Cassazione, i proventi della vendita delle carte prepagate sono soldi del giocatore, non dell’operatore

I proventi della vendita di carte prepagate – per ricaricare i conti di gioco – non sono soldi che spettano alla compagnia, ma ai giocatori che hanno tramutato “il proprio denaro contante in valuta elettronica utilizzabile per le proprie scommesse”. E quando la società viene posta in liquidazione e non è possibile individuare i giocatori, questi soldi devono essere devoluti alla Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 154, D.P.R. n. 115/2002. E’ in sostanza quanto ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, respingendo il ricorso del legale rappresentante e liquidatore della società in questione per ottenere il dissequestro – e quindi la restituzione – del denaro. Secondo quest’ultimo, le costituivano “il corrispettivo della vendita di carte prepagate acquistate dagli scommettitori e che, trattandosi del prezzo del servizio venduto, erano da considerarsi di piena titolarità della società”. La Cassazione tuttavia avvalora la ricostruzione del giudice dell’esecuzione prima, e del Tribunale di Firenze poi: le carte prepagate vanno considerate “uno strumento mediante il quale lo scommettitore tramutava il proprio denaro contante in valuta elettronica utilizzabile per le proprie scommesse. La società non avrebbe potuto pertanto disporne a proprio piacimento, costituendo tali somme un debito di pari importo nei confronti dei terzi scommettitori in quanto somme che potevano essere utilizzate dagli stessi per giocare”. La società in sostanza diventa un “mero detentore a titolo di deposito”. gr/AGIMEG