“Gli operatori di filiera non contraggono una mera obbligazione tributaria bensì, rivestendo il ruolo di incaricati di pubblico servizio sono tenuti a versare immediatamente al concessionario le somme ottenute dai giochi attraverso gli apparecchi predisposti per le giocate”. Di conseguenza “Commette il reato di peculato”, il gestore che “omette il versamento delle somme riscosse per conto dell’Amministrazione Finanziaria”, dal momento che “il denaro incassato dall’agente è, sin dal momento della sua riscossione, di pertinenza della P.A”. La Sesta Sezione Penale interviene nuovamente sul reato commesso dal gestore che omette di versare il Preu, e lo qualifica come peculato. Il gestore, di conseguenza, deve essere qualificato come un incaricato di pubblico servizio, sebbene non abbia un rapporto diretto con l’Amministrazione. “La natura privatistica del contratto con cui il concessionario “demanda” ad altro soggetto l’esercizio dell’attività di agente contabile non incide sulla veste di incaricato di pubblico servizio del suboncessionario, in quanto preparatoria e “funzionale” alla riscossione del prelievo erariale unico sulle giocate”. Il denaro che costituisce il Preu, inoltre, “è fin da subito di spettanza della Pubblica Amministrazione, posto che il concessionario contabilizza il prelievo erariale unico ed esegue il versamento con le modalità definite dall’Amministrazione dei Monopoli. Il denaro versato dai giocatori diviene “pecunia publica” non appena entra in possesso del soggetto incaricato di raccogliere tale denaro”. Solo alcune settimane fa, la stessa Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rinviato la questione alle Sezioni Unite che dovranno stabilire se questa condotta integri il reato di peculato o quello di truffa aggravata ai danni dello Stato, dal momento che nel tempo si siano formati due orientamenti diversi. lp/AGIMEG