Tra nuovi divieti di apertura il Recovery plan dimentica il gioco. Il documento governativo non prende in considerazione il comparto dell’intrattenimento e contiene solo fugaci riferimenti alle concessioni statali e alla digitalizzazione della PA.
L’art. 1, comma 10, lett. l), del D.P.C.M. 14 gennaio 2021, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, prevede che sull’intero territorio nazionale sono sospese le attività di sale giochi, sale scommesse, sale bingo e casinò, anche se svolte all’interno di locali adibiti ad attività differente.
Il D.P.C.M., in vigore dal 16 gennaio 2021 al 5 marzo 2021, sostituisce, senza soluzione di continuità, il D.P.C.M. 3 dicembre 2020, che conteneva analoga disposizione.
La formulazione della norma, che non brilla per chiarezza, sembra volersi riferire:
a) alle sale VLT, alle sale Bingo e alle Sale Scommesse;
b) alle attività di gioco che vengono svolte all’intero delle predette sale (quindi, scommesse, apparecchi da intrattenimento, Bingo) anche se offerte in locali diversi dalle sale, come Bar, Tabaccherie, Ristoranti ed altro (ad esempio, sono colpiti dal divieto il gioco mediante AWP offerto presso bar e tabaccherie e i “corner”).
Il gioco che si svolge nei locali c.d. “specialistici” e quello sopra indicato che viene prevalentemente offerto presso bar e Tabaccherie, viene, quindi, colpito in modo indiscriminato, sebbene tra il gioco del Bingo (dove, come è stato di recente autorevolmente sostenuto, “per giocare … devono esserci più persone contemporaneamente…”) e la puntata di una Scommessa vi sono delle differenze sostanziali. In una Sala Scommesse, infatti, si può entrare uno alla volta, effettuare la Scommessa, ritirare lo scontrino ed uscire dal Locale. La Scommessa può essere giocata agevolmente anche nei “corner” (Bar o Tabacchi), dove si entra magari per acquistare altri prodotti o consumazioni da asporto e si potrebbe effettuare una scommesse in sicurezza (tempo di durata, pochi secondi).
Tra attività essenziali, attività non essenziali ma di serie A e attività di serie B, il comparto del gioco è considerato di “terza categoria” (nel calcio è l’ultima categoria dei dilettanti), come se gli addetti impiegati nel settore non avessero anche loro una famiglia, il mutuo, le bollette, ecc.
Del resto, anche nel “Piano nazionale di Ripresa e Resilienza” (Recovery plan), approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 gennaio scorso (v. il sito istituzionale del Ministero dell’economia e delle finanze) tutto il comparto dell’intrattenimento, esclusa qualche eccezione, non viene considerato.
L’unico riferimento che può cogliersi nel riferimento al gioco si trova nel paragrafo “Le riforme che accompagnano l’Italia sul sentiero della ripresa e della resilienza” (pag. 15), dove si afferma, quanto alla promozione della concorrenza, che verrà introdotta “anche una riforma delle concessioni statali che garantirà maggiore trasparenza e un corretto equilibrio fra l’interesse pubblico e privato, nonché il costante miglioramento del servizio per gli utenti”.
Il fugace riferimento alle concessioni prevede di intervenire in almeno tre ambiti:
a) maggiore trasparenza;
b) riequilibrio tra interesse pubblico e privato;
c) miglioramento del servizio per gli utenti.
Non può quindi escludersi che nell’ambito del riordino del comparto del gioco, previsto nella “Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2020” (pag. 19), vi sia spazio per una revisione, più o meno incisiva, delle concessioni di gioco (del resto, anche nel “Contratto per il Governo del cambiamento” di Lega e 5 Stelle si faceva riferimento, per quanto concerne il gioco, alla necessità di assumere una serie di misure tra le quali la “trasparenza finanziaria per le società dell’azzardo” e la “tracciabilità dei flussi di denaro per contrastare l’evasione fiscale e le infiltrazioni mafiose”).
Per quanto attiene alla “trasparenza” dei concessionari, il comparto del gioco è già molto avanti rispetto agli obblighi previsti, per esempio, in materia di appalti, essendo stabilito che i soggetti che partecipano a gare o a procedure ad evidenza pubblica nel settore dei giochi pubblici, anche on line, dichiarano il nominativo e gli estremi identificativi dei soggetti che detengono, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2 per cento. La dichiarazione comprende tutte le persone giuridiche o fisiche della catena societaria che detengano, anche indirettamente, una partecipazione superiore a tale soglia.
Inoltre, il codice antimafia (art. 85) prevede che per le società concessionarie di giochi pubblici la documentazione antimafia deve riferirsi (oltre che, come per tutte le altre imprese, al legale rappresentante, ai componenti l’organo di amministrazione, ai soggetti membri del collegio sindacale o al sindaco unico), ai soci persone fisiche che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2 per cento, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. Inoltre, nell’ipotesi in cui i soci persone fisiche detengano la partecipazione superiore alla predetta soglia mediante altre società di capitali, la documentazione deve riferirsi anche al legale rappresentante e agli eventuali componenti dell’organo di amministrazione della società socia, alle persone fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano tale società, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti (in pratica, la informazione deve risalire lungo tutta la catena societaria). La documentazione antimafia deve riferirsi, infine, anche al coniuge non separato nonché ai familiari conviventi.
Per ciò che riguarda il “corretto equilibrio fra l’interesse pubblico e privato” è presumibile pensare ad una rivisitazione degli aggi o dei compensi spettanti ai concessionari e/o al livello di tassazione applicabile al comparto, senza dimenticare che già oggi lo Stato, tra imposte, prelievi ed aggi, introita più del 50 per cento dei ricavi lordi (non degli “utili”) della filiera, ai quali si aggiungono le imposte ordinarie che gravano sulle imprese (IRES, IRPEF, IRAP, IVA). rf/AGIMEG