“Nella breve finestra di riapertura dopo il primo lockdown, tra luglio e ottobre, gli operatori del comparto del gioco pubblico si sono attenuti attentamente ai protocolli di sicurezza predisposti già durante la prima chiusura. Quando a giugno il comparto ha riaperto i battenti, lo ha fatto in piena sicurezza, tant’è che non si registra neanche un focolaio in quella finestra temporale di apertura”. E’ quanto ha affermato l’avvocato Geronimo Cardia, Presidente Acadi, nel corso della diretta con il direttore di Agimeg, Fabio Felici, focalizzata sulle misure da adottare per evitare che il settore del gioco, che sta uscendo lentamente dal secondo lockdown, possa essere nuovamente chiuso.
Da oggi già 7 regioni sono in zona bianca, cosa bisogna fare per fare in modo che il mondo politico non si accanisca nuovamente sul settore del gioco?
“Non dobbiamo commettere errori, affinché non si verifichi un terzo lockdown. Dobbiamo parlare con i responsabili del comparto del gioco pubblico, con i cittadini e con le istituzioni. Dobbiamo raccomandare di continuare a rispettare i protocolli di sicurezza e controllare che i cittadini che entrano in spazi di gioco si attengano scrupolosamente a norme che ci siamo autoimposti e che sono state validate da istituzioni scientifiche. Suggerirei anche – ha proseguito Cardia – di monitorare cosa succede nei nostri ambienti, per poter riportare con precisione quanto già accaduto nella prima finestra di riaperture, ovvero che non ci sono stati focolai. Va tenuta traccia di questa cosa, è utile stilare una reportistica in futuro. Noi dobbiamo stare molto attenti per vedere cosa succede in questo periodo di riaperture, essere sicuri che gli operatori rispettino i protocolli, ma che anche le istituzioni si comportino bene. Se i contagi salgono, allora è evidente che dobbiamo aspettarci dei provvedimenti, in quel caso dobbiamo assicurarci che ogni provvedimento venga adottato in base a valutazioni tecnico-scientifiche dei contagi, contrastando da subito ogni provvedimento che sia ideologico”.
“Penso al caso Sardegna, prima regione a diventare bianca – ha ricordato Cardia – ma l’assessorato alla salute e la Regione stessa non hanno mai dato via libera formale al comparto giochi. Oggi è la stessa cosa, nella sostanza c’è una strumentalizzazione e pregiudizio nei nostri confronti. Bisogna attendere un’ordinanza per poter riaprire, anche se la normativa nazionale prevede l’apertura delle attività di gioco qualora si trovino in una regione passata in zona bianca. Altrimenti ci possono essere conseguenze sul piano amministrativo e anche penale. Gli operatori della filiera devono mantenere massima prudenza: il modo migliore è non agire in modo impulsivo e non muoversi autonomamente”.
Dal prossimo 1° luglio l’Italia sarà completamente in zona bianca ed il comparto del gioco sarà nuovamente riaperto: per quale motivo diventa urgente ora una normativa nazionale di riordino del settore?
“Riaprire subito per non chiudere immediatamente dopo è un tema che stiamo affrontando da inizio anno”, ha detto ancora Cardia. “Gli operatori di gioco sanno che le legge regionali, concepite inizialmente con un divieto per le nuove aperture, vengono caratterizzate da un obbligo di delocalizzazione anche per le attività già esistenti. Ma il distanziometro di fatto vieta il gioco nel 98% dei territori, come stiamo vedendo in Piemonte e come accadrà nel Lazio. Vi è una piena consapevolezza della situazione da parte degli operatori della filiera, ma anche da parte dei concessionari, dell’amministrazione locale, come le Questure, e di ADM e del Mef. Inoltre non va dimenticata la parte giudiziaria: ci sono 780 mila ricorsi in tutta Italia relativi ai giochi, ma nessun giudice a quo ha mai mandato in Corte Costituzionale la questione. Vietare il gioco legale nel 99% del territorio di una regione non ha forse un impatto sulle libertà costituzionali? Quindi anche a livello giudiziario vi è una consapevolezza della questione: tra l’altro il Consiglio di Stato un anno fa ha vietato al Mef di indire le gare bingo e scommesse, affermando che la questione territoriale non è ancora risolta”.
In merito alla necessità di un riordino del settore, Cardia ha detto che “un riordino serve, è urgentissimo, ma le tempistiche per una legge sono lunghe, non compatibili con il disastro urbanistico emerso a causa delle conseguenze del distanziometro. I provvedimenti espulsivi delle regioni devono essere sterilizzati, altrimenti gli enti locali devono capire che nel loro territorio vi sarà un’offerta di gioco illegale”.
L’avvocato Cardia ha anche parlato dei contenziosi in tema di aperture. “Evidenzio l’aspetto dei contenziosi, quanto può durare? Quando un’istanza di nuova apertura si scontra con un divieto assoluto, se il divieto va nella direzione del 99% di espulsione del gioco legale, va valutato l’aspetto espulsivo sulla totalità dei territori. Il CdS – dopo aver preso atto che ci sono stati molti Tar che hanno detto che senza il decreto del Mef l’Intesa Stato-Regioni non puo’ essere attuata – ha suggerito di valutare come cogenti i principi fondamentali. Dunque se non è obbligatoria l’applicazione dell’Intesa, lo sono i principi generali in essa contenuti, in quanto vi è stata nel settembre 2017 una volontà univoca tra Stato e Regioni nel regolamentare il settore. Come accaduto sul fronte degli orari, la stessa cosa deve accadere per il distanziometro”.
Cardia chiude il suo intervento con un’autocritica: “Tutti sappiamo che il divieto assoluto per le nuove aperture è stato introdotto tra il 2010 e il 2011, con un periodo di ‘tolleranza’ di 5 anni: chi ha cercato di aprire si è visto chiudere la porta in faccia, ma chi già esisteva si è accorto del problema solamente a pochi minuti dalla scadenza, quando in realtà le leggi regionali con effetto espulsivo erano state concepite già da anni. Consiglio a chi lavora sul territorio – conclude Cardia – di considerare se vi sono presupposti per valutare l’illegittimità dei provvedimenti legislativi delle regioni”. cr/AGIMEG