“Managerialità e familismo, relazioni con facilitatori e collegamenti con funzionari che assicurano una rete di sicurezza svelando indagini in corso o con appartenenti all’intelligence, antiche e consolidate relazioni con altre organizzazioni mafiose che all’occorrenza intervengono in una sorta di mutuo soccorso trasversale alle singole mafie». È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza (quasi 800 pagine) del Tribunale di Bologna riguardo alla organizzazione capeggiata da Nicola Femia, che faceva profitti col gioco illegale e che è stata smantellata dalle misure cautelari, nel 2013. Il processo principale, con 23 imputati, si è concluso recentemente con condanne fino a 26 anni. I giudici sottolineano una capacità “intimidatoria, progressivamente affermata con atti concreti (minacce, estorsioni e pestaggi), che ha garantito sempre più soggezione e omertà in capo a chi ha avuto a che fare con l’associazione, vale a dire un potere diffuso e capillare derivante al clan dalla sua sola esistenza e un’ evoluta capacità d’infiltrarsi nel tessuto economico- finanziario anche in regioni in origine estranee all’occupazione da parte delle mafie”. lp/AGIMEG