“Il comparto del gioco pubblico italiano, con suoi oltre 100 mila lavoratori, nel suo complesso registra per il 2020 il periodo di chiusura tra i più prolungati del Paese e perdite di gettito erariale da imposte sul gioco di circa 4/5 miliardi. La mancanza di un’offerta pubblica controllata e misurata nei territori ha favorito il proliferare dell’illegalità come ben sottolineato dall’ente regolatore del comparto, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, come di istituzioni governative ed investigative che si occupano dei presidi di pubblica sicurezza”. E’ l’allarme lanciato da Geronimo Cardia, Presidente ACADI, sull’Huffington Post.
“Quanto alle misure di sostegno alla liquidità delle imprese del comparto, al netto del riconoscimento della possibilità di ricorrere alla cassa integrazione, le altre leve al momento riconosciute risultano chiaramente parziali e oggettivamente inadeguate: i rinvii di versamenti di imposte e contributi in alcuni casi non coprono né dicembre né gennaio, il ristoro una tantum, se arriverà, non raggiungerà già denuncia qualcuno neanche il 5% dei costi di un intero anno nei casi migliori, a fronte di perdite di ricavi per oltre il 50%. Senza contare che, ormai esaurite le finestre dei provvedimenti emergenziali di fine anno, la gran parte delle richieste formulate è rimasta senza alcuna formalizzazione, nonostante la chiara presa di posizione pure avanzata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, come per esempio le proroghe delle concessioni, essendo le gare inattuabili per la nota questione territoriale dei provvedimenti regionali di fatto totalmente interdittivi, o la sterilizzazione degli effetti collaterali non voluti della tessera sanitaria, ovvero ancora la non debenza dei canoni extra delle concessioni in proroga nei periodi di chiusura, ovvero ancora della rimodulazione del mal strutturato nuovo prelievo imposto in piena pandemia del cosiddetto salva sport”.
“Ma non è tutto – prosegue Cardia – è di questi giorni anche l’entrata in vigore, non sterilizzata, dell’aumento di tassazione imposto al comparto nell’ultima legge di bilancio ante pandemia approvata a dicembre 2019. Il problema dei problemi adesso, tuttavia, è il prolungamento della chiusura imposta al comparto senza fondate ragioni tecniche, posto che i protocolli adottati dal comparto sono protocolli che assicurano massimi presidi di sicurezza ad utenti e lavoratori ancor più di quanto accada in altri settori: si pensi che il comparto ha prodotti che possono ovviamente essere igienizzati a ogni utilizzo, non consente permanenze incontrollate essendo tutti ambienti circoscritti e presidiati, consente, per struttura, controlli e iniziative anti assembramento sia all’interno dei luoghi di impresa sia al loro esterno al pari di tanti altri attualmente aperti o in regime di apertura controllata”.
“Anche i lavoratori del comparto stanno soffrendo molto il momento, avvertendo una disparità di trattamento rispetto ad altre realtà che non può essere digerita. Una considerazione da cittadini di serie B denunciata dalle donne operanti nel settore del Gioco Pubblico scese in piazza a Roma il 12 gennaio di fronte a Montecitorio per chiedere di metter fine alla chiusura del comparto. Uno stop delle attività che dura ormai da 190 giorni e che sta mettendo a rischio il futuro di decine di migliaia di famiglie. Come bene indicato in recenti prese di posizione relativamente ad altri comparti, pur non essendo strettamente essenziale il prodotto o il servizio offerto (perché non è e non può essere solo questo il punto); quel che è essenziale, in piena sicurezza, è salvaguardare i posti di lavoro; quel che è essenziale è la tenuta del sistema pubblico del gioco; quel che è essenziale è la cura di tutti gli interessi costituzionali tutelati. Ci vuole responsabilità, sicuramente, ma ci vogliono anche giustizia, equità e non discriminazione. La chiusura è morte. L’apertura controllata, vigilata e in piena sicurezza è vita”, conclude Cardia. lp/AGIMEG