Gli operatori italiani delle scommesse hanno perso una battaglia sulla tassa dello 0,5%, ma la guerra è ancora in corso. “Non è pregiudicato il ricorso in sé, ma solo la domanda sospensiva” È la prima cosa che mette in evidenza Moreno Marasco, presidente dell’associazione LOGiCO. Lo scontro insomma proseguirà nella fase di merito – le udienze sono state fissate ad aprile – inoltre i concessionari hanno impugnato le ordinanze sospensive di fronte al Consiglio di Stato: il Presidente ha negato il decreto d’urgenza e ha rinviato a una camera di consiglio di gennaio. In ogni caso, gli operatori non intendono darsi per vinti: “nel caso del betting exchange c’è un discorso di sostenibilità del business in sé, visto che l’imposta supera il fatturato” spiega ancora Marasco a Agimeg. “Nel caso delle scommesse tradizionali, invece, gli operatori confidavano che il giudice tenesse in considerazione anche un altro fattore, ovvero il fatto che la chiusura della rete fisica sta aggravando notevolmente la posizione del settore”.
Per il betting exchange, però il Tar nelle ordinanze ha sottolineato che alla fine l’imposta grava – e quindi eventualmente danneggia – non sull’operatore, ma sul giocatore: “L’imposta in sostanza viene descritta come un tributo relativo alla manifestazione di ricchezza che i giocatori esprimono nel momento in cui effettuano la puntata” prosegue Marasco, secondo cui questa interpretazione – se trasposta sul normale prelievo – “fa nascere una serie di dubbi, il primo riguarda il fatto che al gioco fisico e al gioco online si applicano aliquote differenti. Se quello che si tassa è la manifestazione di ricchezza del giocatore, allora perché i due canali hanno regimi fiscali differenti? Di certo non si può dire che il giocatore online sia più ricco di quello fisico”. Ma in realtà, “le imposte di gioco sono surrogati dell’IVA, specifiche per vari segmenti” osserva ancora il presidente di LOGiCO. “Non esistendo tuttavia – prima del meccanismo congegnato per l’exchange e proprio in merito al Salva Sport – un automatismo di addebito al cliente, rientra nella discrezionalità dei concessionari stabilire come disegnare la propria offerta in modo da ribaltare l’imposta sul giocatore, sostanzialmente attraverso il controllo del payout teorico”.
Nel caso dell’exchange poi ci sono dei risvolti pratici che il giudice in questa fase non ha potuto analizzare: “Il giocatore non sa effettivamente quanto pagherà con la tassa, lo scoprirà solo alla fine visto che il prelievo si applica sui movimenti netti”. La tassa si applica sui mercati infatti sui cosiddetti mercati: prendendo in considerazione una partita qualunque, l’1X2 rappresenta un mercato, l’under-over un altro mercato, e il risultato esatto un altro ancora. Se uno scommettitore piazza una giocata sul risultato esatto e una sull’1X2, scommetterà su mercati differenti; quindi nel caso ne vinca una e perda l’altra, non pagherà la tassa sulla differenza, ma per intero sulla prima. “Il giocatore che ha piazzato più scommesse, scoprirà quanto dovrà pagare solamente quando si conclude la la partita. Di certo non può sapere a priori quale parte della sua raccolta genererà delle vincite. Inoltre, il fatto che questa tassa venga scaricata sul giocatore fa sì che non sia più conveniente giocare con il betting exchange. Mette fuori mercato questo prodotto”. E’ troppo presto per dire però se i giocatori si stiano già spostando in massa verso i siti senza concessione, anche perché probabilmente ancora non hanno subito il prelievo: “forse i concessionari non hanno ancora implementato l’addebito diretto. Probabilmente confidavano nel fatto che il Tar avrebbe sospeso”. gr/AGIMEG