Caso scommesse, avv. Giacobbe: “Dal punto di vista giuridico è più grave l’aver fatto puntate su siti privi di autorizzazioni”. Avv. Cirillo: “Le società potrebbero chiedere ai giocatori un risarcimento danni”

Il caso scommesse che coinvolge importanti nomi del calcio italiano sta catalizzando l’attenzione di tutti gli appassionati. Fagioli, Tonali e Zaniolo sono i primi tre giocatori che sono finiti nel mirino della Procura di Torino, ma l’inchiesta sembra essere solo agli inizi e probabilmente verranno fuori altri calciatori di rilievo.

In merito a questo caso Agimeg ha chiesto l’opinione a due importanti avvocati, Luca Giacobbe e Massimiliano Cirillo, entrambi esperti del settore del gioco pubblico ma anche di diritto sportivo, sulla gravità della situazioni e sulle possibili conseguenze che dovranno pagare i calciatori coinvolti.

Il caso dei calciatori accusati di aver scommesse su siti illegali sta riempiendo giornali, radio e tv. Ci sono ancora tanti punti oscuri e da chiarire. Fermo restando che parliamo su quanto emerso finora e che quindi ulteriori novità potrebbe modificare la situazione e di conseguenza i giudizi, è giusto fare delle precisazioni tecniche. E’ più grave il fatto che calciatori professionisti abbiano scommesso o che lo abbiano fatto su siti illegali?

“Dal punto di vista giuridico è ovviamente più grave l’aver effettuato puntate su siti di scommesse di operatori privi di concessione statale. La norma di riferimento è l’art. 4 c. 3 della Legge 401/89 che punisce chi effettua le puntate anche se con pene piuttosto contenute (arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire centomila a lire un milione). A mio avviso, a prescindere dai risvolti sul piano dell’ordinamento sportivo, il fatto grave è che la tempesta mediatica in corso e tutte le valutazioni più di ordine moralistico che stanno avvolgendo questa vicenda ed i suoi protagonisti (che ripeto sul piano della giustizia penale rischiano una contravvenzione punita alternativamente anche arresto o con un’ammenda di qualche centinaio di euro) rischiano di farci perdere di vista il vero aspetto critico ossia l’estrema facilità di accesso alle piattaforme di gioco illegale soprattutto da parte dei più giovani”. E’ la risposta dell’avvocato Luca Giacobbe ad Agimeg.

“Queste piattaforme non rispettano nessuno degli obblighi normativi cui sono assoggettati tutti i concessionari compresi il pagamento delle imposte all’Erario, le norme a presidio del gioco responsabile come la possibilità di autolimitazione delle puntate dei giocatori, le norme sull’identificazione del giocatore e sulla tracciabilità dei pagamenti. La pervasività di queste piattaforme – prosegue Giacobbe – che viaggiano sul passaparola ed attraverso chat chiuse è un tema fin troppo trascurato dal legislatore perché dobbiamo ammettere che la normativa che si è stratificata negli anni è incapace di supportare l’impegno dell’autorità giudiziaria e dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli; basti pensare che l’amministrazione del tutto encomiabilmente a fine anno avrà chiuso per il solo anno 2023 quasi 10.000 siti collegati a bookmaker illegali. Oggi chi gestisce una piattaforma di raccolta scommesse senza una concessione statale e quindi del tutto illegalmente viene punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore a lire un milione pene ridicole rispetto il reale giro d’affari. In termini di percezione del legislatore dell’offensività di questa fattispecie pensi che in Italia chi organizza un rave party è punibile con una pena dai 3 ai 6 anni di reclusione mentre qui siamo in presenza di reti su cui transitano milioni di euro ogni giorno”, ha concluso Giacobbe.

Come crede possa svilupparsi, in termini di eventuali condanne, la situazione dei calciatori coinvolti? Esistono precedenti che danno indicazioni in tal senso?

“Si dica, innanzitutto che, dal punto di vista sportivo i rischi per i calciatori sono molto più rilevanti che da quello penale, dove i tempi sono notoriamente molto più lunghi e la sanzione per il reato contestato, ossia l’esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa, prevista dalla Legge 401/89, è una pena detentiva (arresto fino a 3 mesi e ammenda), convertibile in sanzione pecuniaria da 51 a 516 euro”. Sono le dichiarazioni ad Agimeg dell’avvocato Massimiliano Cirillo.

L’art. 24, comma 1, del Codice di giustizia sportiva vieta ai soggetti dell’ordinamento federale, ai dirigenti, ai soci e ai tesserati delle società appartenenti al settore professionistico di effettuare o accettare scommesse, direttamente o indirettamente, anche presso i soggetti autorizzati a riceverle, che abbiano ad oggetto risultati relativi ad incontri ufficiali organizzati nell’ambito della FIGC, della FIFA e della UEFA. Le sanzioni – continua Cirillo – per la violazione di quanto sopra sono previste al comma 3 del medesimo articoli, ossia l’inibizione o la squalifica non inferiore a tre anni nonché l’ammenda non inferiore ad euro 25.000,00. Tuttavia, va detto che la sanzione può ridursi in caso di patteggiamento o collaborazione del giocatore sotto indagine. Dalle informazioni pubbliche disponibili ad oggi, emerge che il calciatore Nicolò Fagioli sia già mosso in tal senso, richiedendo alla Procura federale l’applicazione di una sanzione ridotta, previa trasmissione alla medesima di una proposta di accordo. La summenzionata fattispecie è quella prevista dall’art. 126 del Codice di giustizia sportiva, ossia il patteggiamento richiesto, una volta notificato al giocatore l’avviso di conclusione delle indagini e prima che il Procuratore federale abbia notificato al medesimo l’atto di deferimento. In tal caso, la sanzione può essere ridotta anche fino al 50%, diversamente dal patteggiamento previsto all’art. 127, il quale differisce oltre che per il momento in cui viene richiesto (tra il deferimento e la prima udienza) sia per gli interlocutori, in quanto in questo caso, l’organo giudicante è il Tribunale federale, mentre nel primo la Procura federale, impattando sia da un punto di vista sanzionatorio (lo sconto è solo di un terzo) sia da un punto di vista della “macchia” sulla fedina del giocatore, essendo una vera e propria decisione di un organo giudicante. C’è, infine, anche un’altra possibilità di riduzione della sanzione, prevista dall’128, la quale riguarda la collaborazione dei giocatori incolpati, che potranno ricevere uno sconto secondo equità, in caso di ammissione di responsabilità e di collaborazione”.

“Un precedente è quello accaduto nel 2011 al giocatore Vittorio Micolucci dell’Ascoli, per cui la Procura federale chiese 14 mesi. Altri precedenti in Europa possiamo trovarli in Francia, con la squalifica, nel 2022, di quattro calciatori di Ligue 1 che hanno subìto rispettivamente cinque giornate di squalifica per Leon (Auxerre), quattro per Castelletto (Nantes) e Cardona (Brest), una per Delaye (Montpellier) e Djiku (Strasburgo). Un altro caso lo troviamo in Inghilterra, con l’inglese Kieran Trippier, al quale sono state irrogate dieco settimane di squalifica per aver “consigliato” ad alcuni amici di scommettere sul suo trasferimento dal Tottenham all’Atletico Madrid, che poi avvenne. Sempre in Inghilterra, lo scorso maggio, l’attaccante del Brentford Ivan Toney ha subito una squalifica di otto mesi (ridotta dagli iniziali 15), per aver eseguito 232 scommesse, di cui 29 sulla squadra in cui militava in quei tempi e 15 puntate su un suo gol”, conclude Cirillo.

Le squadre di appartenenza dei giocatori coinvolti rischiano qualcosa? Come possono le società di appartenenza rivalersi su di loro, se eventualmente venissero squalificati?

“L’art 24 del CGS, al comma 5, prevede che i soggetti di cui all’art. 2, tra cui le società, che siano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano posto o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati ai commi 1 e 2, abbiano l’obbligo di informarne, senza indugio, la Procura federale. Il mancato adempimento di tale obbligo – precisa Cirillo – comporta per il soggetto inadempiente la sanzione della inibizione o della squalifica non inferiore a sei mesi e dell’ammenda non inferiore ad euro 15.000,00″. D’altro canto, invece, nel caso di accertata violazione di divieti in materia di scommesse da parte del giocatore (il quale, è bene ricordarlo, è a tutti gli effetti un loro dipendente), potrebbero avanzare nei confronti di quest’ultimo una richiesta di risarcimento del danno, una riduzione dello stipendio o, addirittura, la risoluzione del contratto, a seconda della gravità della sanzione e della durata della squalifica, la quale danneggerebbe inevitabilmente la società per la mancata fruizione della prestazione del giocatore”. lp/AGIMEG