Bingo, Consiglio di Stato “Limitazione orario del Comune di Mantova non contrasta con limite massimo già previsto”

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello presentato dalla Invest Gaming srl contro il Comune di Mantova, per l’annullamento della sentenza del Tar Lombardia concernente la disciplina degli orari di esercizio delle sale giochi autorizzate. La sentenza di primo grado aveva respinto la domanda d’annullamento dell’ordinanza sindacale del 10 marzo.2015 recante “ disciplina comunale degli orari di esercizio delle sale giochi autorizzate”. “Con l’ordinanza impugnata in primo grado il sindaco di Mantova – si legge nella sentenza del Consiglio di Stato – considerati, tra l’altro, gli esiti delle indagini effettuate dall’ASL territorialmente competente, ha introdotto il nuovo regime degli orari di apertura delle sale giochi autorizzate in base al TULPS e del funzionamento degli apparecchi con vincita in danaro, stabilendo, a modifica di quanto stabilito dal Consiglio Comunale con deliberazione n.62 del 2011, che detti orari sarebbero stati articolati non più dalle 10.00 sino alle 24.00, bensì dalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle ore 18.alle ore 23.00 di tutti i giorni, compresi i festivi. Nel contestare la sentenza di primo grado la società appellante, che svolge attività di gestione del gioco bingo presso un esercizio pubblico situato nel Comune di Mantova, ne ripercorre criticamente gli argomenti assumendo soprattutto che essa non è stata affatto rispettosa degli indirizzi recati dal Regolamento comunale approvato con DCC n.62/2011, dove si stabilisce in modo espresso un orario di apertura giornaliero delle sale gioco più ampio (di ben sei ore), al quale avrebbe dovuto attenersi per non incorrere nella violazione dell’art.50 comma 7 del d.lgs. n.267/2000. Avrebbe inoltre violato l’ordinanza sindacale impugnata i principi di affidamento, certezza del diritto, di partecipazione e trasparenza, avendo provveduto in difformità dal Consiglio comunale senza far emergere le ragioni del cambiamento effettuato”. Secondo i giudici però l’appello è infondato. “Insussistente – si legge nelle motivazioni – anzitutto, è, invero, la violazione del Regolamento comunale, posto che il sindaco, esercitando poteri che senza dubbio l’art.50, comma 7, del d.lgs. 267/2000 gli attribuisce, non altro ha adottato che un’ordinanza finalizzata alla tutela della salute dei suoi cittadini e dei minori in particolare, essendo quest’ultimi i soggetti maggiormente attratti dagli apparecchi che consentono vincite in danaro, e quindi a rischio di dipendenza da tale tipo di gioco. Finalità di contrasto del gioco d’azzardo patologico che lo stesso Regolamento comunale fa proprie, con la quale il nuovo e contestato orario di apertura e gestione delle sale giochi non è certamente in contrasto, non travalicando l’introdotta riduzione complessiva dell’orario il limite regolamentare di apertura già previsto, essendo quest’ultimo un limite massimo, con il quale tale riduzione è ex sé compatibile. (…) L’ordinanza impugnata richiama la nota del Questore di Mantova Cat.Pas/11E/Vit./2014 del 13 novembre 2014, ma anche i dati raccolti dall’ASL di Mantova sulla incidenza della patologia del gioco d’azzardo (GAP) nella Provincia di Mantova. In tale contesto, dove vengono in evidenza le sollecitazioni rivolte dai predetti organismi ad intervenire per contrastare un fenomeno la cui gravità non può essere messa in discussione, sostenere che il provvedimento impugnato in primo grado non ha tenuto conto degli interessi della società appellante in relazione all’affidamento riposto sull’ampiezza originaria dell’orario dell’attività, comporta, per come viene intesa da parte ricorrente, l’introduzione surrettizia di una limitazione all’esercizio, come visto legittimo, del potere di modificare l’orario in argomento per adeguarlo alla documentata sopravvenienza di situazioni che riguardano, sia sotto il profilo dell’ordine pubblico, che quello della salute pubblica, intesi come insieme delle ricadute negative che derivano dalla diffusa pratica dei giochi d’azzardo, soprattutto le indicate categorie di cittadini. Non sussiste neppure la violazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990, e la conseguente lesione dei “diritti” di partecipazione. In tal senso, correttamente il Comune resistente pone in rilievo per escludere che la norma sopra richiamata sia stata violata, che il provvedimento non riguarda soltanto quella gestita dalla società appellante ma tutte le sale dove si pratica il gioco d’azzardo. Non può del resto non essere sottolineato che appaiono del tutto generiche le affermazioni della società appellante sull’apporto collaborativo che avrebbe potuto fornire se gli fosse stato consentito di partecipare al procedimento. Quanto alla conferenza di servizi è ben vero che tale modulo procedimentale è previsto dal comma 7° dell’art.50 del citato T.U., ma non è meno vero che avendo nella fattispecie il sindaco fatto uso di un potere come visto già contenuto nella stessa norma regolamentare, ne consegue che non possono ritenersi esistenti i presupposti che sono chiaramente richiesti per l’attivazione del detto modulo procedumentale. (…)Sul versante dell’efficacia del provvedimento in esame rispetto alla finalità di contrasto della ludopatia che affligge la popolazione, soprattutto, in età scolastica, non può non essere osservato che le critiche e le alternative prospettate dalla parte ricorrente si risolvono in generiche affermazioni, non essendo supportate da alcuna analisi seria sulla ludopatia nel territorio comunale, e vanno quindi considerate affermazioni di indimostrata efficacia, inidonee a porre in discussione tanto la proporzionalità quanto la ragionevolezza del mezzo (rimodulazione dell’orario) rispetto al fine ( contrasto alla ludopatia), soprattutto se si argomenta in termini di obiettivo da raggiungere che è quello del disincentivo piuttosto che quello della eliminazione del fenomeno che viene affrontato, la cui complessità non è revocabile in dubbio, e per il quale non esistono soluzioni di sicuro effetto. Non quindi permettono le argomentazioni di parte appellante di condividere neppure l’affermazione secondo la quale il provvedimento contestato è sorretto da una motivazione solo apparente”. rg/AGIMEG