La dipendenza da gioco d’azzardo è certamente un disturbo della personalità, ma non comporta l’incapacità – totale o parziale – di intendere e di volere. E’ in sostanza quanto afferma la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, respingendo il ricorso di un agente assicurativo condannato per aver truffato alcuni clienti. Con il ricorso, l’imputato chiedeva di annullare la sentenza d’appello, visto che non il giudice non aveva adeguatamente soppesato la dipendenza da gioco d’azzardo, e non l’aveva considerata come una vera e propria incapacità di intendere e di volere. La Cassazione sottolinea però che nel corso del processo sono state depositate numerose relazioni dei Sert che attestavano la dipendenza da gioco, ma non si può “evidentemente assimilare il concetto di patologia a quello di incapacità parziale o totale”. In nessuno di questi documenti, infatti “si fa il minimo cenno ad una qualche menomazione delle capacità mentali dell’imputato”. Inoltre, la Suprema Corte ricorda che per far valere un’eventuale infermità, l’imputato deve dimostrare due aspetti, ovvero “se il disturbo abbia consistenza, intensità e gravità tali da incidere effettivamente sulla capacità di intendere e di volere del reo, escludendola o scemandola gravemente”; e “se il disturbo sia poi in concreto collegato da un nesso eziologico (causa-effetto, NdR) con la specifica condotta criminosa”. Nel giudizio di merito, invece, “sono mancate le necessarie acquisizioni in fatto, capaci di dimostrare adeguatamente, nel concreto caso in esame, se, quando e come l’imputato abbia effettivamente abusato di gioco d’azzardo”. rg/AGIMEG