Ennesimo attacco al gioco legale, questa volta sulle pagine del settimanale ‘L’Espresso’, in un articolo dal titolo “Virus dell’azzardo online, giovani sempre più a rischio: al giorno giocano fino a 1.000 euro”, nel quale si evidenzia come nell’ultimo anno il mercato del gioco via internet sia cresciuto di almeno il 25% e sia andato a colpire soprattutto giovani ed adolescenti, più avvezzi alle nuove tecnologie, affermando come “la maggior parte dei dipendenti da gioco d’azzardo sono patologici già appena maggiorenni”. Affermazioni che, se da una parte non sono supportate da numeri comprovati, dall’altra non trovano riscontro nei dati reali, come Agimeg ha già avuto modo di dimostrare, oltre al fatto di non poter contare su un contraddittorio, decisamente necessario quando si parla di un tema così delicato.
Nel pezzo dell’Espresso, ad esempio, si parla di un certo Antonio (ovviamente nome di fantasia) che è arrivato a giocare mille euro al mese e di una ricerca dell’associazione ‘Vinciamo il gioco’ nella quale “risulta che il 27% delle persone problematiche o patologiche è sotto i 25 anni e che il 68% di loro arriva a giocare tra 100 e 1.000 euro al giorno”. Tuttavia non viene assolutamente precisato il campione su cui è stata effettuata la ricerca, il numero delle persone intervistate in grado di avvalorare tale ricerca e come sono state effettuate tali interviste.
Nell’articolo ci si riferisce inoltre all’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che evidenzia un “significativo aumento della frequenza e dell’intensità di gioco nella parte più giovane della popolazione”, corroborato dalle dichiarazioni della Dottoressa Roberta Pacifici dell’ISS, che sottolinea come “durante il primo lockdown, è scesa la percentuale di chi giocava su internet, dal 10% all’8%, ma che è poi risalita e ha superato la percentuale prepandemia, arrivando al 13% nella seconda fase dello studio, tra novembre e dicembre 2020”. Tuttavia sono affermazioni fuorvianti, in quanto ad esempio per le scommesse sportive il calo durante la pandemia era scontato per la mancanza degli eventi calcistici, a parte pochissimi campionati di paesi poco conosciuti. Che la pratica del gioco sia diminuita durante il lockdown è inoltre un dato ovvio, visto che tutte le attività terrestri sono state chiuse e non potevano essere compensate dall’online. Il gioco terrestre addirittura è calato nel periodo di riapertura rispetto a quello prepandemico. Non si capisce quindi perché la dottoressa Pacifici parli di un’emergenza legata all’allentamento delle restrizioni. La stessa direttrice del Centro Nazionale Dipendenze e Doping parla di aumento del consumo di gioco tra persone con forte disagio dovuto ad altre dipendenze importanti. Questa parte di popolazione vulnerabile, come è stata definita dalla dott.ssa Pacifici, non è quindi stata colpita da un’improvvisa voglia di gioco, ma si porta dietro problematiche diverse delle quali il gioco non è la causa scatenante, ma un effetto che non si risolve con la proibizione del gioco stesso. Tra l’altro, nell’articolo si parla di un gran numero di giovani che si rovina con il gioco, mentre secondo un rapporto dell’ISS, quindi in contraddizione con quanto affermato dalla rappresentante dell’Istituto stesso, in Italia il giocatore tipo ha tra i 40 e i 64 anni.
Nell’articolo dell’Espresso si afferma poi che “il disturbo di gioco d’azzardo rientra tra le dipendenze del nuovo millennio, quelle comportamentali”. Anche in questo caso, non si specifica tuttavia che tra le dipendenze più diffuse, quella da gioco d’azzardo è solamente settima in classifica, preceduta da altre dipendenze ben più gravi e ben più diffuse, come quella da fumo, alcool, droga, smartphone, shopping e sesso.
Altro dato che lascia perplessi è quando si afferma che “la dipendenza da gioco d’azzardo è una realtà anche tra i giovanissimi: il 34% degli under 18 lo pratica quotidianamente e la fascia che sembra essere più critica è quella tra i 12 e 18 anni”, come riferisce la dottoressa Maria Pontillo, psicoterapeuta del servizio di Neuropsichiatria per l’infanzia e l’adolescenza del Bambin Gesù di Roma, che afferma inoltre come “sono arrivate segnalazioni da parte di genitori che si accorgevano che i propri figli rubavano soldi in casa o si appropriavano di nascosto delle carte di credito per scommettere online”. Premesso che il gioco – sia sulla rete fisica sia online – è vietato ai minori (è reato consentire agli under 18 di giocare), il problema di un tale comportamento sarebbe forse da cercare nel giovane che ruba denaro ai genitori ed utilizza la loro carta di credito, e non nel gioco d’azzardo. Tra l’altro affermare che il 34% degli under 18 gioca quotidianamente d’azzardo – un dato di cui non si specifica la provenienza – considerando che sono circa 10 milioni i ragazzi in questa fascia di età, significa che tre milioni e mezzo di minori giocano ogni giorno, un numero che non trova alcun tipo di riscontro. Quindi c’è da domandarsi: il 34% di quanti giovani? E come si è arrivati a questa percentuale?
Nell’articolo dell’Espresso si afferma anche che “le mafie approfittano dei giocatori affetti da ludopatia, concedendo loro prestiti a tassi usurari”. Anche in questo caso va detto che numeri esatti sul fenomeno non ce ne sono, e che viceversa se non vi fosse il gioco legale – che rappresenta un baluardo contro l’illegalità – l’impatto delle mafie sarebbe ben più grave e la criminalità andrebbe a prendere possesso di un comparto economico fondamentale per le casse erariali.
Infine, appare quantomeno particolare il fatto che l’ISS torni ad occuparsi del gioco pubblico, attraverso ricerche che descrivono il settore come problematico, proprio in un momento in cui le tante proteste dei lavoratori, le manifestazioni ed il presidio “rosa” in atto davanti a Montecitorio da 20 giorni stiano forse aprendo gli occhi di qualche schieramento politico e del Governo nei confronti del gioco pubblico. A parte qualche voce fuori dal coro, infatti, moltissimi esponenti politici di tutti gli schieramenti, intervistati da Agimeg e la riunione avuta tra le rappresentanti delle lavoratrici ed imprenditrici del gioco con il sottosegretario Baretta, sono stati la testimonianza che forse qualcosa si sta smuovendo e che l’obiettivo di far capire che il gioco pubblico non è il male del secolo, forse è più vicino. E proprio in questo momento arrivano invece ricerche dell’Istituto Superiore della Sanità che invece, va ricordato, solo tre anni fa aveva fatto un’ampia e dettagliata ricerca nella quale veniva evidenziato quanto il gioco pubblico non fosse affatto un allarme sociale. Però i più attenti, ricorderanno anche che in quell’occasione l’Istituto venne criticato dal Movimento 5 Stelle, attraverso anche un’interrogazione parlamentare, accusando l’ISS di aver dimostrato, attraverso tale ricerca, “un retaggio della passata legislatura e del passato governo. Compendia gli esempi di un metodo sbagliato che rivela conflitti d’interessi”.
Insomma, ancora una volta si è avuto prova che trattare il tema del gioco non è semplice e che è necessario muoversi con le conoscenze necessarie per non incappare in errori e facili scivoloni, tenendo ben a mente che il vero ‘virus’ non è quello del gioco, ma quello dell’ignoranza. lp/AGIMEG