Bando Lotto, dopo la sentenza della CGE la questione torna al Consiglio di Stato. Ecco tutta la vicenda

La Corte di Giustizia Europea ha emesso questa mattina la sentenza sulla causa promossa dalla StanleyBet contro il bando del Lotto, giudicando legittima la decisione di affidare un’unica concessione. Di per sé conformi al diritto comunitario anche le clausole sulla decadenza della concessione e la base d’asta di 700 milioni, ma dovrà essere il giudice nazionale a verificare se di fatto abbiano ridotto la concorrenza.

La gara si è svolta in Italia tra il 2015 e il 2016, in palio – a differenza degli altri giochi – non c’era la raccolta la raccolta del Lotto in sé, ma la gestione di una serie di servizi come il collegamento telematico delle ricevitorie, le estrazioni e il pagamento delle vincite. A aggiudicarsela fu l’unico soggetto a partecipare alla gara – la cordata formata dal concessionario uscente (Lottomatica) con IGH, Arianna 2001, e Novomatic – con un’offerta di 770 milioni di euro.

‎Il bando venne però impugnato dalla Stanleybet che criticava una serie di aspetti, come gli elevati requisiti di solidità economica richiesti ai candidati, o l’inserimento della clausola di cessione gratuita della rete (clausola che nel caso delle scommesse era già stata bocciata dalla Corte di Giustizia con la sentenza Laezza). Ma soprattutto la decisione di mettere a gara un’unica concessione, quando invece il servizio poteva essere affidato a più soggetti in competizione tra loro. Stanley in sostanza puntava a offrire il Lotto nella propria rete di Ctd, paragonandolo a una scommessa sull’esito delle estrazioni.

Il Tar Lazio, nell’aprile 2016, respinse in toto le argomentazioni della Stanley, ritenendo pienamente giustificata dalle peculiarità del gioco la scelta di assegnare un’unica concessione. Inoltre, spiegavano i giudici di primo grado, un modello multiproviding “renderebbe comunque necessaria la presenza di un “superconcessionario” (o, quantomeno, la costituzione di un’apposita struttura di collegamento presso l’ADM) per coordinare le attività dei diversi operatori. Per il Tar poi le condizioni economiche non erano eccessivamente restrittive, visti i numeri del gioco.‎ Infine, gli operatori che da soli non avevano i numeri per partecipare, potevano comunque ricorrere al raggruppamento temporaneo di imprese, come del resto aveva fatto anche il concessionario uscente. Legittima infine anche la clausola sulla cessione gratuita della rete che – al contrario di quella del bando delle scommesse – “precisa i termini, le modalità e l’oggetto della cessione non onerosa al termine della concessione”.

A rimettere la questione alla Corte di Giustizia è stato il Consiglio di Stato circa un anno dopo. Le questioni pregiudiziali riguardano la scelta del modello monoproviding; l’entità della base d’asta (“di gran lunga superiore ed ingiustificata rispetto ai requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativi” richiesti ai candidati); e la clausola che avrebbe impedito alla Stanley di raccogliere le scommesse. Il bookmaker infatti – per le scommesse in agenzia – non ha mai partecipato alle gare, ma è sempre riuscito a dimostrare che i bandi italiani contenevamo delle norme discriminatorie. Come in altri bandi, anche quello del Lotto però imponeva di rinunciare alle attività irregolari.

Nell’udienza del 6 giugno scorso di fronte alla Corte di Giustizia, l’Avvocatura di Stato ha però sottolineato che questa clausola scatta solamente nel caso in cui l’aggiudicatario commetta irregolarità inerenti l’oggetto della concessione, quindi nella gestione del Lotto, e non si applica invece per i comportamenti tenuti nella raccolta di altri giochi. La stessa Stanley, del resto, detiene una concessione italiana per i giochi online che non è mai stata messa in discussione, nonostante i procedimenti penali avviati per la raccolta parallela delle scommesse a terra. Il bookmaker da parte sua ha sottolineato che la clausola attribuisce all’ADM un potere discrezionale ampissimo, rendendo la partecipazione alla gara eccessivamente aleatoria. E questo, insieme agli stringenti requisiti economici, ha reso di fatto impossibile l’accesso al credito.

Adesso la questione tornerà al Consiglio di Stato che dovrà decidere sul ricorso intentato dalla Stanley seguendo le indicazioni e le richieste della Corte di Giustizia. gr/AGIMEG