Donzelli (esperto ludopatie): “Un giocatore su 5 a rischio”

“Dei 15 milioni di italiani che giocano abitualmente, circa il 20% è a rischio di diventare dipendente”. Lo ha detto il dott. Renzo Donzelli, psicologo e psicoterapeuta-gruppoanalista, intervenendo al convegno “Gioco, salute e tutela del cittadino. Verso il modello europeo” che si sta svolgendo al Senato. Donzelli ha sottolineato che  “l’Italia con 18,4 miliardi di euro di spesa effettiva rappresenta oltre il 15% del mercato europeo del gioco e oltre 4,4% del mercato mondiale, nonostante abbia solo l’1% della popolazione mondiale. La spesa pro-capite stimata, per ogni italiano maggiorenne, è stata pari a circa 1.703 euro, nei primi 8 mesi 2012. Tale spesa varia da 2.110 euro a testa in Abruzzo e 2.078 euro nel Lazio, passando a 1.853 dell’Emilia Romagna, per arrivare al minimo di 1.262 euro in Basilicata”. Donzelli è quindi passato all’esame delle percorso che effettua il giocatore patologico. Il primo stadio viene definito  fase “vincente”, in cui  il gioco è occasionale e sostanzialmente rappresenta un rimedio a altri disturbi come la depressione; a fase “perdente”, in cui il gioco diventa solitario, aumentano la quantità di denaro e tempo investiti e in generale il gioco diventa un pensiero fisso, non si riesce a smettere, si registrano perdite prolungate, si utilizzano coperture e menzogne. Si sviluppano insomma i sintomi della dipendenza. Segue quindi la fase di disperazione, caratterizzata dal marcato aumento del tempo e del denaro dedicati al gioco, isolamento sociale, crisi di panico, e comportamenti illeciti. E’ la fase in cui la vita sociale del giocatore subisce i maggiori contraccolpi, spesso si verificano infatti arresti e divorzi. Si passa quindi a una fase “critica”, in cui si nutrono una forte speranza e un desiderio di aiuto. E’ la fase in cui si torna a lavorare e  si pianifica un risarcimento per i debiti contratti. In questo modo si riesce a passare alla fase di “ricostruzione”, in cui migliorano l’autostima e i rapporti familiari, si pianificano nuovi obiettivi, il giocatore prova una maggiore rilassatezza. Infine c’è la fase di crescita caratterizzata da una diminuzione delle preoccupazioni legate al gioco, una maggiore introspezione, e un nuovo stile di vita. Il giocatore patologico, secondo Donzelli, è “un soggetto tanto euforico quanto vuoto, senza facoltà di regolare le proprie pulsioni, in balia della potenza acefala dell’Es, da un lato, e un’evaporazione, contrazione del valore della dimensione della parola. Il risultato è un parlare a vuoto (le parole – diceva un paziente dedito al gioco d’azzardo – sono aria fritta): viene meno la possibilità di accedere alla dimensione simbolica della parola, che nel corso del trattamento psicoterapico assume piuttosto una valenza minacciosa ancorché un’opportunità di crescita. Il giocatore patologico non fronteggia un conflitto tra esigenze pulsionali e ideali sociali, ma assegna un primato incondizionato all’oggetto di godimento, il gioco appunto”. E quindi, citando Anders “il bisogno odierno segue alle calcagna il consumo divenendo, simile alla tossicomania, poiché risponde a imperativi dettati da specifiche merci, quelle merci che hanno la proprietà di produrre bisogni che si moltiplicano”. im/AGIMEG