Decreto Ristori, Calugi (Dir. Gen. Fipe): “Imprese di gioco e intrattenimento definite dal Governo non essenziali, mentre lo sono per PIL e occupazione. L’aumento dei contagi non è riconducibile al nostro settore”

“La Fipe rappresenta il settore della ristorazione, del gioco e dell’intrattenimento e conta 120 mila associati. Lo scorso anno prima del Covid il settore contava 330 mila imprese, 90 miliardi di euro di fatturato con 1,3 milioni di addetti. Oggi la situazione è realmente drammatica, il settore deve affrontare la peggiore crisi dal secondo dopoguerra ad oggi. Nel 2020 stimiamo una perdita di 26 miliardi di euro, senza contare le perdite ulteriori determinate dal nuovo Dpcm che entrerà in vigore domani. Di fatto, da domani 127 mila imprese e 460 mila lavoratori non andranno a lavoro”. E’ quanto ha detto Roberto Calugi, direttore generale FIPE, intervenendo al ciclo di audizioni avviato dalle Commissioni Bilancio e Finanze del Senato, nel corso dei lavori sul decreto Ristori.
“Il settore non sta in piedi, se non si interviene fallisce. Il nostro Ufficio Studi stima 50 mila imprese che chiuderanno in via definitiva e 300 mila persone che perderanno il lavoro, dopo che questo settore ha già perso 100 mila posti di lavoro e 10 mila imprese. Quattro DPCM in un mese non fanno che aggiungere complessità a complessità, non contribuendo alla gestione della situazione sanitaria. A tutto questo per le imprese si aggiunge una burocrazia asfissiante. Spesso le imprese di questo settore sono definite attività non essenziali, invece siamo una componente essenziale con 90 miliardi di euro di prodotto interno lordo, siamo una componente essenziale in termini di occupazione. Inoltre non siamo noi la causa della ripresa contagi, che non è riconducibile al nostro settore. Chiediamo che le nostre imprese di ristorazione e intrattenimento, le più colpite in assoluto dalla pandemia e dalla misure del Governo, vengano considerate come tutte le altre. Segnalo – ha proseguito Calugi – che dopo mesi di sofferenza vediamo che banche indicano le nostre imprese come non affidabili, il che comporta il fatto che ci chiedono fideiussioni accessorie che non siamo in grado di dare. Abbiamo bisogno di liquidità. Non sappiamo quando potremo tornare a lavorare, ma molti di noi, se non si interviene con efficacia, purtroppo potrebbero non riaprire mai”. cr/AGIMEG