Genova: Tar Liguria, “Legittima la norma comunale che vieta installazione di slot vicino ai luoghi sensibili”

Il Tar Liguria ha respinto il ricorso presentato dal titolare di una tabaccheria contro il diniego del Comune di Genova al rilascio di una autorizzazione per l’installazione di quattro slot ( apparecchi comma 6a) confermando la legittimità della norma regionale che impone distanze minime da chiese e altri luoghi sensibili. “Una decisione articolata dove il Tar fa richiamo alle esigenze di tutela della sicurezza dell’incolumità e della salute -ha spiegato l’assessore alla sicurezza del Comune di Genova Elena Fiorini- e siamo soddisfatti perché vuol dire che ci stiamo muovendo nella strada giusta”. Un risultato arrivato a pochi giorni dall’approvazione del nuovo regolamento comunale per l’apertura delle sale da gioco in città. “E’ un nuovo tassello che si aggiunge alla legge regionale per arginare il fenomeno dei mini casinò proprio di supporto ai cittadini e di supporto alle tante istanze che ci sono state da parte della cittadinanza per non vedere le persone coinvolte e rovinate dal gioco”, ha chiarito l’assessore. “E’ fondamentale ma noi auspichiamo che molti comuni ci seguano su questa strada perché credo che l’amministrazione genovese sta facendo vedere che si può fare”, ha quindi concluso l’assessore Fiorini.

La pronuncia

“ A conferma dell’orientamento recentemente espresso con sentenza nr. 158/2013, il ricorso è infondato e va respinto e ciò rende privo di interesse l’esame delle eccezioni in rito variamente formulate dall’Amministrazione resistente” scrivono i giudici del Tar Liguria.

“La prima deduzione difensiva, con la quale si lamenta l’incompetenza del dirigente comunale all’adozione del provvedimento di diniego di installazione delle macchine di raccolta di gioco lecito di tipo “videopoker” relativamente agli aspetti disciplinanti la relativa localizzazione ai sensi della LR nr. 17/2012, va respinta con semplice richiamo alla sentenza nr. 158/2013 che ha già chiarito come tale competenza sussista ai sensi dell’art. 107 TUEL, applicabile al caso di specie trattandosi di atto ampliativo della preesistente autorizzazione commerciale per la rivendita di alcuni generi di monopolio e riconducibile al genus di cui all’art. 86 del RD 773/1931.

La seconda deduzione difensiva, secondo cui la disciplina di cui alla LR n. 17/2012 non troverebbe applicazione per le rivendite di tabacchi, è infondata, attesa la circostanza ampiamente evidenziata negli scritti difensivi del Comune di Genova, secondo cui la medesima LR distingue espressamente tra “sale giochi” e “gioco lecito nei locali aperti al pubblico” (cfr. art. 1, comma 2, che disciplina l’ambito di applicazione) e si propone, tra i suoi obiettivi, di regolamentare la distribuzione delle apparecchiature per il gioco lecito sul territorio, nell’ambito delle competenze spettanti alla Regione in ordine alla tutela della salute e delle politiche sociali, al fine di prevenire il vizio del gioco anche se lecito, condizioni, queste, cui è del tutto razionalmente preordinata una disciplina uniforme che non avrebbe senso limitare esclusivamente alle sale giochi solo perché le rivendite dei tabacchi hanno già, nel proprio patrimonio, la possibilità di rivendere altri generi di giuochi e scommesse (che non sono omogenei a quelli per cui è causa, considerate le differenze strutturali anche in termini di impatto psicologico individuale sull’utenza).

Questi ultimi argomenti conducono il Collegio a dover ritenere la manifesta infondatezza dei vari profili di incostituzionalità della norma che sono stati prospettati dalla parte ricorrente e che quest’ultima ripropone assumendo che non sarebbero stati trattati nella sentenza della Corte Costituzionale nr. 300 del 10 novembre 2011.

In particolare, è manifestamente infondato il primo motivo di illegittimità dedotto al capo nr. 4 del ricorso, con il quale si contesta la razionalità della previsione legislativa nella parte in cui colpirebbe immotivatamente le rivendite dei tabacchi che già operano in settori di gioco (come le lotterie, i gratta-e-vinci etc.) a discapito di altri locali, e con il quale si contesta altresì che la limitazione dei 300 metri dai luoghi di culto implicherebbe discriminazione religiosa: in tutta evidenza, la limitazione spaziale non colpisce alcune rivendite a discapito di altre, ed è ispirata alla tutela di determinati luoghi solo in ragione della normale utenza che vi fa capo, con evidenti implicazioni di ordine sociale che non assumono a proprio oggetto di tutela protezione di sentimenti religiosi o altri presupposti discriminanti.

Che poi l’uso delle macchine sia interdetto ai minori degli anni 18, come prospetta parte ricorrente, non ha attinenza con la disciplina delle distanze da luoghi come le scuole, dal momento che quest’ultima attiene ad un diverso profilo inerente profili di salvaguardia fattuale degli interessi che il legislatore vuole tutelare.

Analoghe considerazioni vanno quindi svolte per l’ulteriore aspetto di irrazionalità della legge che secondo parte ricorrente (al punto 4.2 del ricorso) sarebbe da ravvisarsi nella indimostrata incidenza delle distanze sulle esigenze di protezione della sicurezza urbana, viabilità, inquinamento acustico e quiete pubblica: l’installazione di macchine da gioco, già in tesi, è volta ad aumentare i servizi rivolti alla clientela delle rivendite come quella del ricorrente, e dunque astrattamente idonea ad incidere sulla quantità della clientela, con conseguente non manifesta irrazionalità della disciplina regionale.

Quanto sopra indicato circa la corrispondenza tra la disciplina delle distanze e le finalità di prevenzione sociale che la legge esplicitamente raffigura consente poi di respingere l’ultimo argomento con il quale parte ricorrente vorrebbe evidenziarne l’illegittimità costituzionale, perché non sussiste alcuna interferenza in profili di legislazione statale, che assolve invece ad altri requisiti di tipo soggettivo e di tutela dell’ordine pubblico.

Da ultimo va affrontato l’ argomento di censura secondo cui la disciplina delle distanze di cui alla LR in esame sarebbe inerente la materia della disciplina tecnica di rilievo comunitario.

Anche tale argomento di censura va respinto, dal momento che la disciplina tecnica afferisce alla dimensione ontologica del prodotto e delle sue caratteristiche di offerta, non alla localizzazione che è questione esterna ad esso e meramente territoriale, quindi estranea alle materie indicate.

Per tutte queste ragioni, dunque, il ricorso è infondato e va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente alle spese di lite che liquida in euro 2.000,00”. lp/AGIMEG