+++ ULTIMA ORA +++ Canoni bingo, sentenza del Consiglio di Stato: si va alla Corte di Giustizia Europea. Il documento integrale

Il Consiglio di Stato Sezione VII ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea la questione pregiudiziale sulla compatibilità della normativa italiana sulla proroga tecnica del bingo ai principi del trattato.

Ecco la sentenza integrale:

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

 

sul ricorso numero di registro generale 2225 del 2022, proposto dalla S.r.l. Ascob – Associazione Concessionari Bingo, e dai concessionari B&B S.r.l., Battistini Andrea S.r.l., Better Now S.r.l., Bingo Adda S.R.L, Bingo Baccara S.r.l., Bingo Boing S.r.l., Bingo Bon S.r.l., Bingobrescia S.r.l., Bingo Bul S.r.l., Bingo Centrum S.r.l., Bingo Dolomiti S.r.l., Bingo Gallura S.r.l., Bingo Globo S.r.l. Unipersonale, Bi.Pa. S.r.l., Bingo Ritz Somalia S.r.l., Bingo Seven Monza S.r.l., Bingo Star Rovigo S.r.l., Bingo Time Trentino S.r.l., Borgaro Bingo S.r.l., Dora S.r.l., Eden S.r.l., Eliodoro S.r.l., Eurogela Giochi S.r.l., Euronissa Giochi S.r.l., Fiore S.r.l., Hippobingo Firenze S.r.l., Hippogroup Cesenate S.p.A., Hippogroup Modena S.r.l., Iris S.r.l., Kristal Palace S.r.l., Le Casinò S.r.l., Michele Surace e Bingo S.r.l. Unipersonale in Amministrazione Giudiziaria, Milano Giochi S.r.l., Mondo Bingo S.r.l., Progetto Bingo S.r.l., Romulus S.r.l., Tutto Gioco S.r.l., in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Matilde Tariciotti e Luca Giacobbe, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

 

contro

Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Seconda, n. 12459/2021

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 settembre 2022 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per la parte appellante gli avvocati Matilde Tariciotti e Luca Giacobbe;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue

 

I. L’OGGETTO DELLA CONTROVERSIA DI CUI AL PROCEDIMENTO PRINCIPALE

1. La presente controversia ha ad oggetto l’applicazione della normativa nazionale che ha imposto a carico di alcuni gestori di giochi e scommesse (Sale Bingo), con concessioni ormai scadute da tempo e in regìme di “proroga tecnica”, il pagamento di un “canone di proroga tecnica” su base mensile.

Gli operatori interessati lamentano che l’imposizione di tale canone di proroga tecnica costituisca violazione di numerose disposizioni del diritto UE primario e derivato.

In particolare, la legge n. 147 del 2013, articolo 1, coma 636 aveva previsto che le concessioni di gioco per la raccolta del Bingo in scadenza negli anni 2013 e 2014 dovessero essere attribuite con procedure ad evidenza pubblica e che i gestori uscenti, laddove intendessero partecipare alle nuove gare, avrebbero dovuto versare un canone di proroga tecnica mensile (inizialmente fissato in 2.800 euro).

In realtà, negli anni successivi, le gare in questione non sono state indette e i concessionari uscenti hanno continuato ad operare in regìme di proroga, essendo però obbligati a versare mensilmente il predetto canone di proroga tecnica.

2. Con ricorso n. 7282/2020, proposto dinanzi al TAR del Lazio, sede di Roma, la S.r.l. ASCOB – Associazione Concessionari Bingo, e le altre società di cui all’epigrafe, in qualità di titolari di concessioni del gioco del Bingo scadute ed operanti in regime di proroga tecnica, hanno impugnato, chiedendone l’annullamento, la nota (datata 9 luglio 2020), con la quale l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha respinto la loro istanza (in data 2 luglio 2020) con cui chiedevano:

1) di voler disporre – quanto meno in via temporanea ed in attesa di vagliare l’adozione di ulteriori provvedimenti, funzionali a ripristinare l’equilibrio economico finanziario delle concessioni e comunque fino alla definizione del contenzioso sub punto 3) delle premesse – la sospensione del pagamento del canone relativo alla proroga tecnica;

2) di voler comunque disporre – quanto meno in via temporanea ed in attesa di vagliare l’adozione di ulteriori provvedimenti, funzionali a ripristinare l’equilibrio economico finanziario delle concessioni e comunque fino alla definizione del contenzioso sub punto 3) delle premesse – che tutti gli operatori, titolari di concessioni per il gioco del bingo, siano facoltizzati a versare l’importo mensile di Euro 2.800,00, producendo per la restante un’appendice alla fideiussione o polizza assicurativa già rilasciata in favore di Codesta Spettabile Agenzia ai sensi dell’art. 15 della convenzione di concessione a precisazione che la garanzia è estesa anche al pagamento del canone

mensile relativo alla proroga tecnica;

3) di voler assumere ogni iniziativa necessaria a preservare l’equilibrio economico finanziario delle concessioni del bingo, procedendo ad avviare ogni necessario procedimento, anche in contraddittorio con gli operatori”.

2.1. In via ancora preliminare gli operatori in questione chiedevano:

a) la diretta disapplicazione dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017, nella parte in cui ha modificato l’art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013 (incrementando l’importo mensile del canone di proroga tecnica fino a 7.500 euro al mese), per contrasto con il diritto dell’Unione rilevante in tema di concessioni, gli artt. 49 e 56 del TFUE, i principi di certezza e di tutela della concorrenza, il principio di effettività delle situazioni giuridiche, l’art. 5 e il considerando 76 della direttiva 2014/23/UE;

b) in difetto di diretta disapplicazione, la rimessione della questione pregiudiziale, previa sospensione del giudizio, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267, comma 2, TFUE, per conoscere se i provvedimenti impugnati e le norme interne presupposte siano compatibili con l’interpretazione del diritto dell’Unione rilevante in tema di concessioni, gli artt. 49 e 56 del TFUE, i principi di certezza e di tutela della concorrenza, il principio di effettività delle situazioni giuridiche, l’art. 5 e il considerando 76 della direttiva 2014/23/UE;

c) la sollevazione della questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte costituzionale, relativamente al contrasto dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017, nella parte in cui ha modificato l’art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013, con numerosi articoli e princìpi della Costituzione italiana.

3. Nel richiedere l’intervento dell’Agenzia, gli istanti lamentavano “uno stato di gravissima difficoltà economico-finanziaria e di sostanziale carenza di liquidità in capo agli operatori del bingo che già esercitavano la concessione in una situazione di significativo disequilibrio”, sia in relazione all’emergenza legata all’epidemia da COVID-19, sia in considerazione dell’innalzamento del canone concessorio mensilmente dovuto ai sensi dell’art. 1, comma 1047, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che ha modificato il comma 636 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014), a sua volta in aumento rispetto all’adeguamento già previsto dall’art. 1, comma 934, della legge n. 208/2015, fino ad arrivare al più recente intervento di cui all’art. 1, commi 1130-1133, della legge n. 178/2020.

In particolare, i gestori lamentavano che l’importo mensile del canone di proroga tecnica fosse stato elevato dagli iniziali euro 2.800 (legge n. 147 del 2013) ad euro 5.000 (legge n. 208 del 2015), per essere poi ulteriormente elevato sino ad euro 7.500 (legge n. 178 del 2020).

4. Con la nota impugnata, l’Agenzia ha respinto tutte le richieste, con la motivazione che le stesse “non possono essere accolte sic et simpliciter da questa Agenzia, trattandosi, come appena rappresentato, di importi decisi da una norma primaria (non modificabile con un mero provvedimento amministrativo), per la quale, peraltro, è pendente un giudizio di legittimità costituzionale”.

5. Gli operatori appellanti hanno contestato il diniego dell’Agenzia dinanzi ai Giudici amministrativi nazionali (dapprima il Tribunale amministrativo regionale e in seguito il Consiglio di Stato). A sostegno delle proprie pretese, i ricorrenti hanno sostenuto l’illegittimità del diniego, sotto i seguenti profili:

i) per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017, e per eccesso di potere per falsità dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, sviamento, irragionevolezza e perplessità dell’azione amministrativa. L’Agenzia avrebbe infatti erroneamente ritenuto di non potere riconoscere misure di sospensione del canone di proroga tecnica mediante provvedimento amministrativo e che ciò fosse impedito in ragione della fissazione ex lege della misura del canone concessorio;

ii) per difetto di istruttoria e di motivazione, avendo l’Agenzia omesso di svolgere qualsivoglia indagine tesa a verificare se ricorressero, da un punto di vista fattuale, i presupposti per ritenere che la disciplina concessoria vigente – ivi compresa la fissazione ex lege del canone concessorio nella misura di 7.500,00 euro – potesse consentire il permanere di concessioni in equilibrio economico finanziario. In particolare l’Agenzia avrebbe omesso di valutare se esistessero le condizioni per assicurare agli operatori, anche con provvedimenti provvisori, il riequilibrio economico-finanziario delle concessioni a fronte della grave crisi che caratterizzava il periodo;

iii) per violazione e falsa applicazione dell’art. 165, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (si tratta dell’articolo del Codice dei contratti pubblici il quale, recependo la Direttiva 2014/23/UE, fissa il principio dell’equilibrio economico-finanziario delle concessioni di rilevanza per l’UE), nonché degli artt. 1366, 1375 e 1374 codice civile, alla luce del più generale principio della rinegoziazione dei rapporti di durata relativi a negozi giuridici, contratti e convenzioni, fra le quali dovrebbero essere ricomprese anche quelle stipulate dalla Pubblica Amministrazione.

II. IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO

6. Innanzitutto, sotto il profilo della tutela cautelare, il TAR ha accolto l’istanza di sospensiva avanzata dai ricorrenti ed ha sospeso l’efficacia del provvedimento di diniego con l’ordinanza n. 6247/2020, confermata dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 1204/2020.

L’effetto interinale che si è prodotto è stato quello di consentire ai concessionari di versare, fino al momento della pubblicazione della sentenza di merito, solo una parte del canone dovuto per l’esercizio della proroga tecnica, ovverossia la somma di euro 2.800,00 mensili, corrispondente all’originario importo previsto dall’art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013, e di prestare garanzia fideiussoria per la restante parte e fino a totale copertura dell’ammontare del canone dovuto pari ad euro 7.500,00 (cioè il canone come da ultimo previsto dall’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017).

7. Sempre in sede cautelare, il TAR ha sospeso il giudizio, ritenendo necessario attendere il pronunciamento della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale rimessa dallo stesso TAR sulla medesima normativa rilevante (art. 1, comma 1047, legge n. 205 del 2017, nella parte in cui ha modificato l’art. 1, comma 636, legge n. 147 del 2013), nell’ambito di contenziosi similari (precisamente, si tratta delle ordinanze di rimessione n. 4021 e n. 4022 del 26 marzo 2019, emesse, rispettivamente, nei giudizi n. 2839 e n. 3333 del 2018).

8. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 49 del 2021 ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale della legge n. 205 del 2017, articolo 1, comma 1047 che era stata sollevata dal T.A.R. del Lazio in relazione a diversi parametri costituzionali.

Dopo il pronunciamento della Corte costituzionale, il T.A.R. ha quindi deciso la causa con la sentenza impugnata in epigrafe.

Più nel dettaglio, il T.A.R.:

a) ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso nella parte concernente l’impugnativa avverso il diniego di adozione di misure temporanee funzionali a ripristinare l’equilibrio economico finanziario delle concessioni;

b) ha respinto il ricorso nella parte concernente l’impugnativa avverso il diniego di rinegoziare le condizioni di esercizio delle concessioni;

c) ha ritenuto non sussistere i presupposti per una ulteriore rimessione della questione alla Corte costituzionale, né quelli per rinviare in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, giudicando il quadro normativo interno compatibile con i principi costituzionali e con il diritto europeo, tenuto conto del carattere eccezionale e temporaneo della proroga tecnica e della funzionalità di tale proroga rispetto all’obiettivo di allineare temporalmente le concessioni al fine di bandire la nuova gara, e già allo scopo di eluderla.

III. IL GIUDIZIO DI APPELLO

9. Gli appellanti hanno censurato la correttezza del ragionamento logico giuridico seguito dal primo giudice ed hanno articolato numerosi motivi di ricorso:

Con il primo motivo sostengono che la decisione sarebbe errata, innanzi tutto, nella parte in cui ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’impugnativa avverso il diniego di adozione di misure temporanee di modifica delle condizioni di esercizio delle concessioni.

In particolare, secondo gli appellanti, l’errore sarebbe duplice:

i) sul piano processuale, perché l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse sarebbe stata dichiarata d’ufficio dal giudice, senza sottoporre la questione al contraddittorio delle parti;

ii) sul piano sostanziale, perché l’interesse non sarebbe stato soddisfatto, in quanto:

– l’ordinanza cautelare n. 6247/2020 del TAR, confermata dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 1204/2020, ha sì ridotto l’importo del canone, ma lo ha nuovamente ancorato ad una determinazione astratta e legalmente predeterminata, senza cioè riconsiderare il rischio di impresa e l’equilibrio convenzionale;

– inoltre, anche le successive misure introdotte dal legislatore con l’art. 1, commi 1130 e 1131, della legge n. 178/2020, e con l’art. 69, comma 3, del decreto legge n. 18/2020, sarebbero state dei meri palliativi, perché la rateizzazione del pagamento ha avuto il solo effetto di differire nel tempo l’obbligo di pagamento, senza tuttavia eliminarlo.

Con il secondo motivo lamentano che la sentenza sarebbe errata anche nella parte in cui ha respinto l’impugnativa avverso il diniego opposto dall’Agenzia all’adozione di provvedimenti rivolti a “riconsiderare – in ragione del mutato contesto economico e di esercizio delle concessioni – l’equilibrio economico finanziario delle stesse, eventualmente anche stabilendo la non debenza del canone e, quanto meno, la sua riduzione”.

In particolare, la sentenza appellata avrebbe acriticamente recepito le motivazioni addotte dall’Agenzia, ovverossia che “a fronte di una misura legislativamente predeterminata qual è quella relativa alla pretesa del pagamento del canone concessorio fissato dal legislatore, all’Agenzia [sia] precluso il potere di esercitare qualsivoglia intervento sulla stessa, sia per quel che riguarda l’importo che la tempistica di versamento, come del resto confermato anche dagli interventi legislativi sopra richiamati che, in ragione della pandemia, ne hanno ridefinito le relative scadenze, rateizzandone il pagamento”, e che, di conseguenza, non si sarebbe potuta dare una “risposta diversa da quella comunicata nell’atto impugnato, in ragione dell’impossibilità di modificare discrezionalmente con un proprio provvedimento il canone stabilito ex lege per la proroga della concessione”.

A questo proposito, gli appellanti non contestano affatto che l’ammontare mensile del canone di proroga tecnica sia previsto da una norma di legge, ma sostengono che ciò non sarebbe sufficiente a giustificare una prassi interpretativa interna volta a privare l’Amministrazione della potestà amministrativa discrezionale di riconsiderare l’equilibrio economico finanziario delle concessioni.

Diversamente, sostengono, laddove fosse davvero impedito all’Agenzia di adottare qualunque provvedimento amministrativo di riequilibrio, si determinerebbe una palese violazione del diritto europeo e di quello interno, in quanto si tratterebbero in modo ingiustificatamente deteriore i rapporti giuridici di durata nascenti dalle concessioni del gioco, rispetto a quelli nascenti dai negozi giuridici e dai contratti (artt. 1366 c.c., 1375 c.c. e 1374 c.c.); dalle altre concessioni di diritto pubblico (art. 165, decreto legislativo n. 50 del 2016, che recepisce la direttiva 2014/23/UE); da particolari rapporti concessori, come quelli relativi agli impianti sportivi pubblici (art. 216, comma 2, del decreto legge n. 34/2020, convertito dalla legge n. 77/2020).

In terzo luogo essi lamentano che la sentenza impugnata avrebbe errato anche nel ritenere che l’odierno contenzioso possa risolversi sulla base della sola declaratoria di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale esaminata dalla Corte con la sentenza n. 49 del 2021, senza considerare le peculiarità del caso.

Più in particolare, gli appellanti segnalano che l’odierno contenzioso presenta dei tratti in comune con quello già deciso dalla Corte costituzionale, ma se ne distingue nella misura in cui contiene una doglianza nuova e assolutamente caratterizzante, qual è quella concernente la pretesa alla rinegoziazione delle condizioni di esercizio delle concessioni, al fine di riportarle in equilibrio.

Di conseguenza, gli appellanti hanno riproposto sotto nuovi e diversi profili le questioni di costituzionalità e di compatibilità europea già articolate nel primo grado del giudizio, ritenendole pregiudiziali rispetto alla decisione della causa, laddove anche questo giudice acceda alla tesi interpretativa, seguita dall’Agenzia e positivamente vagliata dal giudice di primo grado, secondo cui la determinazione ex lege del canone mensile per il regime di proroga tecnica, priva l’Amministrazione della potestà discrezionale di revisionare le condizioni di esercizio delle concessioni, pure a fronte di eventi imprevisti ed imprevedibili che incidono in modo significativo sull’equilibrio economico e finanziario delle concessioni medesime.

10. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli hanno resistito al gravame ed hanno riproponendo tutte le argomentazioni difensive a sostegno della reiezione del ricorso, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive.

All’udienza pubblica del 20 settembre 2022, la causa è stata trattenuta per la decisione.

IV. LA DOPPIA PREGIUDIZIALITA’.

11. Entrando subito in medias res, la Sezione ritiene che la questione di merito posta dall’appello non possa prescindere da quella relativa alla c.d. “doppia pregiudizialità”.

Tra i due possibili incidenti (rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione europea o sollevazione dell’incidente di costituzionalità in relazione a parametri giuridici in parte assimilabili), la Sezione ritiene prioritario il primo, per plurime considerazioni:

a) le società appellanti hanno invocato la protezione di situazioni soggettive riconosciute in via diretta dal diritto dell’Unione ed hanno dedotto la violazione di principi e norme del diritto primario e di quello secondario dell’Unione (in particolare: la violazione dell’obbligo di garantire l’equilibrio economico-finanziario nelle concessioni e del generale principio dell’affidamento);

b) la Corte di Giustizia detiene il monopolio interpretativo in ordine alla compatibilità delle norme interne ai singoli Stati membri, rispetto al diritto dell’Unione;

c) non può in questo caso utilmente invocarsi l’orientamento seguito dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 269 del 2017, n. 20 e n. 63 del 2019, in quanto nel caso all’esame non ricorre l’ipotesi della protezione di una situazione soggettiva tutelata in via esclusiva dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, perché anzi le questioni prospettate dalle parti involgono principalmente questioni di interpretazione del diritto dell’Unione rilevante ai sensi dell’art. 267, del TFUE;

d) sul piano processuale, l’eventuale sollevazione dell’incidente di costituzionalità postula il positivo apprezzamento della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione.

Nella logica di un’eventuale ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, il giudice interno ha l’onere di delibare la questione europea al fine di valutare l’applicabilità della legge interna nel giudizio posto al suo esame, motivando quindi sulla rilevanza della questione, la quale è sempre ancorata ad un giudizio, prognostico, di applicabilità della norma al caso concreto.

A questo proposito, la Sezione, nel mentre esclude di potere direttamente disapplicare la normativa interna richiamata (le ragioni dell’eventuale contrasto con il diritto dell’Unione non sono immediate, né sufficientemente chiare, precise ed incondizionate sulla base dei principi generali dei Trattati, della direttiva concessioni e della giurisprudenza della CGUE), nutre in effetti dei dubbi, come si illustrerà nel prosieguo, circa la compatibilità della medesima con la normativa europea, con la conseguenza che il presupposto della rilevanza (che verrebbe a mancare nell’ipotesi in cui la Corte di Giustizia la ritenesse incompatibile), sussisterebbe solo nell’evenienza opposta (ovverossia, se la Corte di Giustizia la ritenesse compatibile).

Va comunque precisato che, ove si verifichi quest’ultima evenienza (a seguito della decisione della Corte di Giustizia), la Sezione si riserva espressamente la possibilità di vagliare in via successiva (anche, eventualmente) la non manifesta infondatezza e la rilevanza della questione di legittimità costituzionale secondo i parametri interni evocati dagli appellanti, considerato altresì che, nell’ipotesi in cui un eventuale giudizio dinanzi alla Corte costituzionale si concludesse con una pronuncia di incostituzionalità della norma, ciò comporterebbe l’espunzione della stessa dall’ordinamento con effetti erga omnes, anziché limitati, come nell’altra ipotesi, alla disapplicazione nel singolo caso concreto.

e) Il giudice a quo è giudice di ultima istanza.

f) È di preminente rilievo il pronunciamento della Corte di Giustizia, perché la questione è rilevante e decisiva per la soluzione della lite; non è stata oggetto di interpretazione diretta da parte della Corte; si impone la corretta ed uniforme interpretazione ed applicazione del diritto dell’Unione, anche ai fini della conformazione, pro futuro, dell’esercizio della discrezionalità da parte del legislatore interno.

V. IL RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA

12. Secondo l’indirizzo esegetico consolidato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, “nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, la necessità di pervenire a un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo rispetti scrupolosamente i requisiti relativi al contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale, indicati in maniera esplicita all’articolo 94 del regolamento di procedura (ordinanza del 1° luglio 2021, Tolnatext, C-636/20, non pubblicata, EU:C:2021:538, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

Ai sensi di tale disposizione, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve contenere, in primo luogo, un’illustrazione sommaria dell’oggetto della controversia nonché dei fatti rilevanti, quali accertati dal giudice del rinvio o, quanto meno, un’illustrazione delle circostanze di fatto sulle quali si basano le questioni, in secondo luogo, il contenuto delle norme nazionali applicabili alla fattispecie e, se del caso, la giurisprudenza nazionale in materia e, in terzo luogo, l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile al procedimento principale” (Corte di Giustizia, sentenza n. 437/2022).

13. A questo proposito, è rilevante segnalare che nell’Ordinamento italiano il gioco del Bingo è stato istituito con decreto del Ministro delle finanze 31 gennaio 2000, n. 29, emanato in forza dell’articolo 16, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133, il quale ha previsto, con riferimento a nuovi tipi di scommessa sulle competizioni sportive, nonché ad ogni altro tipo di gioco, concorso pronostici e scommesse, che «il Ministro delle finanze emana regolamenti a norma dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per disciplinare le modalità e i tempi di gioco, la corresponsione di aggi, diritti e proventi dovuti a qualsiasi titolo, ivi compresi quelli da destinare agli organizzatori delle competizioni».

Le società ricorrenti in primo grado svolgono l’attività di gestori di sale dedicate al gioco del Bingo in forza di concessioni attribuite con procedura selettiva indetta a seguito dell’entrata in vigore del predetto decreto ministeriale.

Le dette concessioni sono però scadute già da tempo e le società operano da allora in regime di proroga tecnica, in attesa che si svolgano nuove procedure selettive per riattribuirle, ai sensi dell’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014), peraltro più volte modificato nel tempo.

È importante segnalare che, prima che entrasse in vigore questa legge, le originarie concessioni erano gratuite, non essendo previsto un corrispettivo in favore delle Autorità pubbliche correlato al rilascio della concessione.

La durata dei titoli era stabilita in sei anni, decorsi i quali le concessioni si sarebbero potute rinnovare per una sola volta, secondo quanto disposto dall’articolo 2, comma 1, lett. e), del decreto ministeriale n. 29 del 2000.

La mancata applicazione di corrispettivi era giustificata dal fatto che l’attività degli operatori produceva comunque in modo diretto un vantaggio economico per l’erario pari al «prelievo erariale» sulle cartelle di gioco di cui all’art. 5, D.M. n. 29 del 2000, a fronte del quale i concessionari, come previsto dall’art. 8 dello stesso D.M., percepivano un «compenso pari all’incasso lordo, dedotti il prelievo erariale sulle cartelle, la somma da distribuire in premi e la quota spettante all’affidatario del controllo centralizzato del gioco», di cui, rispettivamente, agli artt. 5, 6 e 7 del decreto stesso (la previsione è stata trasposta, nei singoli atti di concessione, all’art. 4, rubricato “Compenso del concessionario”).

Nel 2013, in occasione dell’emanazione della citata legge di stabilità per il 2014, il legislatore si è posto il problema dell’osservanza del principio europeo di concorrenza nella attribuzione delle nuove concessioni o nella riattribuzione delle concessioni scadute o in scademza, e ha perciò deciso di istituire il meccanismo della proroga tecnica in favore dei titolari di concessioni scadute, di modo ché, attraverso il tendenziale allineamento temporale della maggior parte delle concessioni giunte a scadenza o prossime a scadere, si sarebbe potuta svolgere una procedura concorrenziale alla quale tutti gli operatori del settore (o, comunque sia, la gran parte degli stessi) avrebbero potuto partecipare.

È accaduto così che l’art. 1, commi 636-638, della legge n. 147 del 2013, operando un bilanciamento tra l’esigenza pubblicistica di utilizzare proficuamente il gettito proveniente dal gioco legale e quella privatistica dei concessionari scaduti di potere proseguire l’esercizio delle concessioni in regime di proroga tecnica, ha introdotto il principio della onerosità delle concessioni; ha fissato la soglia minima di 200.000 euro per l’attribuzione di ciascuna concessione; ha previsto il mantenimento della durata di sei anni delle nuove concessioni; ha fissato il termine per l’indizione della procedura di selezione dei nuovi concessionari al 31 dicembre 2014; ha stabilito la proroga tecnica, a semplice richiesta, delle concessioni in scadenza negli anni 2013 e 2014; ha determinato il canone dovuto dai concessionari beneficiari della proroga tecnica, in 2.800 euro per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni e in 1.400 euro per ciascuna frazione di mese inferiore a quindici giorni; ha introdotto il divieto di partecipare alla gara per la riattribuzione della concessione per i titolari di concessione scaduta che non avessero acceduto al regime di proroga tecnica.

Nel 2015, essendo venuto a scadere anche il termine fissato dalla norma del 2013 (senza che le nuove gare fossero indette), il legislatore è intervenuto nuovamente con l’art. 1, comma 934, legge n. 209 del 2015, ed ha previsto l’estensione del regime di proroga tecnica anche alle concessioni in scadenza negli anni dal 2015 al 2016; ha spostato dal 31 dicembre 2014 al 31 dicembre 2016 il termine per l’attribuzione delle concessioni; ha innalzato da 200.000 a 350.000 euro la soglia minima corrispettiva per l’attribuzione di ciascuna concessione; ha innalzato da sei a nove anni la durata delle concessioni ed ha previsto la non rinnovabilità delle stesse; ha incrementato il canone dovuto dagli operatori titolari di concessioni scadute in regime di proroga tecnica, da 2.800 a 5.000 euro per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni e da 1.400 a 2.500 euro per ciascuna frazione di mese inferiore a quindici giorni; ha vietato il trasferimento dei locali per tutto il periodo della proroga tecnica.

Nel 2017, il suddetto regime è stato ulteriormente modificato: l’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017 ha esteso la proroga tecnica alle concessioni in scadenza negli anni dal 2017 al 2018; ha spostato dal 31 dicembre 2016 al 30 settembre 2018 il termine per procedere alla gara per l’attribuzione delle 210 concessioni esistenti sul territorio nazionale; ha elevato ulteriormente il canone di proroga tecnica per le concessioni scadute da euro 5.000 a euro 7.500 per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni e da euro 2.500 a euro 3.500, per frazione inferiore a quindici giorni.

Va sottolineato, che è a quest’ultima normativa che ha inteso dare attuazione il provvedimento impugnato nel giudizio principale, sicché, ai fini del rinvio pregiudiziale, la normativa rilevante è rappresentata dell’art. 1, comma 1047, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che ha modificato l’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014).

Quel che è accaduto in seguito, ossia gli ulteriori interventi del legislatore in materia, non rileva direttamente ai fini del rinvio, ma la Sezione ritiene nondimeno opportuno illustrarne brevemente i contenuti, per maggiore compiutezza.

Più nel dettaglio, il legislatore ha esteso ancora il regime di proroga tecnica dal 2013 al 2019, dapprima senza fissare un nuovo termine per l’indizione della gara (art. 1, comma 1096, legge n. 145 del 2018); poi ha previsto l’ulteriore proroga tecnica delle concessioni in scadenza nell’anno 2020, fissando al 30 settembre dello stesso anno 2020 il termine per il bando (art. 24, c. 2, del d.l. n. 124 del 26 ottobre 2019, convertito con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157).

Con l’art. 69, comma 2, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, con disposizione emergenziale connessa alla pandemia da COVID-19, ha previsto che «A seguito della sospensione dell’attività delle sale bingo prevista dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020 e successive modificazioni ed integrazioni, non è dovuto il canone di cui all’articolo 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal mese di marzo 2020 e per tutto il periodo di sospensione dell’attività».

Con il comma 3 del citato art. 69, ha previsto il differimento del termine per l’indizione della gara al 30 marzo 2021 (ma, al momento in cui viene adottata la presente ordinanza di rinvio, le nuove gare non risultano ancora indette).

Da ultimo, con la disposizione contenuta all’art. 1, comma 1130, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, il legislatore ha apportato un’ulteriore modifica all’art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, fissando al 31 marzo 2023 il termine per l’indizione della gara relativa all’attribuzione delle concessioni.

14. Va segnalato, ancora, che il rinvio pregiudiziale non riguarda la questione, già esaminata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 2021, della tutela dei concessionari titolari di concessioni scadute, operanti in regime di proroga tecnica in condizioni ordinarie di esercizio delle concessioni, bensì quella degli operatori che si si sono trovati a svolgere le medesime attività in condizioni di esercizio incise in maniera significativa dalle chiusure e dalla sospensioni delle attività imposte dall’Autorità per contrastare la diffusione della crisi pandemica da COVID-19.

La decisione della Corte costituzionale, in quel caso specifico, è stata nel senso della non fondatezza delle questioni. La motivazione si è incentrata, essenzialmente, sulla ragionevolezza, congruità e proporzionalità delle norme censurate, ritenute compatibili con un quadro costituzionale in cui va operato il necessario bilanciamento fra le finalità pubblicistiche perseguite in questo particolare settore dell’ordinamento; i vantaggi competitivi conseguiti dagli operatori economici per la possibilità di continuare a svolgere l’attività oggetto di concessione, nonostante la scadenza del termine di efficacia e l’assenza di una nuova gara; la necessità di valorizzare i beni erariali, anche attraverso il progressivo incremento del canone concessorio in regime di proroga tecnica, nel quadro complessivo di una maggiore efficienza nell’utilizzo delle pubbliche risorse; la non automatica arbitrarietà dell’abbandono del criterio di determinazione dei canoni, originariamente correlato alla base d’asta, in favore dell’attuale regime di importi predeterminati ex lege, attesa la temporaneità della proroga tecnica, la necessità di indire la nuova gara, la prospettiva del tendenziale esaurimento dei rapporti giuridici relativi a concessioni scadute.

Nel caso all’esame, invece, sulla base degli atti processuali e dei documenti versati agli atti del giudizio, gli appellanti hanno provato o, quantomeno, hanno introdotto principi di prova adeguati, congrui e ragionevoli, tali da ritenere che le condizioni di esercizio delle concessioni siano state incise in modo significativo da eventi imprevisti ed imprevedibili.

In particolare, i concessionari hanno rappresentato la grave compromissione nella tenuta delle sale e l’insostenibilità dei costi fissi e di gestione, ed hanno illustrato dati conoscitivi aggiornati rispetto a quelli considerati nel giudizio che si è svolto dinanzi alla Corte costituzionale, risalenti all’anno 2019, ossia prima che scoppiasse la crisi pandemica.

Sotto tale aspetto si evidenziano i seguenti elementi significativi:

i) la perizia depositata sub doc. n. 13;

ii) il Libro Blu predisposto dall’ADM a settembre 2021, depositato sub doc. n. 17, dove si attesta

che “per quanto riguarda il dato relativo al “Bingo”, la chiusura delle sale quale strumento di

contrasto al diffondersi della pandemia, ha fatto registrare nel 2020, per il gioco fisico, una

riduzione, rispetto al 2019, del 55,07 per cento per la Raccolta, del 53,30 per cento delle Vincite e

del 59,20 per cento della Spesa” (pag. 23 dell’estratto depositato), e dal quale emerge altresì,

quale ulteriore conseguenza delle chiusure disposte per fronteggiare l’emergenza sanitaria, un cambio strutturale delle abitudini di gioco dell’utenza, tradottasi nel fatto che il “gioco a distanza […] nel corso del 2020 ha fatto registrare il sorpasso rispetto al gioco fisico in termini di Raccolta”, con un aumento di circa il 30% (cfr. pag. 26 dell’estratto depositato).

I concessionari hanno rappresentato, inoltre, che sia la riapertura delle sale da gioco (avvenuta progressivamente a partire da maggio 2021), sia la momentanea sospensione dell’obbligo di pagamento del canone, accompagnata dalla rateizzazione degli importi dilazionati nel tempo (ma senza azzeramento degli importi dovuti), sono stati un presupposto indispensabile per la sopravvivenza delle attività, ma che tali misure, da sole, non sono state in grado né di compensare il grave disequilibrio generato da una contrazione della raccolta superiore al 50%, né di far recuperare quella perdita di utenza causata dalla più strutturale trasformazione della domanda, orientata, a seguito della pandemia, verso le forme del gioco a distanza, anziché fisico.

15. Così circoscritto l’oggetto del rinvio pregiudiziale, si ritiene opportuno approfondire, a questo punto, i princìpi e le disposizioni rilevanti del diritto dell’Unione.

16. Anzitutto, trattandosi di concessioni affidate con procedura selettiva nell’anno 2000, poi scadute e reiteratamente prorogate con disposizioni di rango primario, l’ultima delle quali, fra quelle rilevanti ai fini del rinvio, risalente all’anno 2017, dovrebbe potersi applicare la direttiva 2014/23/UE.

Il considerando (35) sembra escludere, infatti, dall’ambito di applicazione della direttiva, le sole concessioni esercitate sulla base di un diritto esclusivo concesso mediante una procedura non ad evidenza pubblica.

In secondo luogo, sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia, parrebbe potersi affermare che, se pure è vero che “in conformità a una costante giurisprudenza, formatasi in materia di appalti pubblici e applicabile per analogia in materia di concessione di servizi, la normativa dell’Unione applicabile a un contratto di concessione è, in linea di principio, quella in vigore alla data in cui l’ente aggiudicatore sceglie il tipo di procedura che esso seguirà”, e che sono “inapplicabili le disposizioni di una direttiva il cui termine di recepimento sia scaduto dopo tale data (v., per analogia, sentenza del 19 dicembre 2018, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-375/17, EU:C:2018:1026, punto 34 e giurisprudenza ivi citata)”, è anche vero che “il diritto dell’Unione alla luce del quale tale modifica dev’essere valutata è quello in vigore alla data di tale modifica. In questo contesto, la Corte ha precisato che il fatto che la conclusione del contratto di concessione originario sia precedente all’adozione delle norme dell’Unione in materia non comporta conseguenze a tale riguardo (v., in questo senso, sentenza del 18 settembre 2019, Commissione/Italia, C-526/17, EU:C:2019:756, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).” (Corte di Giustizia, sentenza n. 721/2021).

Inoltre, laddove la Corte ritenesse che la direttiva abbia proceduto (non solo a un ravvicinamento delle legislazioni, bensì) ad un’armonizzazione esaustiva, “qualsiasi misura nazionale in un settore che sia stato oggetto di un’armonizzazione completa a livello dell’Unione dev’essere valutata in rapporto non alle disposizioni del diritto primario, ma a quelle di tale misura di armonizzazione (sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a., C-458/14 e C-67/15, EU:C:2016:558, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).” (ancora Corte di Giustizia, sentenza n. 721/2021).

Laddove la Corte di Giustizia ritenesse non applicabile la direttiva concessioni, dovrebbero potersi applicare i principi generali ritraibili dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e segnatamente gli artt. 49 (Libertà di stabilimento) e 56 (Libera prestazione dei servizi).

17. Ponendo il caso che si applichi la direttiva 2014/23/UE, va anzitutto menzionato l’obiettivo perseguito dal considerando (1), in quanto «L’assenza di una chiara normativa che disciplini a livello dell’Unione l’aggiudicazione dei contratti di concessione dà luogo a incertezza giuridica, ostacola la libera fornitura di servizi e provoca distorsioni nel funzionamento del mercato interno. (…)”.

In relazione all’aspetto concernente le modifiche sostanziali che comportano una nuova procedura di aggiudicazione, va segnalato il considerando (75), secondo cui “I contratti di concessione generalmente comportano disposizioni tecniche e finanziarie complesse e di lunga durata, soggette ai mutamenti delle circostanze. È pertanto necessario precisare, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia, le condizioni alle quali le modifiche di una concessione durante la sua esecuzione richiedono una nuova procedura di aggiudicazione della concessione. Una nuova procedura di concessione è necessaria quando vengono apportate modifiche sostanziali alla concessione iniziale, in particolare al campo di applicazione e al contenuto dei diritti e degli obblighi reciproci delle parti, inclusa la ripartizione dei diritti di proprietà intellettuale. Tali modifiche dimostrano l’intenzione delle parti di rinegoziare termini o condizioni essenziali della concessione in questione. Ciò si verifica, in particolare, quando le condizioni modificate avrebbero inciso sull’esito della procedura nel caso in cui fossero state parte della procedura sin dall’inizio. (…)”.

Diverso è il caso in cui la gestione delle sopravvenienze nei rapporti di durata non renda necessaria una nuova procedura di aggiudicazione: il considerando (76) prevede che “Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori possono trovarsi ad affrontare circostanze esterne che non era possibile prevedere quando hanno aggiudicato la concessione, in particolare quando l’esecuzione della concessione copre un periodo lungo. In questi casi è necessaria una certa flessibilità per adattare la concessione alle circostanze senza ricorrere a una nuova procedura di aggiudicazione. Il concetto di circostanze imprevedibili si riferisce a circostanze che non si potevano prevedere nonostante una ragionevole e diligente preparazione dell’aggiudicazione iniziale da parte dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore, tenendo conto dei mezzi a sua disposizione, della natura e delle caratteristiche del progetto specifico, delle buone prassi nel settore in questione e della necessità di garantire un rapporto adeguato tra le risorse investite nel preparare l’aggiudicazione e il suo valore prevedibile. (…)”.

Ai sensi dell’articolo 5, «Definizioni», paragrafo 1: «Ai fini della presente direttiva si applicano le definizioni seguenti:

1) «concessioni»: le concessioni di lavori o di servizi di cui alle lettere a) e b):

(…)

b) «concessione di servizi» si intende un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera a) ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

L’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o entrambi. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile;

12) «documento di concessione»: qualsiasi documento prodotto o al quale l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore fa riferimento per descrivere o determinare gli elementi della concessione o della procedura, compresi il bando di concessione, i requisiti tecnici e funzionali, le condizioni proposte per la concessione, i formati per la presentazione di documenti da parte di candidati e offerenti, le informazioni sugli obblighi generalmente applicabili e gli eventuali documenti complementari.

L’articolo 43, «Modifica dei contratti esistenti» prevede che «1. Le concessioni possono essere modificate senza una nuova procedura di aggiudicazione della concessione a norma della presente direttiva nei casi seguenti:

a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi, o opzioni. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche o opzioni, nonché le condizioni alle quali possono essere impiegate. Esse non apportano modifiche o opzioni che altererebbero la natura generale della concessione;

b) per lavori o servizi supplementari da parte del concessionario originario che si sono resi necessari e non erano inclusi nella concessione iniziale, ove un cambiamento di concessionario:

i) risulti impraticabile per motivi economici o tecnici quali il rispetto dei requisiti di intercambiabilità o interoperatività tra apparecchiature, servizi o impianti esistenti forniti nell’ambito della concessione iniziale; e

ii) comporti per l’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore notevoli disguidi o una consistente duplicazione dei costi.

Tuttavia, nel caso di concessioni aggiudicate dall’amministrazione aggiudicatrice allo scopo di svolgere un’attività diversa da quelle di cui all’allegato II, l’eventuale aumento di valore non deve eccedere il 50 % del valore della concessione iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare la presente direttiva;

c) ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

i) la necessità di modifica è determinata da circostanze che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore diligente non ha potuto prevedere;

ii) la modifica non altera la natura generale della concessione;

iii) nel caso di concessioni aggiudicate dall’amministrazione aggiudicatrice allo scopo di svolgere un’attività diversa da quelle di cui all’allegato II, l’eventuale aumento di valore non è superiore al 50 % del valore della concessione iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare la presente direttiva;

d) (…);

e) se le modifiche, a prescindere dal loro valore, non sono sostanziali ai sensi del paragrafo 4.

Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori che hanno modificato una concessione nelle situazioni di cui al presente paragrafo, lettere b) e c), pubblicano un avviso al riguardo nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Tale avviso contiene le informazioni di cui all’allegato XI ed è pubblicato conformemente all’articolo 33.

2. Inoltre, e senza ulteriore bisogno di verificare se le condizioni di cui al paragrafo 4, lettere da a) a d), sono rispettate, le concessioni possono parimenti essere modificate senza necessità di una nuova procedura di aggiudicazione di una concessione a norma della presente direttiva se il valore della modifica è al di sotto di entrambi i valori seguenti:

i) la soglia fissata all’articolo 8; e

ii) il 10 % del valore della concessione iniziale.

Tuttavia, la modifica non può alterare la natura generale della concessione. In caso di più modifiche successive, il valore è accertato sulla base del valore complessivo netto delle successive modifiche.

3. Ai fini del calcolo del valore di cui al paragrafo 2 e al paragrafo 1, lettere b) e c), il valore aggiornato è il valore di riferimento quando la concessione prevede una clausola di indicizzazione. Se la concessione non prevede una clausola di indicizzazione, il valore aggiornato è calcolato tenendo conto dell’inflazione media nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore.

4. La modifica di una concessione durante il periodo della sua validità è considerata sostanziale ai sensi del paragrafo 1, lettera e), muta sostanzialmente la natura della concessione rispetto a quella inizialmente conclusa. In ogni caso, fatti salvi i paragrafi 1 e 2, una modifica è considerata sostanziale se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte:

a) la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura iniziale di aggiudicazione della concessione, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione della concessione;

b) la modifica cambia l’equilibrio economico della concessione a favore del concessionario in modo non previsto dalla concessione iniziale;

c) la modifica estende notevolmente l’ambito di applicazione della concessione;

d) se un nuovo concessionario sostituisce quello cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore avevano inizialmente aggiudicato la concessione in casi diversi da quelli previsti al paragrafo 1, lettera d).

5. Una nuova procedura di aggiudicazione di una concessione in conformità della presente direttiva è richiesta per modifiche delle disposizioni di una concessione durante il periodo della sua validità diverse da quelle previste ai paragrafi 1 e 2.

L’articolo 51, «Recepimento», paragrafo 1, prevede che “Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 18 aprile 2016. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni.”.

L’articolo 54, «Entrata in vigore», prevede che «La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

La presente direttiva non si applica all’aggiudicazione di concessioni per le quali è stata presentata un’offerta o che sono state aggiudicate prima del 17 aprile 2014».

Lo Stato italiano ha recepito la direttiva con il decreto legislativo n. 50 del 2016.

Nello specifico, l’art. 165 (Rischio ed equilibrio economico-finanziario nelle concessioni) prevede che “1. Nei contratti di concessione come definiti all’articolo 3, comma 1, lettere uu) e vv), la maggior parte dei ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita dei servizi resi al mercato. Tali contratti comportano il trasferimento al concessionario del rischio operativo definito dall’articolo 3, comma 1, lettera zz) riferito alla possibilità che, in condizioni operative normali, le variazioni relative ai costi e ai ricavi oggetto della concessione incidano sull’equilibrio del piano economico finanziario. Le variazioni devono essere, in ogni caso, in grado di incidere significativamente sul valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario.

2. L’equilibrio economico finanziario definito all’articolo 3, comma 1, lettera fff), rappresenta il presupposto per la corretta allocazione dei rischi di cui al precedente comma 1. Ai soli fini del raggiungimento del predetto equilibrio, in sede di gara l’amministrazione aggiudicatrice può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili. Il contributo, se funzionale al mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario, può essere riconosciuto mediante diritti di godimento su beni immobili nella disponibilità dell’amministrazione aggiudicatrice la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera affidata in concessione. In ogni caso, l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al quarantanove per cento del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari.”.

18. Laddove si ritenga che ai rapporti giuridici per cui è causa sia applicabile la ‘Direttiva concessioni’ n. 2014/23/UE, la Sezione dubita che sia compatibile con l’illustrato quadro normativo europeo di riferimento l’attuale mancanza (sul piano amministrativo), nell’ordinamento italiano, per effetto dell’interpretazione che l’Amministrazione fa di norme interne di rango legislativo primario, di un rimedio giuridico che riconosca all’Amministrazione medesima, il potere discrezionale di avviare, su istanza degli interessati, un procedimento amministrativo volto a modificare le condizioni di esercizio delle concessioni, con o senza indizione di nuova procedura di aggiudicazione (a seconda che si ritenga o meno “modifica sostanziale” la rinegoziazione dell’equilibrio convenzionale), nei casi in cui si verifichino eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio.

Sul piano normativo, poi, si dubita che siano compatibili con la richiamata Direttiva 2014/23/UE le previsioni legislative nazionali le quali, nel corso del tempo, hanno per un verso (e in attesa dell’indizione di gare al momento non svolte) disposto la proroga tecnica delle concessioni scadute e in scadenza ma (per altro verso) hanno subordinato tale proroga a un meccanismo rigido di pagamento di un ‘canone mensile di proroga tecnica’, il cui ammontare viene fissato in modo fisso dal Legislatore, in misura fissa mensile per ciascuna sala e senza alcuna valutazione concreta in ordine alle condizioni economiche della singola concessione e in modo potenzialmente idoneo ad alterare l’equilibrio generale della concessione.

Vero è che, per il diritto dell’UE, la nozione stessa di “concessione” presuppone l’esistenza di un rischio operativo sostanziale che può sussistere sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta (e può dipendere anche dalla fluttuazione nel tempo della struttura dei costi di impresa).

Tuttavia, nel caso in esame, è accaduto che lo Stato italiano (nella sua veste di Legislatore) ha modificato nel corso del tempo – e in modo significativo – la struttura stessa dei costi di impresa del settore del Bingo introducendo l’oneroso meccanismo del ‘canone di proroga tecnica’. Pertanto, la modifica delle condizioni di equilibrio nella gestione delle concessioni non è avvenuta sulla base di un evento del tutto imprevedibile e sottratto alla disponibilità delle parti, ma è intervenuto proprio sulla base delle scelte dello Stato-legislatore.

Allo stesso tempo, come si è detto, il Legislatore nazionale non sembra aver riconosciuto alle amministrazioni nazionali (e, in particolare, all’Agenzia appellata) alcuno strumento di carattere amministrativo che consentisse di tenere conto di un evento grave e imprevedibile (quale la crisi pandemica) al fine di riconoscere agli operatori del settore misure di (almeno parziale) salvaguardia dell’equilibrio economico-finanziario della gestione

19. Nel caso, invece, si ritenga non applicabile al caso in esame – neppure in via di principio – la direttiva concessioni 2014/23/UE , la Sezione comunque dubita di analoga questione rispetto ai principi generali dei Trattati, ed in particolare rispetto agli artt. 49 e 56 del TFUE, ai principi di certezza ed effettività della tutela giuridica e di tutela del legittimo affidamento.

Anzitutto, la Corte di Giustizia “ha reiteratamente dichiarato che la normativa di uno Stato membro la quale subordini l’esercizio di un’attività economica, quale la gestione di determinati giochi di azzardo, al rilascio di una concessione costituisce un ostacolo alle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE, e ciò a prescindere dal fatto che l’amministrazione aggiudicatrice abbia fatto ricorso a un modello a concessionario unico o a un modello a più concessionari (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2018, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-375/17, EU:C:2018:1026, punti 38 e 39 e giurisprudenza ivi citata) (Corte di Giustizia, sentenza n. 721/2021).

La Corte ha parimenti ricordato, ancora nella propria giurisprudenza sui giochi d’azzardo, che la protezione dei consumatori e la prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive collegate al gioco possono essere qualificate come motivi imperativi di interesse generale, idonei a giustificare restrizioni alle libertà fondamentali riconosciute dagli articoli 49 e 56 TFUE (sentenza del 19 dicembre 2018, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-375/17, EU:C:2018:1026, punto 43 nonché giurisprudenza ivi citata) (Corte di Giustizia, sentenza n. 721/2021).

Nel caso in esame, la Sezione segnala che la ragione che ha indotto il legislatore fin dall’anno 2013 ad introdurre le succitate disposizioni (con l’introduzione del c.d. ‘canone di proroga tecnica’) è “(il) fine di contemperare il principio di fonte comunitaria secondo il quale le concessioni pubbliche vanno attribuite ovvero riattribuite, dopo la loro scadenza, secondo procedure di selezione concorrenziale con l’esigenza di perseguire, in materia di concessioni di gioco per la raccolta del Bingo, il tendenziale allineamento temporale di tali concessioni” In tal senso la l. 147/2013, art. 1, co. 636).

La Sezione ritiene che, anche laddove questa ragione rilevasse quale motivo imperativo di interesse pubblico, il dubbio circa la compatibilità europea della detta giustificazione rispetto alle misure in concreto attuate e reiterate dal legislatore, sotto i profili della necessità, indispensabilità, congruità, proporzionalità, utilità del mezzo rispetto allo scopo prefissato, persiste, alla luce del fatto che potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione degli artt. 49 e 56 del TFUE, sub specie di restrizioni alla libertà di stabilimento degli operatori economici degli Stati membri e restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione, leggi, interpretazioni o applicazioni o prassi applicative, tali da privare l’Amministrazione pubblica del potere discrezionale di valutare la revisione delle concessioni nei sensi dianzi illustrati, o tali da consentirle di condizionare la partecipazione del concessionario alla procedura per la riattribuzione delle concessioni, alla sua adesione al regime di proroga tecnica alle condizioni dianzi illustrate.

Infine, la Sezione dubita che sia compatibile con il rispetto del generale principio di tutela dell’affidamento (riconosciuto da un costante orientamento della Corte di giustizia) una disciplina nazionale (quale quella che rileva nell’ambito della controversia principale) la quale prevede a carico dei gestori delle sale Bingo il pagamento di un oneroso canone di proroga tecnica su base mensile non previsto negli originari atti di concessione, di ammontare identico per tutte le tipologie di operatori e modificato di tempo in tempo dal legislatore senza alcuna dimostrata relazione con le caratteristiche e l’andamento del singolo rapporto concessorio.

Pertanto, la Sezione formula analoghe questioni pregiudiziali rispetto agli artt. 49 e 56 del TFUE.

20. LE QUESTIONI INTERPRETATIVE

I. “Se la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché i principi generali desumibili dal Trattato, e segnatamente gli artt. 49 e 56, TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi trovano applicazione a fronte di concessioni di gestione del gioco del Bingo le quali siano state affidate con procedura selettiva nell’anno 2000, siano scadute e poi siano state reiteratamente prorogate nell’efficacia con disposizioni legislative entrate in vigore successivamente all’entrata in vigore della direttiva ed alla scadenza del suo termine di recepimento”.

II. “nel caso in cui al primo quesito sia fornita risposta affermativa, se la direttiva 2014/23/UE osta ad una interpretazione o applicazione di norme legislative interne, o prassi applicative sulla base delle norme stesse, tali da privare l’Amministrazione del potere discrezionale di avviare, su istanza degli interessati, un procedimento amministrativo volto a modificare le condizioni di esercizio delle concessioni, con o senza indizione di nuova procedura di aggiudicazione a seconda che si qualifichi o meno modifica sostanziale la rinegoziazione dell’equilibrio convenzionale, nei casi in cui si verifichino eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio delle concessioni”.

III. “Se la direttiva 89/665/CE, quale modificata dalla direttiva 2014/23/UE, osta ad una interpretazione o applicazione di norme nazionali interne, o prassi applicative sulla base delle norme stesse, tali che il Legislatore o l’Amministrazione pubblica possano condizionare la partecipazione alla procedura per la riattribuzione delle concessioni di gioco all’adesione del concessionario al regime di proroga tecnica, anche nell’ipotesi in cui sia esclusa la possibilità di rinegoziare le condizioni di esercizio della concessione al fine di ricondurle in equilibrio, in conseguenza di eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio delle concessioni”.

IV. “Se, in ogni caso, gli artt. 49 e 56 del TFUE e i principi di certezza ed effettività della tutela giuridica, nonché il principio del legittimo affidamento ostino ad una interpretazione o applicazione di norme legislative interne, o prassi applicative sulla base delle norme stesse, tali da privare l’Amministrazione del potere discrezionale di avviare, su istanza degli interessati, un procedimento amministrativo volto a modificare le condizioni di esercizio delle concessioni, con o senza indizione di nuova procedura di aggiudicazione a seconda che si qualifichi o meno modifica sostanziale la rinegoziazione dell’equilibrio convenzionale, nei casi in cui si verifichino eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio delle concessioni”.

V. “Se gli artt. 49 e 56 del TFUE e i principi di certezza ed effettività della tutela giuridica, nonché il principio del legittimo affidamento ostino ad una interpretazione o applicazione di norme nazionali interne, o prassi applicative sulla base delle norme stesse, tali che il Legislatore o l’Amministrazione pubblica possano condizionare la partecipazione alla procedura per la riattribuzione delle concessioni di gioco all’adesione del concessionario al regime di proroga tecnica, anche nell’ipotesi in cui sia esclusa la possibilità di rinegoziare le condizioni di esercizio della concessione al fine di ricondurle in equilibrio, in conseguenza di eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio delle concessioni”.

VI. Se, più in generale, gli artt. 49 e 56 del TFUE e i principi di certezza ed effettività della tutela giuridica, nonché il principio del legittimo affidamento ostino a una normativa nazionale (quale quella che rileva nella controversia principale, la quale prevede a carico dei gestori delle sale Bingo il pagamento di un oneroso canone di proroga tecnica su base mensile non previsto negli originari atti di concessione, di ammontare identico per tutte le tipologie di operatori e modificato di tempo in tempo dal legislatore senza alcuna dimostrata relazione con le caratteristiche e l’andamento del singolo rapporto concessorio”.

21. ADEMPIMENTI DI SEGRETERIA

Ai fini della più completa decisione della Corte di Giustizia – in ossequio alle Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (2019/C 380/01), relative alla presentazione di domande pregiudiziali – alla stessa deve essere trasmessa, a cura della Segreteria della Sezione, oltre a copia conforme all’originale della presente ordinanza, altresì copia dell’intero fascicolo di causa.

In particolare:

l’invio della presente domanda di pronuncia pregiudiziale firmata (e degli altri documenti correlati a tale domanda) andrà effettuato a mezzo dell’applicazione e-Curia (https://curia.europa.eu/jcms/jcms/P_78957/it/);

una copia modificabile della presente domanda di pronuncia pregiudiziale (e degli altri documenti correlati a tale domanda) andranno trasmessi al seguente indirizzo: [email protected].

22. SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO

Nelle more della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea, si rende necessario disporre, ai sensi dell’art. 79, comma 1, del cod. proc. amm., la sospensione del presente processo, riservando alla sentenza definitiva ogni pronuncia in rito, nel merito e sulle spese e sugli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, non definitivamente pronunciando sull’appello n. 2225/2022:

a) rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione al punto 20;

b) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente ordinanza, nonché copia integrale del fascicolo di causa;

c) dispone, nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la sospensione del presente giudizio;

d) riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in rito, nel merito e sulle spese e gli onorari di giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

Claudio Contessa, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere, Estensore

Sergio Zeuli, Consigliere

Maurizio Antonio Pasquale Francola, Consigliere

Marco Morgantini, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Daniela Di Carlo Claudio Contessa

sb/AGIMEG