In relazione alle ordinanze istruttorie della Corte Costituzionale n. 96/2020 e n. 97/2020, relative ai giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e il bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), l’UPB ha predisposto, su richiesta della Corte, una relazione informativa denominata “Il gioco del Bingo: analisi economica del settore”, riguardante i profili economico-finanziari e l’applicazione della disposizione censurata, con particolare riferimento alla redditività media delle attività imprenditoriali oggetto delle concessioni in proroga nel periodo compreso tra il 2013 e il 2018 e all’entità degli scostamenti anche in funzione delle diverse aree del territorio. Ecco il testo della relazione:
Il gioco del Bingo: analisi economica del settore1 1. Introduzione
La possibilità di esercitare il gioco del Bingo è stata introdotta in Italia nel 2001, condizionando l’apertura delle sale per il gioco all’ottenimento di una specifica concessione rilasciata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il Bingo, infatti, rientra nelle attività di esercizio dei giochi e delle scommesse che sono oggetto di una riserva legale allo Stato (per legge dello Stato, D. Lgs.14 aprile 1948 n. 496, art.1) e affidate al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che a sua volta opera per mezzo della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM). Il monopolio riservato allo Stato trova fondamento in diverse ragioni tra le quali rientra la tutela dei giocatori e, in generale, l’esigenza di limitare le ricadute negative, economiche e sociali, del gioco. Da queste finalità di politica pubblica deriva il contingentamento del numero di concessioni, inizialmente determinato per via amministrativa dall’allora competente Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, successivamente, a partire dal 2015, fissato dalla legge a 210 sale nel territorio nazionale. L’esercizio dell’attività da parte dei concessionari, che in quanto tali sono titolari di un potere di monopolio (locale) trasferito dallo Stato, comporta il pagamento di un “prezzo”, costituito da una quota percentuale della raccolta delle giocate, il PREU (Prelievo unico erariale), e da un onere concessorio in somma fissa. Il PREU originariamente (nel 2001) era fissato pari al 20 per cento della raccolta, aliquota successivamente ridotta all’11 per cento (in via sperimentale nel 2009 e definitiva nel 2012). L’onere concessorio in somma fissa è stato introdotto nel 2013, allo scadere delle prime concessioni, come misura provvisoria in attesa della riassegnazione per gara delle concessioni scadute e automaticamente prorogate. La procedura dei bandi di gara è stata rimandata più volte e tuttora non è stata espletata. L’onere concessorio, fissato nel 2013 in 2.800 euro mensili, ha poi subito due aumenti e dal 2018 è pari a 7.500 euro mensili (si veda il paragrafo 2). Dal punto di vista economico, PREU e onere concessorio definiscono un “prezzo in due parti”: una parte variabile in proporzione della raccolta e l’altra in somma fissa. Quest’ultima ha lo scopo di estrarre la rendita economica (connessa al potere di monopolio) di cui godono i concessionari. Di fatto, l’incidenza sulla raccolta della parte in somma fissa è, per l’insieme delle concessioni, limitata: l’1,2 per cento della raccolta nel 2019 (si veda il paragrafo 3). Tuttavia, la grande eterogeneità che caratterizza il settore in termini di raccolta per singola concessione determina un’ampia variabilità dell’incidenza specie se si considerano gli estremi della distribuzione. Mentre per il 90 per cento delle concessioni (che presentano una raccolta compresa tra 2 e 15 milioni di euro) l’incidenza varia tra lo 0,8 e il 2,7 per cento, per le concessioni con una raccolta superiore ai 15 milioni l’incidenza è inferiore allo 0,5 per cento e per quelle con una raccolta inferiore a 2 milioni superiore al 7 per cento (si veda il paragrafo 4). Una certa eterogeneità nella raccolta media per concessione, sebbene limitata, si riscontra anche a livello territoriale (si veda il paragrafo 5). In linea generale, dall’eterogeneità di redditività (e quindi di rendita economica) delle varie concessioni consegue l’opportunità di diversificare la parte in somma fissa tra le concessioni. La finalità di ricorrere a procedure d’asta per l’assegnazione è proprio questa: un’asta ben disegnata è potenzialmente in grado di indurre i partecipanti a rivelare la loro disponibilità a pagare per la concessione e quindi la dimensione della rendita economica associata alla concessione stessa. Nel regime transitorio si è scelto di applicare una parte in somma fissa uniforme per tutte le concessioni. Un onere concessorio uniforme ha il chiaro difetto di essere regressivo; d’altro canto, costituisce un incentivo a un’evoluzione del settore verso configurazioni industriali più efficienti. L’evoluzione del settore negli anni mostra una tendenza alla concentrazione delle concessioni, con un peso crescente delle concessioni detenute da società titolari di più di una concessione. In molti casi, singole concessioni con una raccolta elevata compensano quelle con raccolta più bassa (si veda il paragrafo 6). Guardando all’insieme delle concessioni con raccolta inferiore a 2 milioni, si notano tendenze alla diminuzione della raccolta e all’uscita dal mercato (si veda l’Appendice). I ricavi netti del Bingo – su cui si concentra gran parte di questa Nota – sono un indicatore molto parziale della redditività delle concessioni. Dal lato dei costi, occorre tener conto anche di quelli associati allo svolgimento dell’attività (per l’allestimento delle sale, per il personale, ecc.). Una parte di questi costi è relativa allo svolgimento di attività collaterali (come i servizi di somministrazione di alimenti e bevande) che a loro volta producono ricavi aggiuntivi rispetto a quelli derivanti direttamente dal gioco. Inoltre le sale Bingo possono accogliere anche apparecchi di intrattenimento (AWP e VLT) che permettono di aumentare la redditività complessiva dei concessionari. Insomma, l’attività di gestione del gioco comporta importanti economie di scala e di produzione congiunta. Esaminando i dati di bilancio si possono osservare solamente i ricavi e i costi riferiti alla attività complessiva delle società concessionarie e non è possibile la loro imputazione in quota alla raccolta del Bingo che, comunque, nella maggior parte dei casi, non esaurisce l’attività delle società stesse ma piuttosto ne costituisce in media meno del 40 per cento (si veda il paragrafo 7).
2. Le concessioni per il Bingo e l’onere concessorio Dall’introduzione del Bingo nel 2001, sono state complessivamente assegnate 415 concessioni di cui solo 310 poi divenute effettivamente operative. Fino al 2012 la concessione è stata rilasciata a titolo gratuito; a quella data le concessioni si erano già ridotte a 223 e successivamente non tutte quelle in scadenza sono state oggetto di proroga (tab. 2). Nel 2013, in corrispondenza della scadenza delle prime concessioni, è stato previsto un bando di gara per la loro riassegnazione a titolo oneroso. Da quell’anno la procedura di bando è stata rimandata più volte e la scadenza è attualmente fissata per il 31 marzo 2021. Nelle more della riassegnazione per bando, le concessioni in essere sono state automaticamente prorogate prevedendo, in via provvisoria, il pagamento di un onere concessorio mensile. All’inizio del 2019 (ultimo anno per cui sono disponibili dati) risultavano operative 201 concessioni; nel corso dell’anno sono cessate altre 3 concessioni per cui alla fine del 2019 risultavano operative 198 concessioni di cui una sola ancora in regime di proroga. La tabella 1 riassume i diversi passaggi legislativi. La legge 147/2013 ha previsto l’assegnazione di concessioni della durata di 6 anni e ha introdotto il principio di onerosità della concessione con un costo definito da una base d’asta per ogni singola concessione di 200.000 euro. In attesa della gara, l’onere concessorio dovuto all’ADM veniva fissato in 2.800 euro per ogni mese di operatività della sala. La gara è stata rinviata con la legge 208/2015, modificando anche i termini della assegnazione della concessione: è stato fissato un massimo di 210 concessioni, la base d’asta è stata innalzata a 350.000 euro e la durata, non rinnovabile, è stata portata da 6 a 9 anni; per il periodo di proroga, dal 2016 l’onere concessorio mensile è stato elevato da 2.800 a 5.000 euro. Successivamente la Legge 205/2017, oltre a rinviare nuovamente la gara, ha modificato i termini per la fissazione della base d’asta definendo un introito minimo atteso pari a 73 milioni. Contestualmente, dal 2018 è stato ulteriormente innalzato l’onere concessorio portandolo a 7.500 euro mensili. Da ultimo, il DL 124/2019 ha spostato il termine per la procedura di gara al 30 settembre 2020, slittato di ulteriori 6 mesi a causa della emergenza sanitaria per il COVID-19 (DL 18/2020). Si può osservare che la concessione affidata con un bando di gara dovrebbe condurre alla definizione di un prezzo, potenzialmente differenziato in funzione della prospettiva di redditività di ciascuna concessione. La fissazione di una base d’asta, fino al 2017, determinava comunque un prezzo minimo (350.000 euro per una concessione di 9 anni) per l’assegnazione della concessione. Dal 2017, con la nuova formulazione della norma, viene fissato un introito complessivo minimo per lo Stato senza definire una base d’asta uniforme. Tale introito complessivo (73 milioni per 210 concessioni) corrisponde a una base d’asta media per singola concessione di 348.000 euro. Viene quindi lasciata alla successiva definizione della procedura d’asta demandata all’ADM la definizione di basi d’asta eventualmente differenziate per le singole concessioni. Partendo dall’osservazione che nella prima definizione del nuovo regime, nel 2013, la base d’asta (200.000 euro) corrispondeva alla misura dell’onere concessorio mensile, 2.800 euro, versato per 6 anni (201.600 euro), si potrebbe essere tentati di ritenere le due fattispecie equivalenti. In realtà, con la gara il prezzo d’aggiudicazione (piuttosto che la base d’asta) definisce un costo fisso che dovrà essere liquidato tutto in anticipo e il concessionario si dovrà assumere il rischio economico della sua operatività per l’intero periodo della concessione. Nel regime di proroga, il versamento mensile dell’onere concessorio è subordinato all’effettiva operatività della concessione nel mese di riferimento: il rischio economico viene trasferito interamente sullo Stato2 . Vi è, infine, l’aspetto forse più rilevante: la proroga automatica con onere concessorio uniforme avvantaggia le concessioni esistenti, certamente quelle più redditizie, rispetto all’assetto che si avrebbe dopo l’effettuazione delle procedure d’asta che presumibilmente porterebbe a un prezzo di aggiudicazione superiore a quello base.
3. Un quadro d’insieme della redditività del gioco Il rendimento del gioco del Bingo, al lordo delle spese relative alla sua organizzazione, è definito dalla raccolta proveniente dalla vendita delle cartelle, dalle opzioni di distribuzione delle vincite che ne definiscono il margine lordo (al massimo pari al 30 per cento, dato un payout – la quota della raccolta distribuita alle vincite – minimo pari al 70 per cento delle giocate complessive), dal prelievo erariale unico con una aliquota dell’11 per cento (come si è visto, originariamente fissata al 20 per cento) e dal canone riconosciuto a titolo di compenso dell’ADM, affidataria del controllo centralizzato del gioco, fissato all’1 per cento. Al concessionario è quindi riservato un margine al netto del PREU e del canone che al massimo può raggiungere il 18 per cento della raccolta. L’onere concessorio mensile, introdotto dal 2013 per le concessioni in proroga, essendo in ammontare fisso incide sul margine netto annuale in relazione inversa all’andamento dei ricavi. Non va dimenticato che questo margine rappresenta il rendimento della concessione e non il profitto finale della attività del Bingo che dipende per ciascuna impresa concessionaria dall’incidenza dei costi operativi imputabili alla attività di gioco e da ricavi e costi delle attività che a essa si accompagnano (come altre attività di gioco e i servizi di somministrazione di alimenti e bevande) (si veda paragrafo 7). Nonostante la riduzione del numero delle concessioni, nel periodo 2012-19 i valori complessivi della raccolta e del gettito erariale sono rimasti per lo più costanti e pari, rispettivamente, a circa 1,5 e 0,2 miliardi (tab. 2). Gli introiti relativi all’onere concessorio, per effetto dei successivi incrementi disposti dalla legge, sono invece aumentati da circa 6 milioni nel 2015, quando quasi tutte le concessioni operative erano già a titolo oneroso (193 su 207 totali), a poco meno di 18 milioni nel 2019. Dal 2013, ultimo anno in cui la concessione è stata a titolo gratuito per la maggior parte delle concessioni, al 2019 il margine netto si è ridotto in media di 1,3 punti percentuali (passando dal 17,8 al 16,5 per cento). Una piccola parte di questa riduzione (circa 0,2 punti percentuali) deriva da un incremento medio del payout registrato nello stesso periodo. Complessivamente la quota dell’erario è passata dal 12 per cento nel 2012 al 13,2 per cento nel 2019.
4. La raccolta e incidenza dell’onere concessorio per le singole concessioni La tabella 3 illustra la distribuzione delle 198 concessioni in attività a fine 2019 per classi di raccolta. L’89 per cento delle concessioni ha una raccolta compresa tra 2 e 15 milioni, con poco meno della metà del totale delle concessioni concentrata nella classe da 5 a 10 milioni; nelle code della distribuzione il 5 per cento delle concessioni presenta una raccolta inferiore a 2 milioni e il 6 per cento superiore a 15 milioni. Nel 2019 l’incidenza dell’onere concessorio per la parte centrale della distribuzione (che comprende l’89 per cento delle concessioni) varia dal 2,7 per cento per la classe 2-5 milioni allo 0,8 per la classe 10-15 milioni. Per la coda inferiore della distribuzione l’incidenza è del 7,2 per cento, per quella superiore dello 0,4. Nel 2015, quando la misura dell’onere concessorio era circa un terzo di quella attuale, la variabilità della sua incidenza era ovviamente minore: dall’1,4 per cento per la coda inferiore allo 0,1 per la coda superiore (tab. 4). La figura 2 consente di apprezzare l’evoluzione della distribuzione dell’incidenza dell’onere concessorio rispetto alla raccolta nei tre periodi per i quali sono in vigore valori differenziati dell’onere concessorio: 2014-15, 2016-17 e 2018-19. Nel periodo 2014-15 l’incidenza dell’onere concessorio varia tra lo 0,1 per cento, per le concessioni con una raccolta intorno ai 30 milioni, e lo 0,7 per cento, per quelle con una raccolta pari a 5 milioni (le concessioni all’interno di questo intervallo rappresentano oltre il 70 per cento); nel periodo 2018-19, in corrispondenza di questi stessi valori di raccolta – 30 e 5 milioni – l’incidenza varia tra lo 0,3 e l’1,8 per cento. Si può notare come al decrescere della raccolta le differenze tra i diversi periodi diventano sempre più marcate. L’incidenza massima (corrispondente alla concessione con raccolta minima) è del 2,1 per cento nel 2014-15 e dell’8,1 nel 2018-19. L’evoluzione dell’incidenza effettiva nel tempo, come rappresentata nella figura 2, dipende dall’andamento sia dell’onere concessorio sia della raccolta. Considerando le singole concessioni, l’effetto puro dell’incremento del canone tra il 2015 e il 2019 può essere calcolato applicando alla raccolta (costante) del 2019 la legislazione in vigore fino al 2015. La differenza tra l’onere del 2019 e questo valore simulato definisce quindi la maggiore incidenza dell’onere per ciascuna concessione nei due regimi considerati. Il risultato di questo esercizio è nella penultima colonna della tabella 4: per le prime due classi della distribuzione il volume della raccolta è diminuito tra il 2015 e il 2019, per cui nel 2019 l’incidenza dell’onere sarebbe stata superiore a quella del 2015 anche se l’importo di quest’ultimo non fosse aumentato; il contrario accade per le quattro classi superiori.
5. Analisi regionale della raccolta e della redditività A livello territoriale, la Sicilia e la Campania sono le regioni con il più alto numero di concessioni (28 e 27 nel 2019) e la più elevata raccolta media, pari rispettivamente a 9,1 e 8,7 milioni (tab. 5). In queste due regioni, a fronte di una platea di giocatori per ogni concessione che risulta essere la più bassa a livello regionale (rispettivamente 179.000 e 215.000 abitanti rispetto alla media nazionale di 295.000), la quota di spesa per il Bingo rispetto a quella complessiva delle famiglie della regione è la più alta rispetto a quella registrata nel resto del territorio nazionale (rispettivamente, 0,37 e 0,32 cento, contro una media nazionale dello 0,14 per cento). Con valori di raccolta in media così elevati l’incidenza dell’onere concessorio, sebbene fino al 2019 sia triplicato in valore assoluto, risulta in queste regioni molto contenuta (il margine del concessionario si riduce di circa 1 punto percentuale: dal 17,9 al 17 per cento in Sicilia e dal 17,1 al 16,1 per cento in Campania). L’Umbria e il Trentino-Alto Adige registrano invece una raccolta media molto più bassa (rispettivamente 2,4 e 4 milioni) e una incidenza dell’onere concessorio molto più elevata: il margine netto passa in media dal 18 al 14,2 per cento in Umbria e al 15,8 per cento in Trentino-Alto Adige. Nella maggior parte delle altre regioni il valore medio della raccolta per concessionario oscilla intorno alla media nazionale di 7,4 milioni e di conseguenza l’incidenza media dell’onere concessorio varia tra l’1,6 per cento del Friuli-Venezia Giulia e l’1,1 della Puglia e del Lazio. La Calabria con una sola concessione ha un bacino di utenza potenzialmente molto ampio, ma sia la raccolta sia la sua redditività risultano allineate ai valori medi nazionali. Solo la Valle d’Aosta e la Basilicata non hanno alcuna concessione nel loro territorio.
6. Dalle singole concessioni alle società concessionarie La tabella 6 riporta l’evoluzione nel periodo 2012-19 della numerosità delle concessioni per tutte le società titolari di più di una concessione. Nel 2019 sono presenti 129 società concessionarie, di cui 20 con più di una concessione: il 15,5 per cento delle società concessionarie detiene il 46 per cento delle concessioni e oltre il 50 per cento della raccolta complessiva. Nel 2012 e nel 2013, prima della proroga a titolo oneroso, le società con concessioni multiple non superavano il 14 per cento del totale e detenevano il 37 per cento circa delle concessioni. Il quadro non muta nel triennio 2014-16. Solo a partire dal 2017, emerge una tendenza a una maggiore concentrazione. Nella tabella 7 sono riportate le 20 imprese che nel 2019 detenevano più concessioni e corrispondentemente le società che nel tempo ne hanno cedute. In particolare, tra il 2012 e il 2016, la Società 1 ha acquisito 17 concessioni da 4 società; nello stesso periodo, la Società 7 ne ha acquisite 10 da altrettante società e ne ha poi cedute 11 alla Società 6; la Società 18 ne ha acquisite 2 nel 2014 e altre 3 nel 2018 e nel 2019 ne possiede 10. Con queste trasformazioni, nel 2019 queste 3 concessioni insieme ad altre 2 società – la Società 23 e la Società 24 – detengono oltre il 25 per cento delle concessioni totali e assorbono il 31 per cento della intera raccolta del 2019. Prendendo in considerazione le società concessionarie con più concessioni, si può osservare che in molti casi le singole concessioni con un’incidenza elevata dell’onere concessorio si compensano con quelle a incidenza più bassa riducendo l’incidenza media rispetto alla raccolta complessiva della società (tab. 8). Ad esempio, l’onere della Società 1 e quello della Società 6 sono pari in media all’1,2 per cento della raccolta, mentre l’onere relativo alle singole concessioni varia rispettivamente tra il 3,7 e lo 0,6 per cento e tra lo 0,6 ed il 4,6 per cento.
7. Uno sguardo ai bilanci delle società concessionarie La valutazione complessiva della redditività del gioco del Bingo non può prescindere dall’analisi delle caratteristiche strutturali e organizzative di questa attività di gioco. Sul piano organizzativo le sale da gioco devono rispettare alcuni requisiti minimi. In particolare, queste devono assicurare almeno 300 postazioni e una superfice minima di 450 mq (1,5 mq per ciascuna postazione di gioco) a cui si aggiungono almeno 150 mq per gli uffici e servizi ricettivi. Alcune sale superano le 600 postazioni, circa un terzo offre tra 400 e 600 postazioni e oltre la metà opera fino a 400 postazioni. In aggiunta, oltre alle ordinarie caratteristiche di sicurezza, i concessionari devono adottare sistemi di sorveglianza costante e garantire il controllo degli accessi e della sala. Inoltre, il concessionario deve sostenere i costi relativi alla infrastruttura telematica necessaria per la trasmissione dei dati al sistema di controllo dell’ADM3 . Per l’allestimento di una sala Bingo, Eurispes stima un costo di investimento medio complessivo attorno ai 2,5 milioni. Con riferimento ai costi operativi, questa attività di gioco richiede mediamente una disponibilità di personale più elevata rispetto ad altre attività. Sebbene non sia possibile imputare le spese per il personale alla singola concessione e alla sola attività di gioco del Bingo, dalla analisi dei bilanci delle società concessionarie del Bingo, che possono includere anche i proventi di altre attività di gioco (in concessione) e delle attività ausiliarie, come la ristorazione, è possibile evidenziare alcuni elementi caratteristici di questo settore. Utilizzando la banca dati Aida (Bureau van Dijk) che raccoglie i bilanci delle società di capitali italiane, è stato possibile associare i dati della raccolta del Bingo con i rispettivi dati di bilancio per 103 società concessionarie. Inoltre, sono stati analizzati i 915 bilanci delle società che risultano attive e con un ricavo positivo nel settore delle “Attività riguardanti lotterie, scommesse e case da gioco”. In primo luogo, si evidenzia un ricavo per addetto significativamente più basso per le società concessionarie del Bingo rispetto a quello che si ottiene in media per il complesso del Settore: rispettivamente 113.000 e 480.000 euro nel 2019. In secondo luogo, il costo del personale per il primo sottosettore rappresenta circa il 30 per cento dei ricavi complessivi di bilancio (che si ricorda possono includere anche ricavi da attività diverse da quelle del Bingo) mentre per il totale del settore supera appena il 7 per cento. Dai dati di bilancio emerge anche che per le 103 società concessionarie analizzate, il margine operativo relativo al Bingo rappresenta una quota molto variabile dei ricavi complessivi. In media il rapporto è pari al 39 per cento, con un valore molto disperso che oscilla fra lo 0,6 e il 79 per cento (fig. 3). In generale la redditività complessiva delle sale Bingo può difficilmente prescindere dalle attività ausiliare come la ristorazione e d alla presenza di altre attività di gioco. In particolare, dal 2007 nelle sale Bingo è possibile installare apparecchi da intrattenimento (AWP/VLT) che assorbono una quota di costi, soprattutto per il personale, molto più bassa e permettono di aumentare la redditività complessiva delle società concessionarie. Per le sole società che operano nel settore del Bingo la figura 3 evidenzia una relazione positiva tra la quota dei ricavi imputati al Bingo rispetto ai ricavi complessivi della società e il peso del costo del personale: maggiore la quota del Bingo nella attività delle società (misurata sull’asse orizzontale), maggiore il peso dei costi del personale sui ricavi.
Appendice Le concessioni a più bassa redditività
Nel 2019 solo per 13 concessioni l’operatività è risultata molto bassa e i ricavi non hanno superato i 2 milioni; di conseguenza l’incidenza dell’onere concessorio ha superato il 4 per cento con un incremento significativo rispetto a quella registrata nel 2015 (tab. 9). Non emerge una specifica distribuzione territoriale delle concessioni che manifestano maggiori difficoltà operative. Si può tuttavia osservare che per la maggiore parte di queste imprese l’incidenza dell’onere cresce anche a causa dell’andamento decrescente dei ricavi nel periodo. Si tratta di imprese strutturalmente a bassa redditività. Si può poi sottolineare che 3 concessioni – la 20, la 85 e la 167 – sono cessate nel 2019 e nell’anno hanno operato per un periodo ridotto. In particolare, la concessione 85 è stata acquisita nel 2018 dalla Società 32, che possiede altre concessioni, per poi diventare non operativa nel 2019; la concessione 20, operativa ad Alessandria, era stata acquisita nel 2016, insieme alla 25 (sempre ad Alessandria), dalla Società 30 che già operava sul territorio con una concessione più redditizia (la 24) divenendo concessionario unico per la provincia di Alessandria. Inoltre, si deve considerare che nella maggior parte dei casi la bassa redditività di una singola concessione, per la società concessionaria è compensata, da una parte, dalla redditività di altre concessioni e, dall’altra, dalla redditività delle altre attività svolte (altri giochi in concessione e ristorazione). Riguardo al primo aspetto, nella tabella 9, per le 5 concessioni che appartengono a società con più concessioni viene riportata l’incidenza dell’onere concessorio sia per la concessione sia per la società concessionaria e si evidenza una significativa compensazione interna alle società tra concessioni a più elevata e a più bassa redditività. In generale le concessioni a più bassa redditività tendono anche a uscire dal mercato. Complessivamente dal 2012 non sono più operative 25 concessioni. La maggior parte delle concessioni sono uscite dal mercato nel 2015 (14) – ancora prima o in corrispondenza della scadenza del regime gratuito – e nel 2019 (6). Quasi tutte registravano ricavi inferiori ai 3 milioni con andamento decrescente nel periodo di operatività. Con riferimento al secondo aspetto, la redditività delle altre attività delle società titolari delle concessioni Bingo a bassa redditività, la tabella 10, evidenzia come per queste società la quota di ricavi specifici del Bingo sul totale dei ricavi sia generalmente molto bassa. cdn/AGIMEG