“Tiburno”, operazione Babylonia. Denunce dei titolari di bar e sale assolti: “Vendute le nostre attività senza aspettare la sentenza di Appello relativa ai sequestri”

“Questa vendita assurda va fermata, sono pronto a qualsiasi cosa, anche ad incatenarmi davanti al bar. Dopo il processo e l’assoluzione pensavo di riprendermi ciò che era mio, invece stanno succedendo troppe cose strane. Mi hanno dipinto come un prestanome, ma io gestisco bar e locali da una vita, ho fatto moltissimi investimenti e avevo 27 dipendenti. Alla fine del processo sono stato assolto con formula piena, perché il fatto non sussiste. Adesso invece scopriamo che l’amministratore giudiziario sta vendendo le nostre attività, ma questa cosa non mi risulta fattibile”. E’ l’allarme lanciato sulle pagine del “Tiburno” da Michele De Cristofano, compagno della titolare del bar più noto e remunerativo di Monterotondo, alle porte di Roma. Lo scorso 3 marzo la titolare del ‘Bar Vittoria’ ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica indicando una serie di situazioni anomale che stanno portando la proprietà della società che lo gestiva in altre mani, passando anche per una società a giurisdizione cipriota. Sono gli effetti delle decisioni del Tribunale Ordinario di Roma – sezione specializzata in misure di prevenzione – che ha autorizzato gli amministratori giudiziari a procedere alla sottoscrizione dei contratti di affitto e di cessione di aziende riconducibili alle società e imprese colpite da misura di prevenzione nell’ambito dell’operazione Babylonia, che nel 2017 portò a sequestri per 280 milioni di euro, tra cui una rete di locali notturni e sale slot, ed a decine di arresti. Una vicenda che colpì decine di altri bar e sale slot, con proprietari che evidenziano come la vendita non sia contemplata fino a quando arriva la sentenza di Appello relativa al sequestro. Ma il giudice in questi ultimi giorni ha accelerato osservando che ‘tale soluzione è assolutamente necessaria e urgente per la situazione di crisi che coinvolge le aziende impegnate in settori particolari che recentemente hanno dovuto affrontare gravi limitazioni a causa di nuove normative e dell’emergenza Covid’.
Il filone in cui rientra la vicenda del ‘Bar Vittoria’ riguarda l’attività di un’organizzazione criminale particolarmente attiva a Monterotondo e nel successivo impiego dei proventi illeciti in bar e sale giochi, fraudolentemente intestati a prestanome. Secondo l’accusa questa organizzazione aveva costretto il titolare Alberto Di Carmine, in difficoltà economiche, a vendere il Bar Vittoria a Michele De Cristofano, ad un prezzo di gran lunga inferiore al valore di mercato. “Ho dimostrato in processo di aver pagato fino all’ultimo centesimo l’attività di Di Carmine, versando ogni mese 20 mila euro che erano parte dei proventi della tabaccheria e quindi già tassati”, ha detto ancora De Cristofano, assolto nel processo penale perché il fatto non sussiste. “Prima di una pronuncia di Appello stanno vendendo attività aziendali tra cui quelle riguardanti la vendita dei generi dei Monopolio. Mi sembra assurdo che tali attività possano essere cedute in forma diretta, senza una stima e senza un bando a una società di capitali privati peraltro con predominio straniero, invece dell’ente preposto che è l’Agenzia dei beni confiscati. Per questo motivo abbiamo chiesto un intervento di salvaguardia dei beni per preservarli fino alla pronuncia definitiva in materia per scongiurare il verificarsi di danni potenzialmente irreversibili”.
Dopo l’assoluzione di De Cristofano la sua compagna, proprietaria della società, stava aspettando che la Corte di Appello di Roma valutasse tutti gli sviluppi del caso. Nei giorni scorsi invece è arrivato il colpo di scena. Le società vengono vendute dagli amministratori giudiziari, compresa l’attività aziendale di vendita di generi di monopolio.
Nell’inchiesta Babylonia è finito anche un altro imprenditore di Mentana (RM), Daniele Stasio, che gestiva insieme ad altri membri della propria famiglia il ‘Bar Garden’ a Settebagni, sulla via Salaria, un bar tavola calda con tabacchi e sala slot, con 16 dipendenti full time. Anche lui, secondo l’accusa, sarebbe stato un prestanome, motivo per il quale con la sentenza di primo grado nel dicembre 2020 gli è stata confiscata l’attività, in attesa dell’Appello. “Tutti sanno che siamo una famiglia di lavoratori e invece mi provano a dipingere come un prestanome. Come ho dimostrato anche al giudice, l’attività l’ho avviata oltre che con i miei risparmi anche grazie a un prestito che ha avuto mio padre. Mi sono invece ritrovato in una situazione assurda, senza aver mai ricevuto un avviso di garanzia a rischiare di perdere il bar in cui avevo investito tutti i risparmi di una vita”, racconta sulle pagine del ‘Tiburno’. Va precisato che Stasio non è implicato nella vicenda Babylonia ed è ‘terzo interessato’ rispetto alla vicenda, ma ha subìto la confisca del bene. Oltre ad aver presentato ricorso in Appello, in questi giorni ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica e una denuncia alla GdF perché ha scoperto che il suo bar sarebbe stato venduto con addirittura già l’intestazione della tabaccheria per la vendita di generi di monopolio. lp/AGIMEG