzione colpisce qualora ci siano apparecchi che mettono a disposizione l’accesso ai siti di gioco online nella normalità. Quindi l’interpretazione che abbiamo proposto non sembra contraddetta dalla giurisprudenza penale in materia di esercizio abusivo di giochi e scommesse, poiché un precedente del 2013 ha stabilito che occorre la disposizione di personale e mezzi, quindi un’organizzazione per tale scopo. La mera disposizione di un computer non integra il divieto incluso nel Decreto Balduzzi. Concludo confermando la richiesta di dichiarazione di inammissibilità o comunque di infondatezza”. ac/AGIMEG