Due anni fa il Decreto Dignità che vietava ogni forma di pubblicità sul gioco. Storia, conseguenze, pareri su una delle misure più discusse del governo a trazione Cinque Stelle

Il Decreto Dignità compie due anni. Una delle misure più discusse del governo a trazione Cinque Stelle, che al suo interno contiene il divieto di pubblicità per giochi e scommesse, era stata infatti annunciata orgogliosamente nel luglio 2018 dall’allora Vicepremier Luigi Di Maio: “Oggi grazie al Decreto Dignità la pubblicità del gioco d’azzardo è morta. Siamo il primo Paese europeo a vietarla”. Entrato in vigore il 14 luglio 2018 – il decreto legge fu convertito in legge il 9 agosto dello stesso anno – prevedeva il divieto di pubblicità di giochi e scommesse dal giorno successivo, fatte salve le deroghe per i contratti in essere, che avrebbero potuto continuare ad avere effetto per un ulteriore anno. Dal 15 luglio 2019, di fatto ogni tipo di pubblicità del gioco fu vietata. La misura, secondo le stime del Servizio Studi del Senato, dovrebbe portare nel solo triennio 2019-2021 una perdita di oltre mezzo miliardo di euro di mancato gettito.

Ma come si è arrivati alla nascita del Decreto Dignità? La lotta al gioco d’azzardo è sempre stata uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle, tanto che nell’articolo 9 del Decreto Dignità fu previsto il “rafforzamento della tutela del consumatore per un più efficace contrasto alla ludopatia”. Nel testo vi è il divieto “di qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e internet. Dal 1° gennaio 2019 il divieto si applicò anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni, programmi, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale, comprese le citazioni visive e acustiche e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli, attività o prodotti la cui pubblicità, ai sensi del presente articolo, è vietata. Sono escluse dal divieto le lotterie nazionali a estrazione differita”, come la Lotteria Italia. “L’inosservanza delle disposizioni comporta a carico del committente, del proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e dell’organizzatore della manifestazione, evento o attività, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria commisurata nella misura del 5% del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a euro 50.000”, percentuale successivamente innalzata al 20% a seguito di un emendamento di Fratelli d’Italia approvato in Aula alla Camera a inizio agosto 2018.

Furono numerose le perplessità emerse, soprattutto da parte degli operatori del settore che si rivolsero all’Autorità garante per le Comunicazioni. L’Agcom rispose emanando nell’aprile del 2019 delle linee guida che non cambiarono la natura del provvedimento, ma prevedettero alcune eccezioni al divieto. Secondo quanto stabilito dalle linee guida, marchi e insegne sono legittimi, così come il posizionamento sui motori di ricerca per gli operatori di gioco legali. Resta tuttavia vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, di sponsorizzazione (anche di maglia ed a bordo campo per le scommesse), o di comunicazione con contenuto commerciale del gioco con vincita in denaro effettuata dagli influencer, così come sono vietati gadget brandizzati. Stop inoltre a comunicazioni commerciali, anche se con consenso preventivo: in altre parole, non ha alcuna efficacia il fatto che il giocatore/utente abbia rilasciato un consenso preventivo all’invio di comunicazioni commerciali riguardanti il gioco a pagamento.

Agcom stilò anche una serie di esclusioni dal divieto di pubblicità, come le comunicazioni commerciali ‘business to business’, incluse quelle diffuse sulla stampa specializzata; l’organizzazione di fiere sul gioco a pagamento destinate ai soli operatori di settore; le comunicazioni di responsabilità sociale di impresa, quali per esempio le campagne informative sui giochi vietati in senso assoluto e su quelli ammessi ma proibiti per i minori, sui fattori di rischio a cui sono esposti i giocatori denominati ‘problematici’, sui valori legati al gioco legale, di informativa sul gioco legale, sui corsi di formazione sulla ludopatia riservati agli operatori di gioco; le comunicazioni effettuate sotto forma di citazione del concessionario quale finanziatore di un determinato progetto o iniziativa di carattere sociale e benefico, senza esposizione del marchio o del logo; la televendita di beni e servizi di gioco a pagamento qualora l’offerta di gioco a pagamento su mezzo televisivo rappresenti l’oggetto della concessione per l’esercizio dell’attività di offerta del gioco a pagamento rilasciata dall’Agenzia delle dogane e dei Monopoli e contestualmente qualora la televendita sia finalizzata esclusivamente alla conclusione del contratto di gioco, consti della mera esecuzione del gioco stesso e non contenga alcun riferimento né abbia natura promozionale.

Le linee emanate da Agcom non piacquero tuttavia al vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, che affermò come le linee guida annacquassero il Decreto Dignità in tema di giochi. “Ricordate il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo? L’Agcom, che è l’autorità per le comunicazioni, ha annacquato il divieto”, affermò Di Maio nel luglio 2019, invitando i vertici dell’Autorità a dimettersi. “Invito i signori dell’Agcom a dimettersi: a loro non sta a cuore la vita dei ragazzi e delle loro famiglie, ma evidentemente si occupano di altri interessi. Tanto a settembre (2019 ndr) cambieremo i vertici”.

Quali furono le conseguenze economiche dello stop alla pubblicità di giochi e scommesse? Il divieto di pubblicità ha creato un potenziale ‘buco’ di oltre mezzo miliardo di euro – 550 milioni di euro, secondo i dati del Servizio Bilancio del Senato – nel dettaglio 147 milioni in meno nel 2019 e circa 200 milioni di euro previsti per il 2020 e 2021. In particolare, gli effetti del divieto di pubblicità andarono ad incidere negativamente soprattutto sul gioco online, in quanto il mezzo pubblicitario rappresenta l’unico modo che hanno gli operatori per farsi conoscere dai giocatori e per distinguersi dagli operatori illegali. L’allarme sulle perdite derivanti dal divieto di pubblicità arrivò dalla Nielsen, che stimò un calo di introiti pubblicitari pari a 40-50 milioni di euro nel 2019 e a 60-70 milioni a regime, a partire dal 2020.

Oltre alle rimostranze da parte degli operatori di gioco, perplessità sulla misura introdotta con il Decreto Dignità in tema di gioco arrivarono anche da Vincenzo Guggino, segretario generale dello Iap (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria), che dichiarò come il divieto di pubblicità avrebbe potuto portare addirittura a un peggioramento dell’attuale situazione, in quanto potenzialmente si spingerebbero i giocatori verso situazioni cross border. Antonio Nicita, Commissario AGCOM, affermò invece che “bisogna evitare che eliminando ogni tipo di informazione utile a illustrare il tipo di gioco si finisca per sottrarre elementi informativi essenziali a coloro che intendano comunque giocare. Sappiamo bene quanto questa distinzione sia difficile e per questa ragione abbiamo solo delineato il principio” nelle linee guida. “Vietare la pubblicità non significa vietare il gioco e nemmeno lasciare il giocatore senza informazioni ex-ante. Bisogna evitare quella che gli economisti chiamano selezione avversa, lasciando senza informazioni chi abbia deciso di giocare”. cr/AGIMEG