Rapporto Lottomatica-Censis: “La pandemia ha dimostrato che imporre dure restrizioni al gioco pubblico sposta verso il gioco illegale”

“Gioco legale, gioco illegale, disturbi del gioco d’azzardo e relativi costi
sanitari e sociali devono tutti essere collocati nel loro contesto reale,
allontanando letture che si fondano su prese di posizione quasi ideologiche.
L’irrealismo e l’inefficacia di alcune ricette per combattere il gioco illegale
e la diffusione delle dipendenze da gioco muovono proprio dal rifiuto
ostinato di misurarsi con la realtà, dai numeri ai meccanismi sociali e
culturali che connotano i fenomeni indicati.
I numeri dicono che giocare legalmente è fenomeno di massa, che milioni di
persone giocano con relativa regolarità in modo contenuto, ludico, senza
eccessi o pulsioni incontrollate. Le motivazioni sono soggettive, molteplici e
si modificano anche per ogni singolo giocatore e per ciascun atto di gioco.
Si gioca per divertirsi, per abitudine, per beneficiare di uno stacco mentale
in quotidianità concitate, per coltivare socialità giocando con altri o
semplicemente per poterne parlare amenamente con colleghi o amici, per
coltivare ludicamente un sogno comunque derubricato a impossibile (faccio
questa giocata così poi non lavoro più), come un divertissement che
alleggerisce la routine e allenta la pressione psicologica nel quotidiano.
Tocchi di levità che, se gestiti con la maturità che dimostrano di avere
milioni di persone, altro non sono che un’ulteriore componente dello stile di
vita e mentale con cui gli italiani affrontano la complessità, e a volte la
fatica, del vivere.
Questo è il mainstream del rapporto degli italiani con il gioco legale: per
questo è una forzatura schiacciare questo edonismo responsabile, esito di
una soggettività matura, al ruolo di causa delle forme patologiche, pulsionali
di gioco che generano costi umani, sociali e sanitari.
Fare delle forme patologiche il centro del fenomeno enucleandone la
necessità di misure proibizioniste o orientate a bastonare il gioco legale per
frenare quello pulsionale è errato e inefficace, perché parte da una
rappresentazione estrema e fake della realtà”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma. “Rimettere al centro del gioco legale i comportamenti responsabili di milioni
di persone non vuol dire sminuire le forme patologiche, la necessità di
affrontare efficacemente i disturbi del gioco d’azzardo.
Occorrono strategie multidimensionali che, dalla prevenzione alla fase più
terapeutica, facciano da argine e consentano il roll-back di questa
dipendenza i cui effetti, come noto, colpiscono quote più ampie di persone
rispetto ai giocatori, a cominciare dai familiari.
Le strategie da mettere in campo devono fondarsi sulla responsabilizzazione
individuale e l’empowerment delle persone, creando contesti regolati e
verificabili in cui sia possibile giocare senza rischi, tenendo sotto controllo
le pulsioni, la legittima voglia di trasgressione e le propensioni al gioco.
Ecco perché occorre un salto di qualità nella costruzione di indicatori
personalizzati, applicabili nella concretezza delle azioni di gioco dei singoli,
così da individuare precocemente situazioni a rischio, sulle quali poi
sviluppare strategie e interventi specifici, nel rispetto della privacy.
La letteratura dimostra che per l’online è possibile incrementare indicatori
del livello di rischio di sviluppo di dipendenze a partire dai dati reali di
gioco, elaborando opportuni algoritmi. Tramite questi ultimi sarebbe
possibile in tempo reale, verificati i rischi incombenti, attivare una
interazione coi giocatori.
Sono ipotesi su cui lavorare, sperimentare, che però muovono dalla
consapevolezza che occorre isolare le forme patologiche di gioco, non
annacquarle nell’ordinaria voglia di giocare degli italiani.
Una volta fissata la centralità di strategie di individuazione dello specifico
patologico, si vanno delineando modalità nuove e molto mirate di intervento
anche per la prevenzione sul campo e che, se opportunamente sviluppate e
applicate, potrebbero aprire strade di inedita efficacia per gli interventi
precoci. È ora di mettere da parte l’idea di interventi generalizzanti, che
demonizzano tutto e tutti e che stentano a misurarsi con le specificità molto
concrete delle torsioni patologiche di rapporto con il gioco”, aggiunge. “È evidente, a questo stadio, che misure condizionanti sui luoghi fisici o
comunque generalizzate a impronta restrittiva sono inefficaci o con effetti
molto limitati poiché:
– in tempi di decollo dell’online, e tenuto conto dell’osmosi tra le
varie modalità virtuali e reali di gioco, si tramuterebbero in uno
spostamento di quote di giocatori da una parte all’altra;
– l’esperienza della pandemia ha mostrato che imporre restrizioni sul
pilastro del gioco legale sposta verso il gioco illegale, piuttosto che
verso forme diverse di gioco legale. Se è vietato giocare legalmente
negli esercizi pubblici, è facile che le persone si rivolgano ai circuiti
illegali.
Inoltre, misure restrittive generali rischiano di essere generiche, mentre è
fondamentale promuovere, già in fase di prevenzione, modalità
personalizzate di valutazione del rischio delle persone, colte nel loro
originale rapporto con il gioco.
È il salto di qualità che occorre per un sistema di prevenzione che, dal
sociale al sanitario tramite personale esperto, sia in grado di modulare
contatti, dialogo e intervento sulla specificità irriducibile delle persone.
Sul piano dell’individuazione precoce dei rischi di dipendenza da gioco, ciò
significa puntare su indicatori che possano cogliere il rapporto che sussiste
tra il singolo giocatore e il gioco e, su tale base, promuovere interventi ad
hoc.
Non è un’operazione semplice, anche perché deve fare i conti con la
sacralità della privacy che, man mano che avanza il digitale, diventa un
bisogno sempre più sentito dagli italiani.
Tuttavia, come rilevato, come sta accadendo per altri ambiti e altre tipologie
di dipendenze, sono maturi i tempi per compiere un salto di qualità culturale
e di tecnicità verso un sistema di prevenzione personalizzato, con
individuazione precoce specifica dei casi a rischio”, continua. “L’azione clinica è necessaria ma non sufficiente per affrontare le dipendenze
del gioco: infatti, esse rappresentano un fenomeno con una molteplicità di
radici sociali e culturali che richiedono un’interazione virtuosa tra i tanti e
diversi soggetti che operano nei territori e quelli della sanità.
Il disturbo del gioco d’azzardo si annida nella quotidianità delle persone,
può coesistere anche a lungo con una vita apparentemente normale e sul
piano sociale è un fenomeno che ha sue specifiche forme di manifestazione
già prima che arrivi ad essere clinicamente conclamato.
Ecco perché è importante una mobilitazione reticolare nelle comunità, con
obiettivo il gioco responsabile e, nei casi conclamati, la riabilitazione delle
persone, andando oltre stigmatizzazioni e facili giudizi.
Uscire dalla genericità di inutili allarmismi o di misure restrittive generaliste
o di condanne indifferenziate, per andare sempre più verso un fine tuning
dell’azione di prevenzione e contrasto, è il passaggio decisivo da compiere,
poiché:
– le dipendenze sono fenomeni sociali, ma insediati nella soggettività
irriducibile delle persone: per questo, occorre modulare ogni azione,
preventiva e terapeutica, sullo specifico della persona;
– esiste una tecnicità avanzata, di competenze e di strumentazione, che
se applicata correttamente e in modo diffuso innalza la capacità
sistemica di innescare il roll-back della dipendenza da gioco
d’azzardo”, conclude. cdn/AGIMEG