Ludi Universum, Francesco Colzi (Università di Cassino): “Il Lotto nello stato Pontificio fu un grande fenomeno economico finanziario”

“Lo scopo del contributo è analizzare il gioco del lotto nello Stato pontificio tra XVIII e XIX secolo, con una particolare attenzione all’aspetto economico. Il lotto ha rappresentato un formidabile mezzo di raccolta di denaro che i pontefici seppero proficuamente utilizzare accumulando cospicui fondi monetari senza fare leva sulla pressione fiscale e sul debito pubblico”. E’ quanto evidenziato da Francesco Colzi, dell’Università di Cassino, nell’ambito del convegno a Salerno. “La Curia gestì con acume e lungimiranza gli enormi fondi raccolti andando a produrre notevoli effetti nel sistema economico. Infatti, sebbene il lotto sia un enorme circuito redistributivo a somma zero, nel quale non si crea ricchezza ma la si ripartisce in modo diverso tra i membri dello stesso sistema, sono perspicue le conseguenze prodotte nell’ambito della finanza pubblica ed in quella privata. Non solo i proventi del gioco impinguarono le casse pubbliche, contribuendo a colmare i deficit di bilancio, ma andarono a finanziare due importanti settori per la vita dello Stato della Chiesa: l’assistenza e le opere pubbliche. Inoltre, la movimentazione di denaro avviata dai giocatori contribuì, oltre ad attivare del microrisparmio inerte come era quello destinato al gioco dagli appassionati, ad innalzare la velocità di circolazione della moneta, elemento importante in un paese come lo Stato della Chiesa nel quale la scarsa fluidità del numerario costituiva un ostacolo per lo sviluppo delle transazioni. Infine, il lotto, per la sua essenza socio-culturale, risentiva solo in piccola misura dell’andamento del ciclo economico. Ciò significa che nei periodi di crisi, quando l’organizzazione pubblica aveva difficoltà nel raccogliere le entrate e maggiori erano le uscite, il gioco forniva un sensibile apporto alle casse erariali. Nel XVIII secolo il lotto pontificio fu strettamente legato all’assistenza e, in particolare, all’Ospedale di Santo Spirito in Sassia di Roma, il più importante ente ospedaliero della città. D’altro canto la povertà fu uno dei maggiori problemi delle società europee in età moderna. Il soccorso materiale conteneva sempre un messaggio religioso e politico giacché la Curia si serviva delle opere assistenziali per fini di auto-apologia e per mantenere lo statu quo. Il resto dei contributi finì per finanziare lavori pubblici. Delineare un’elementare analisi costi-benefici dei progetti finanziati dal gioco può essere utile per tracciare una sorta di bilancio degli utilizzi dei fondi anche se il compito non è semplice. Le spese dell’apparato pubblico non si prestano bene alla misurazione monetaria perché esse non si traducono sempre in un immediato vantaggio economico. L’esempio dei monumenti costruiti a Roma è calzante. Spendere centinaia di migliaia di scudi per creare la facciata della basilica lateranense, la fontana di Trevi, l’allestimento dei nuclei espositivi dei Musei Vaticani e dei Musei capitolini ebbe immediati riflessi sull’occupazione e sugli investimenti con l’incremento del reddito secondo il meccanismo del moltiplicatore keynesiano attivato dalle spese pubbliche. Ma gli effetti economici di tali opere si sono estesi ben oltre il breve periodo e basti pensare ai flussi turistici – e quindi reddituali – di cui la capitale continua a godere grazie alla presenza di tali monumenti. Così la vituperata pietrificazione del denaro, talvolta indicata come una delle cause del mancato decollo economico del paese, in un’ottica di lungo periodo diviene una forma di investimento profittevole. In aggiunta, per comprendere gli effetti del gioco sul sistema economico, occorre considerare che i capitali scommessi tornavano per una percentuale compresa tra il 50% ed il 65% ai giocatori sotto forma di premi. Dato che la maggior parte dei giocatori era povera gente, i premi facevano parte di un circuito che in larga misura beneficiava persone appartenenti al medesimo milieu. Il gioco, quindi, aveva una funzione di fluidificatore della ricchezza, mentre era trascurabile l’effetto di distorsione della stessa. In effetti, tenuto conto che i giocatori erano persone che puntavano cifre contenute, è da supporre che tali somme non sarebbero entrate in concorrenza con gli investimenti produttivi o finanziari, ma sarebbero state utilizzate per il consumo o il risparmio. Così è ragionevole ipotizzare che le persone con maggiori disponibilità di denaro scommettessero sui numeri per divertimento, mentre le persone più povere – non essendo in grado di impiegare il poco denaro a disposizione in immobili o nel mercato finanziario – vivessero il gioco come una forma di “investimento” potenzialmente in grado di fornire un’iniezione di mezzi liquidi. In un contesto come quello dell’accidioso Stato pontificio, vincere al lotto poteva essere una soluzione per smuovere la propria condizione economica, quasi che la fortuna fosse un elemento guida di una strategia di autopromozione sociale e finanziaria. Dunque, non vi erano effetti di distorsione di attività economiche, quanto di ampliamento degli strumenti di impiego della ricchezza (con elevata componente aleatoria) a favore soprattutto di coloro che non disponevano di grandi possibilità economiche. Il denaro scommesso, quindi, in assenza del gioco sarebbe stato probabilmente utilizzato in consumi di beni o servizi – fatto che non avrebbe cambiato molto a livello macroeconomico – o sarebbe stato accantonato. Il risparmio dell’epoca, tuttavia, era inserito solo in piccola misura in un canale di istituti finanziari in grado di impiegarlo in modo produttivo. Così, le somme utilizzate nel gioco attivavano parte di quei microrisparmi altrimenti bloccati e li convogliava verso specifiche finalità, provocando un innalzamento della velocità di circolazione della moneta – elemento di primario rilievo in un paese come lo Stato della Chiesa nel quale la mancanza di numerario e la sua scarsa fluidità costituivano un ostacolo per lo sviluppo – e producendo, a ben vedere, un effetto benefico per l’intero sistema economico. Il gioco del lotto rivestì, dunque, un ruolo importante nell’architettura finanziaria pubblica pontificia e produsse effetti di vario tipo sul sistema economico nazionale, anche se è molto difficile stabilirne esattamente la portata. Con il gioco lo Stato riusciva ad assorbire ingenti risorse senza appesantire la pressione fiscale, senza incrementare il debito pubblico, senza che la gente avvertisse questa imposizione e senza creare quegli scompensi tipici nelle variabili micro e macroeconomiche provocati dai tributi. Gli introiti derivanti dal gioco non possedevano, quindi, le tradizionali connotazioni negative delle imposte, in particolare gli effetti di distorsione sulle scelte degli operatori e la riduzione del reddito disponibile”.