Consiglio di Stato: ok a fasce orarie a Sassari. In Cassazione respinto ricorso ctd: deve richiedere le autorizzazioni

Il Consiglio di Stato dà il via libera alle fasce orarie di Sassari, “sono legittime e non compromettono il funzionamento delle slot” e conferma la chiusura di una sala, nella quale era subentrato il gestore: “anche il sub ingresso equivale a una nuova apertura”. Intanto la Cassazione respinge il ricorso del titolare di un ctd sostenendo che “se c’è intermediazione, non contano le discriminazioni subite dal bookmaker. E’ il CTD a dover chiedere le autorizzazioni”.

Consiglio di Stato: “Fasce orarie legittime, e non compromettono il funzionamento delle slot”. Via libera a quelle di Sassari

Il Consiglio di Stato respinge la richiesta di sospendere le fasce orarie per il funzionamento delle slot adottate dal Comune di Sassari. Il Sindaco di Sassari aveva adottato una prima ordinanza nell’aprile 2017, poi a giugno 2017 ha varato un secondo provvedimento che detta la disciplina attuale. Slot e vlt possono restare accese per 8 ore al giorno: nei locali promiscui, dalle 10 alle 13 e dalle 18 alle 23; nei locali dedicati dalle 10 alle 13 e dalle 18 all’1 di notte‎. Il Tar Sardegna, in primo grado, aveva già difeso il provvedimento con una sentenza dell’agosto scorso. Adesso i giudici

della Quinta Sezione di Palazzo Spada spiegano in sostanza che i Sindaci sono legittimato a adottare simili provvedimenti, e che le fasce orarie non pregiudicano il funzionamento delle slot. La richiesta della sospensiva – si legge nell’ordinanza – “non appare assistita da sufficienti elementi di fumus boni iuris, essendo le ordinanze sindacali impugnate in primo grado legittima espressione del potere di regolazione degli orari degli esercizi commerciali (…), compatibile con la speciale disciplina degli apparecchi automatici per il gioco d’azzardo, e con il loro funzionamento tecnico, presupponente il collegamento con la rete telematica nazionale”. Inoltre sottolineano che “la censura concernente il sistema sanzionatorio appare, allo stato, sprovvista di interesse, e dunque, a maggiore ragione, priva del requisito del pregiudizio grave ed irreparabile”. gr/AGIMEG

Distanziometro, Consiglio di Stato conferma la chiusura di una sala di Venezia. Per il Comune il subingresso nella gestione è una nuova apertura

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha respinto al richiesta di sospensiva avanzata da una sala da gioco contro il distanziometro adottato dal Comune di Venezia. La sala in questione – che offriva sia scommesse che apparecchi – era stata aperta prima dell’adozione del regolamento, aveva quindi potuto continuare a operare pur non essendo in regola con le distanze. Quando però nella gestione è subentrato un nuovo soggetto, il Comune ha negato l’autorizzazione. Il Consiglio di Stato adesso sottolinea che è “meritevole di approfondimento in diritto la questione interpretativa dell’art. 6 del Regolamento comunale” ovvero la norma che detta le distanze e i requisiti dei locali. Ma rileva che “le circostanze di fatto esposte nella memoria del Comune appellato sulla soluzione di continuità tra le gestioni della sala giochi inducono a ritenere, allo stato, insussistente il requisito del fumus boni iuris”. Specifica inoltre che il fatto che la sala sorga nei pressi di due scuole “priva di fumus boni iuris la censura concernente il difetto di ragionevolezza del Regolamento”. Nel ricorso, poche ore prima dell’udienza che si è svolta ieri, si è costituita in giudizio la Sisal, titolare della concessione per la raccolta delle scommesse ippiche e sportive di cui la sala ha la gestione. La concessionaria sostanzialmente intende sottolineare che la norma che consente alle attività preesistenti di continuare a operare ha come obiettivo quello di tutelare gli investimenti già effettuati. Se si considera una nuova attività anche il subentro nella gestione, tuttavia, si pregiudicano gli investimenti effettuati della compagnia che ha acquisito la concessione. Il Collegio non ha affrontato la questione nell’ordinanza. gr/AGIMEG

Cassazione: se c’è intermediazione, non contano le discriminazioni subite dal bookmaker. E’ il CTD a dover chiedere le autorizzazioni

 “Qualora il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a un bookmaker straniero metta a disposizione dei clienti il proprio conto-giochi o un conto giochi-intestato a soggetti di comodo, consentendo la giocata senza far risultare chi la abbia realmente effettuata, il suo legame con detto bookmaker diviene irrilevante, configurandosi come una mera occasione per l’esercizio illecito della raccolta di scommesse”. Lo ribadisce la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione respingendo il ricorso intentato dalla titolare di un Ctd condannata dalla Corte d’Appello di Catania per intermediazione nella raccolta di scommesse. La donna ha sollevato diverse censure contro la sentenza, in particolare ha provato a far leva sul fatto che il bookmaker di riferimento – pur non avendo concessione italiana – fosse regolarmente autorizzato in Austria, e ha quindi sostenuto che la compagnia avesse subito delle discriminazioni nell’accesso al mercato. La Cassazione ha tuttavia giudicato irrilevante la questione, visto che la donna non si limitava a mettere a disposizione dei clienti i computer per piazzare le scommesse, ma assumeva un ruolo di intermediario, addirittura facendo passare le puntate su dei conti di gioco a lei intestati. Non è pertanto la compagnia madre a dover ottenere la concessione e l’autorizzazione di polizia, ma il titolare del centro. La donna – sottolinea la Cassazione, “Non contesta, in particolare, la corretta e logica affermazione della Corte d’appello, secondo cui l’imputata, al fine di consentire le giocate, metteva a disposizione dei clienti il proprio conto-giochi e poi provvedeva alla stampa delle giocate stesse, cosicché era lei che figurava quale “scommettitore”, rispetto alle operazioni poste in essere per conto dei terzi interessati” con il bookmaker. “Tale modo di procedere configura una illegittima intermediazione, che rende irrilevante la questione dell’esistenza di titoli autorizzatori o concessori” in capo al bookmaker, “essendo il legame con la stessa una mera occasione per l’esercizio illecito della raccolta di scommesse da parte dell’imputata”. E quindi, la Suprema Corte ricorda che sulla questione la propria giurisprudenza è ormai costante: “in tema di esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa, l’avere posto in essere, mediante attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse, la condotta prevista dall’art. 4, comma 4-bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, che non sia limitata alla mera trasmissione delle scommesse effettuate dai clienti ad un allibratore straniero, esclude ogni profilo discriminatorio nella partecipazione dello stesso alle gare, dal momento che l’attività e la conseguente necessità di titolo autorizzativo va individuata direttamente in capo all’operatore italiano”. rg/AGIMEG