Giochi e scommesse, Agenzia delle Entrate: interpello su errata applicazione dell’inversione contabile e recupero dell’IVA non detratta. Ecco il parere integrale

Uno dei  principali  operatori a livello  nazionale nel settore dei giochi e delle scommesse ha domandato all’Agenzia delle Entrate “se  sia  possibile,  nel  termine  di  due  anni  dalla data del pagamento, presentare istanza di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto versata e non dovuta, originata dall’erroneo assoggettamento ad Iva, tramite il meccanismo dell’inversione contabile, di prestazioni rese da operatori non residenti (comunitari ed extracomunitari), ritenute esenti Iva […]”.

L’istante rappresenta di essere «[…] un concessionario dell’Agenzia delle Dogane  e dei Monopoli […]. abilitata all’esercizio e alla raccolta a distanza di giochi pubblici (c.d. giochi ”online”), ivi incluse le scommesse sportive ed ippiche, […], è presente sia sulla rete fisica dei negozi di gioco sia online. Per effettuare la raccolta delle citate scommesse sugli eventi sportivi, […]  ha  acquistato da terzi una serie di servizi che sono necessari e indispensabili alla stessa raccolta. Con riferimento al trattamento Iva di detti servizi e, in particolare, con riferimento a quelli resi da fornitori comunitari ed extra­comunitari, […] ha applicato,  tramite il meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge), l’Imposta sul valore aggiunto con l’aliquota ordinaria del 22%. Inoltre, a causa dell’indetraibilità dell’Iva, prevista dall’articolo 19, commi 2 e 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, per l’acquisto di beni e servizi afferenti operazioni esenti, […] [n.d.r. l’istante] non ha potuto detrarre l’imposta relativa alle fatture intracomunitarie e autofatture relative ai predetti servizi, annotate nei registri degli acquisti, con la conseguente insorgenza di un debito nei confronti dell’Erario corrispondente all’Iva risultante dalle stesse fatture intracomunitarie e autofatture annotate anche nei registri delle vendite». L’istante riferisce che «A seguito della pubblicazione sul sito internet […] [n.d.r. dell’Agenzia  delle  entrate]  di  alcune  risposte  ad  istanze  di  interpello  (n.  583  del  14  dicembre 2020 e n. 760 del 3 novembre 2021) è emerso che i servizi, che rivestono i caratteri di necessarietà e di indispensabilità per effettuare la raccolta delle giocate online, sono esenti da IVA ai sensi dell’articolo 10 del d.P.R. n. 633 del 1972. Pertanto, è sorto il dubbio che ad analoghe conclusioni si possa pervenire anche per i servizi necessari e indispensabili alla raccolta delle scommesse sportive sia sulla  rete dei negozi fisici sia online. […] [n.d.r. L’istante] ha, pertanto, presentato apposita istanza di interpello a cui è stata fornita la risposta n.   […], pubblicata sul sito internet […] con il numero 477 del 27 settembre 2022). Nella citata risposta è stato chiarito che ”…sebbene la fattispecie in esame abbia  ad oggetto le operazioni relative all’esercizio delle scommesse, giova evidenziare che,  […], i servizi resi dai Fornitori, tramite le relative piattaforme informatiche, nell’ambito della  gestione  delle  scommesse  sportive,  presentano  caratteristiche  e  funzionalità  analoghe ai  servizi  forniti  da terzi  nell’ambito  dell’esercizio  del  gioco a  distanza  (i.e.  online),  in  quanto,  al  pari  di  questi,  elaborano  e  definiscono  i  dati  necessari  per  consentire  ai  giocatori  di  partecipare  all’evento  su  cui  scommettere.  Si  è  dell’avviso,  che,  analogamente  a  quanto  chiarito in  relazione  alle  operazioni  relative  all’esercizio  dei giochi a distanza, possono essere ricomprese nell’ambito applicativo dell’ipotesi di  esenzione in esame tutte le ”attività necessarie e indispensabili per effettuare la raccolta dei citati giochi”. Nella medesima risposta [n.d.r. l’Agenzia delle Entrate] ha, però, anche precisato che ”(…) l’individuazione dei servizi (prestati dai Fornitori della società istante) che, sul  piano tecnico  operativo,  possano considerarsi  funzionali e  necessari alla complessiva  gestione delle scommesse sportive offerte al pubblico […], presuppone un riscontro di circostanze fattuali il cui appuramento esula dalle prerogative esercitabili […] in sede di  risposta all’istituto dell’interpello. Sulla base del quadro normativo richiamato e tenendo  conto della prassi esistente in materia (cfr. inter alia, risposta n. 583 del 14 dicembre 2020 e risposta n. 760 del 3 novembre 2021), spetterà, pertanto, alla società istante, appurare,  sotto il profilo fattuale, quali siano, in concreto, i servizi resi dai Fornitori riconducibili  tra le ”operazioni relative all’esercizio delle scommesse” esenti da IVA nel senso sopra illustrato ai sensi del richiamato articolo 10, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972”». L’istante ha, quindi, affidato ad una società di consulenza aziendale il compito di  individuare  quali  siano  i  servizi  necessari  e  indispensabili  per  la  raccolta  delle  scommesse  e,  dunque,  come  tali  riconducibili  tra  le  operazioni  relative  all’esercizio  delle scommesse esenti da IVA. Pertanto, soltanto all’esito dell’esame condotto dalla     predetta società di consulenza, l’istante ha potuto determinare con esattezza quali siano  le prestazioni alle quali è stata erroneamente applicata l’IVA tramite il meccanismo del reverse charge, e, di conseguenza l’IVA versata e non dovuta.

Ecco il parere integrale dell’Agenzia delle Entrate:

Si premette che esula dalle competenze della scrivente, in risposta all’istanza in  oggetto, ogni valutazione sia in merito alla correttezza dell’aliquota IVA applicata alle prestazioni di servizio ricevute, sia all’effettiva esistenza del credito IVA cui l’istante fa riferimento e alla spettanza dello stesso, restando impregiudicato qualsiasi potere di  controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria. L’articolo  26  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  26  ottobre  1972,  n.  633 (di seguito decreto IVA), dispone che, «2. Se un’operazione per la quale sia stata  emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25. 3. La disposizione di cui al comma 2 non può essere applicata dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si  verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e può essere applicata, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’articolo 21, comma 7. […omissis…] 5.  Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione aisensi dell’articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’articolo 23 o dell’articolo 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa. […]». Ne deriva che il cedente e/o prestatore può ”annullare, modificare o rettificare” ­  attraverso l’emissione di un documento di segno opposto all’originaria fattura, cd ”nota  di credito” ­ un’operazione fatturata e registrata che sia successivamente venuta meno  (in tutto  o in  parte),  o  di  cui  sia  ridotto l’ammontare imponibile  o l’imposta,  ovvero  che risulti errata, rettificando il maggior imponibile e recuperando in detrazione l’IVA a debito (importi che ha l’onere di restituire al cessionario); il cessionario e/o committente  soggetto IVA, a sua volta, ha l’obbligo di computare il medesimo importo tra l’IVA a debito al fine di controbilanciare la detrazione a suo tempo effettuata con riferimento alla fattura oggetto di variazione, riversando così all’erario tale ammontare. Le  disposizioni  appena  richiamate  si  applicano  anche  nell’ipotesi  in  cui  le  operazioni siano soggette all’inversione contabile; il comma 10, del citato articolo 26  stabilisce, infatti, che «La facoltà di cui al comma 2 può essere esercitata, ricorrendo i presupposti di cui a tale disposizione, anche dai cessionari e committenti debitori dell’imposta ai sensi dell’articolo 17 o dell’articolo 74 del presente decreto ovvero dell’articolo 44 del decreto­legge 30 agosto 1993, n. 331, (…). In tal caso, si applica ai  cessionari o committenti la disposizione di cui al comma 5». A  tal  riguardo,  con  specifico  riferimento  agli  errori  nell’applicazione  dell’inversione contabile come quelli descritti nell’istanza, si rammenta che l’articolo 6,  comma  9­bis3,  del  decreto legislativo  18  dicembre  1997,  n.  471,  stabilisce  che   «Se  il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non  imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la  detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi dell’articolo 26, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546». Stante  la  disposizione  appena  citata  ­  avente  natura  procedurale  più  che  sanzionatoria ­ il cessionario/committente debitore dell’imposta può, dunque, correggere  l’errore commesso (applicazione dell’IVA ad operazioni esenti, non imponibili o non  soggette)  tramite  delle  mere  annotazioni  contabili  di  senso  contrario  a  quelle  erroneamente  eseguite  e  che  intende  neutralizzare,  salva  l’ipotesi  in  cui  non  abbia  potuto esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA. In tale evenienza la norma prevede espressamente la possibilità di recuperare l’IVA non detratta tramite il ricorso alla nota di variazione, ove sussistano ancora i tempi di cui al comma 3 dell’articolo 26 del decreto  IVA, ovvero, in alternativa, mediante la richiesta di rimborso ex articolo 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992. Nonostante ad oggi, ai fini IVA, occorra fare riferimento all’articolo 30­ter del  decreto IVA, che replica le disposizioni del rimborso anomalo contenute nel citato articolo 21, resta confermata la possibilità di ricorrere, nel caso di specie, in alternativa  alla nota di variazione, all’istituto del rimborso anomalo. Né valgono, nel caso di specie, le precisazioni più volte ribadite dalla scrivente  in diversi documenti di prassi, ove è stato chiarito che «Per quanto concerne l’istituto  disciplinato dall’articolo 30­ter del decreto IVA, si ritiene che, trattandosi di una norma residuale ed eccezionale, questo trovi applicazione ogni qual volta sussistano condizioni oggettive che non consentono di esperire ilrimedio di ordine generale (nel caso dispecie, l’emissione di una nota di variazione in diminuzione). Deve ritenersi, quindi, che tale  istituto non possa essere utilizzato per ovviare alla scadenza del termine di decadenza perl’esercizio del diritto alla detrazione qualora tale termine sia decorso per”colpevole” inerzia del soggetto passivo. La possibilità di ricorrere al rimborso deve essere riconosciuta, invece, laddove, ad  esempio,  il  contribuente,  per  motivi  a  lui  non  imputabili,  non  sia  legittimato  ad  emettere una nota di variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633 del 1972.» (così la circolare n. 20/E del 29 dicembre 2021, ovvero recentemente la  risposta n. 592 pubblicata sul sito della scrivente il 16 dicembre 2022). I limiti sopra richiamati non ricorrono, infatti, perché, come già precisato, è lo  stesso  articolo  6,  comma  9­bis3,  del  d.lgs.  n.  471  del  1997,  a  disporre  il  ricorso  al  rimborso  anomalo  (ex  articolo  21  del  d.lgs.  n.  546  del  1992,  ora  articolo  30­ter  del  decreto IVA) in alternativa all’articolo 26 del decreto IVA. D’altronde, la coincidenza tra il soggetto debitore e creditore dell’imposta, che  si  verifica  quando  si applica l’inversione contabile, consente  di evitare il  rischio che,  ricorrendo al rimborso anomalo in luogo della nota di variazione, l’IVA rimborsata al  cedente/prestatore  non  sia,  invece,  restituita  dal  cessionario/committente  che  l’ha  originariamente detratta. Resta inteso che, affinché sia rispettata la neutralità dell’IVA ed il rimborso non integri la fattispecie di arricchimento senza causa, durante la fase istruttoria che segue  la richiesta di rimborso, l’istante dovrà fornire prova all’Ufficio competente di non aver detratto l’IVA relativa alle prestazioni ricevute e che la medesima, se imputata a costo, sia recuperata a tassazione. In conclusione la soluzione prospettata dall’istanza, al verificarsi delle condizioni  sopra illustrate, è condivisibile. cdn/AGIMEG