La Cassazione conferma le condanne – a un anno di reclusione e alla sanzione di 50mila euro – per due soggetti che avevano organizzato una corsa clandestina di cavalli in strada. Gli imputati avevano provato a difendersi spiegando di non aver organizzato una corsa, ma di aver portato i cavalli in strada solamente per esibirli; del resto dal momenti che gli agenti intervenuti sul posto non avevano sequestrato denaro, non c’era alcuna prova che l’evento fosse stato organizzato per raccogliere scommesse. Ma la Settima Sezione Penale della Cassazione replica che i giudici di primo e secondo grado hanno correttamente ricostruito la vicenda e che le sentenze sono adeguatamente motivate. La Corte d’Appello in particolare ha fatto leva su “Un compendio istruttorio solido e non contestabile”, mettendo in evidenza che “erano presenti sul posto una folta folla e numerosi cavalli; era stato predisposto uno starter, ossia una macchina che si poneva davanti agli animali, facendoli allineare e quindi facendoli partire; erano presenti vedette, che impedivano alle macchine di accedere alla strada ove si svolgeva la competizione; era presente un’ambulanza, in uno con alcuni veterinari. La tesi della mera esposizione dei cavalli, ribadita (con argomento in fatto) anche in questa sede, doveva poi esser smentita, atteso che gli animali – lungi dall’esser singolarmente addobbati – erano muniti di fantino e calesse”. La Cassazione, ricorda quindi che nel caso delle corse clandestine, il pericolo per l’integrità fisica degli animali – che rende le competizioni penalmente rilevanti – “va valutato in concreto sulla base di un criterio “ex ante” in relazione sia alle peculiarità della gara, sia alle complessive condizioni in cui essa si svolge, con particolare riguardo, oltreché alle circostanze di tempo e di luogo, alle caratteristiche strutturali dell’impianto. Esattamente quanto riscontrato nel caso di specie, con i cavalli costretti a correre sulla strada, in presenza di molte persone”. rg/AGIMEG