“Il gioco del poker è riconducibile nel novero dei giochi d’azzardo, in quanto rispetto all’abilità del giocatore risulta comunque preponderante l’alea. Il ragionamento seguito dal Tribunale emiliano non presta il fianco ad alcuna censura logica, neanche per quanto concerne il mancato rinvenimento della posta in gioco, essendo del tutto indifferente che il corpo del reato venga rinvenuto, come nel caso di specie, in possesso di un altro giocatore che evidentemente fungeva anche da cassiere, seduto anch’egli allo stesso tavolo, posto che la somma da costui detenuta era comunque destinata al termine della partita a chi fosse risultato vincitore”. Con questa motivazione la Corte di Cassazione ha respinto un ricorso contro la sentenza del Tribunale di Forlì che ha condannato un giocatore di poker alla pena di 3.000 euro di ammenda ritenendolo responsabile della contravvenzione di cui all’art. 720 cod. pen. per aver preso parte ad un gioco di azzardo, il poker texas Hold’em all’interno di un circolo di Cesena. I supremi giudici evidenziano come “il ricorrente non contesta che il gioco che stava praticando fosse un poker, ma esclude che lo stesso rientrasse nell’ambito dei giochi di azzardo contemplati dall’art. 721 cod. pen. sostenendo che i vari elementi istruttori acquisiti non fossero tra loro collegabili. E’ invece dalla valutazione congiunta dei suddetti elementi che il Tribunale desume l’elemento oggettivo del reato, avendo ritenuto che il possesso di fiches non convenzionali, ovverosia di importo superiore rispetto a quelle utilizzate nei tornei regolari, tali da consentire puntate libere, trovate insieme alle carte da gioco sul tavolo, la possibilità di riscriversi dopo l’eventuale eliminazione unitamente alla mancanza di regolamento del gioco, di quote di iscrizione, e di un monte premi finale, nulla essendo stato addotto dalla difesa al riguardo, configurassero il gioco di azzardo, contraddistinto, così come previsto dall’art. 721 cod. pen., dall’aleatorietà della perdita o della vincita e dalla finalità di lucro, ovverosia dall’arricchimento senza causa, in quanto sganciato da una qualsivoglia abilità, all’infuori della conoscenza delle regole del gioco, perseguita dai singoli partecipanti (…). Ed è proprio l’ammontare della cassa, costituita da euro 2000 in contanti ed euro 21.000 in assegni, che esclude che l’imputato si trovasse intento insieme agli altri a praticare un ordinario gioco di carte, privo di finalità di lucro, come tenta di sostenere la difesa: l’entità della posta in gioco rivela indiscutibilmente la finalità di guadagno che tramite esso veniva perseguita dai singoli partecipanti, quale elemento costitutivo della contravvenzione in contestazione”. Infine la circostanza, che la difesa neppure contesta, che il ricorrente insieme agli altri coimputati fosse stato sorpreso dagli agenti di polizia giudiziaria al momento del sopralluogo seduto al tavolo da gioco con le carte francesi davanti a sé insieme alle fiches necessarie per le puntate, lungi dal configurare un mero accordo criminoso non ancora attuato, “dimostra che il gioco era pienamente in corso. Evidenze queste che, costituendo tracce del gioco in corso, concretizzano al contempo la condizione di punibilità del reato ricorrendo la flagranza in presenza di elementi tali da non porre in dubbio che immediatamente prima della sospensione causata dall’intervento delle forze dell’ordine si stesse praticando un gioco d’azzardo. Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile”. lp/AGIMEG