Sammartino: “Madgenius” in fuga dall’Italia

Se un napoletano lascia la sua città il motivo per cui prende questa decisione deve essere serio. Dario Sammartino ha fatto questo passo perché Napoli e l’Italia gli stavano strette. Miglior giocatore della classifica Ipoy del 2013, “Madgenius” si è dato alla caccia grossa sicuro che a Nova Gorica e a Las Vegas troverà nuovi stimoli sia live sia online. Cambiano gli avversari, ma questo non mette paura al player campano, che di strada ne ha fatta tanta. Una foto girata sui social network racconta la parabola ascendente sua e di un altro campione, Mustapha Kanit. Due ragazzini che qualche anno fa giravano con pochi spiccioli in tasca e che a gennaio si sono ritrovati alle Bahamas per giocare l’Ept high roller da 25 mila dollari di buy in.

Come si arriva a sedersi ad uno dei tornei più esclusivi al mondo?
“E’ un percorso lunghissimo, iniziato per gioco e reso possibile un po’ alla volta. Un torneo così esclusivo lo puoi giocare se nasci ricco o se ti costruisci una carriera. Io l’ho fatto credendo nelle mie qualità, investendo tempo e denaro ogni giorno da cinque anni. Può sembrare strano, ma il poker è un gioco di sacrifici se vuoi puntare così in alto. Poi va detto che, per sederti tranquillo a queste partite, dovresti avere un roll di 2,5 milioni, ed è per questo che sia io sia Musta (Kanit, ndr) abbiamo venduto parte delle quote del torneo. Solo se giochi con la mente serena puoi vincere. Chi si siede a un tavolo con la consapevolezza che perdere un torneo può rovinare la vita avrà un forte svantaggio”.
C’è stato uno scambio di cinque con un pro particolare o un complimento di un collega che le ha dato maggiore convinzione?
“Da quando ho cominciato ho sempre creduto prima di tutto in me stesso, nella mia intelligenza. Confrontandomi con gli altri, poi, ho rafforzato questa sicurezza, ho capito che non ero il solo a vedere il talento nel mio gioco. Tutti i pro italiani, da Minieri, a Pescatori a Isaia, sono stati prima i miei idoli, poi persone che mi hanno mostrato fiducia e rispetto. Quando anche i big stranieri hanno cominciato a mostrarmi la stessa stima ho capito di essere arrivato al mio obiettivo”.
Ora entra in un casinò e cammina a testa alta. Qual è stato il torneo che l’ha fatta diventare un giocatore di poker?
“Il mio main game non sono i tornei, ma le partite di cash game online. Sono un fuori categoria nei tavoli su pokerstars.it e lo ho mostrato a tutti “massacrando” il livelllo 5-10 (le puntata minime, ndr). Questo è stato il mio vero trampolino di lancio. Poi ho cercato e trovato stimoli diversi nei tornei live, dove giocando meno mani è molto più difficile abbattere il fattore fortuna”.
Sembra una persona che non ha mai paura. Ci deve essere stata però qualche puntata o qualche avversario che le ha fatto letteralmente tremare i polsi?
“Tremare mai. Per me il poker è un gioco e qualsiasi avversario è umano. Avere di fronte qualcuno sulla carta più forte di me non mi fa paura, anzi è uno stimolo. È solo un gioco. La situazione dove mi sono trovato in difficoltà è stato il Main Event alle Wsop di Cannes, nel 2011. C’è stato un momento che non mi scorderò mai. Eravamo rimasti in 18 dopo un torneo per duri, tutti concentrati sui quel primo premio da 1,4 milioni e io in particolare puntavo al braccialetto. Parlavamo di stimoli, giusto? Ecco: io e miei sogni e Chris Moorman che alla mia sinistra era un martello pneumatico, con Erik Seidel pronto a sfruttare ogni mia debolezza. Non avevo paura, avevo voglia di emergere, ma è stata davvero dura e le mie sicurezze sono cadute”.
Miglior italiano nella classifica Ipoy del 2013. Quali sono stati gli step decisivi di questa annata?
“Quando ho iniziato non pensavo alla classifica, cercavo solo di migliorare il mio score nei tornei live. Ho solo cercato di impegnarmi al massimo, cambiando anche gli orari per stare fisicamente bene al tavolo. Quando i risultati sono arrivati allora è diventata una sfida personale. La svolta è giunta con l’Ept di Londra, giocato con un’emozione e un’ambizione che non mi appartenevano. A marcia ingranata è cambiato tutto e ho chiuso un anno mostruoso, con piazzamenti a premi nell’Ipt e i colpi messi a segno alle Wsop. E devo dire che quest’anno è iniziato anche meglio”.
Ha lasciato Napoli per andare a vivere a Nova Gorica. Come mai? Perché tutti scappano dall’’Italia?
“Per tanti motivi. Quando un pro comincia a vivere il mondo live con concrete ambizioni, deve pensare subito a come abbattere la varianza, ovvero ad avere la meglio sul fattore fortuna. Giocare 10-15 partite non è sufficiente, un campione ha bisogno di parecchie decine di tornei per far valere le proprie qualità. In Italia tutto questo non è possibile, vista la tassazione senza senso sulle vincite estere. Non è possibile scaricare le spese e l’erario alla fine dei giochi mette mano persino sulle perdite. Non si può parlare di anomalia italiana, visto che anche gli scandinavi devono combattere con leggi ferree, ma per esempio ai miei colleghi inglesi, tedeschi e sloveni viene riconosciuta un’identità professionale e fiscale come poker pro. Mi domando, ma se in un gioco, impostato così a livello normativo, l’obiettivo di far quadrare i conti a fine anno è impossibile, non rischia, questo gioco, di essere solo un vizio? E poi avevo voglia di farmi valere sui network del .com, sfidando avversari di tutto il mondo. Lì c’è il vero poker, lì potrò trovare gli stimoli che mi fanno amare questa competizione. Finché saremo blindati nei confini del .it non potremo mai sviluppare un livello di gioco più evoluto. Quindi, volendo fare le cose in regola, ho deciso di trasferirmi a Nova Gorica”.
Su quali tavoli cercherà i prossimi avversari? C’è un po’ di ansia da prestazione?
“Affronto la nuova sfida senza paura, anche se so bene che i tavoli 10-20 highstakes non sono uno scherzo”.
E’ stato presentato il calendario ufficiale delle Wsop di Las Vegas. Con quale bankroll si presenterà e quali tornei pensa di giocare?
“Le Wsop non si possono saltare. Giocherò tutti i tornei di Texas Hold’em, tranne il One Drop. Un milione di dollari è troppo, ma potrei giocare quello da 25 mila. Dovrei partire con un bankroll di 70-100mila dollari, ma in generale mi aspetto una grande Italia con Minieri, Kanit, Palumbo, Dato, Castelluccio e tanti altri: il potenziale è enorme”.
Perché il main delle Wsop è al tempo stesso il torneo più importante e quello più facile?
“Le due cose sono collegate. Oltre Oceano le Wsop sono un evento cult e tra gli 8 mila iscritti la percentuale di dilettanti è altissima. Molti cominciano a ‘riempire il salvadanaio’ già a luglio in vista dell’anno successivo”.
Si dice che il buon giocatore è quello che sa ritirarsi? Lei si potrebbe stancare di questa vita?
“Il momento di tirare i remi in barca è ancora ben lontano. Il discorso vale per qualsiasi giocatore, tranne il pokerista. E’ un modo nuovo di vivere il tavolo, perché quelli bravi non punteranno mai tutto in una sola partita. La ‘texana’ ti mette la testa sulle spalle”.
Stanno rinascendo network e federazioni di circoli di poker. Lei che idea si è fatto?
“Penso ci sia bisogno di un movimento compatto, con una quindicina di persone competenti al vertice della piramide e un piano organizzativo imponente. Il poker live può portare posti di lavoro e uno slancio per l’economia italiana. Ma attenzione, per una federazione centrale la cosa non deve essere un business, la passione e la volontà di dare il via a un mercato libero e aperto devono essere le colonne portanti”.
Ha parlato molto dell’importanza degli stimoli. Vale di più l’emozione di vincere fiches o la possibilità di avere un conto in banca superiore alla media?
“Il valore dei soldi l’ho un po’ perso. Non li spreco, ma la mia posizione economica mi permette di togliermi qualche sfizio. Stare al tavolo e vincere, farlo con passione e amore per il proprio lavoro è invece il motore di tutto. Poi le due cose sono collegate: un calciatore vive per il gol o per il conto in banca? La ricerca della vittoria sportiva e l’appagamento economico non si possono separare: lo stimolo è direttamente proporzionale al guadagno”.
Senza il poker ora chi sarebbe?
“Avrei finito di studiare economia e credo che avrei seguito la strada di mio padre nel campo della finanza. In fondo, un po’ l’ho fatto, con i piccoli investimenti mano dopo mano”.