Tar Campania, Legittimo diniego 88 Tulps ai parenti degli affiliati a clan malavitosi

“La correttezza dell’attività di raccolta e trasmissione di scommesse potrebbe fondatamente essere attentata dal contesto malavitoso che contraddistingue stretti familiari dei ricorrenti, dovendosi dunque ritenere sussistenti gli estremi per un sicuro rilievo negativo della propria personalità in termini di inclinazione alla illegalità”. E’ quanto scrive la Quinta Sezione del Tar Campania (sede di Napoli), nella sentenza con cui ha respinto il ricorso intentato da due persone contro il diniego di licenza. Al centro del ricorso un decreto del Questore di Caserta, motivato dai rapporti di parentela che i soggetti richiedenti hanno con alcuni affiliati al clan dei Casalesi. Il diniego della licenza ha infatti l’obiettivo di “prevenire la commissione di reati e, in generale, di fatti lesivi della pubblica sicurezza, con la conseguenza che il detentore deve essere persona esente da mende o da indizi negativi”. Il Collegio ricorda che “i requisiti attitudinali o di affidabilità dei richiedenti di tali licenze devono sempre essere desunti da condotte del soggetto interessato, anche diverse da quelle aventi rilievo penale e accertate in sede penale, ma devono essere significative in rapporto al tipo di funzione o di attività da svolgere, non essendo ammissibile che da episodi estranei al soggetto finiscano per discendere conseguenze per lui negative, diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dalla”. E l’Amministrazione, nel corso dell’istruttoria per il rilascio della licenza di pubblica sicurezza ex 88 Tulps, “non può limitarsi ad evidenziare, ad esempio, solo la sussistenza di ostativi vincoli di parentela con persone pregiudicate senza, in concreto, valutarne l’incidenza in ordine al giudizio di affidabilità e/o probabilità di abuso nell’uso della licenza”. E che la valutazione del pericolo che si faccia abuso della licenza “pur fondandosi legittimamente su considerazioni probabilistiche, non può prescindere da una congrua ed adeguata istruttoria, della quale dar conto in motivazione, onde evidenziare le circostanze di fatto che farebbero ritenere il soggetto richiedente pericoloso o comunque capace di abusi”. Ma Amministrazione e Prefetto, nell’iter per il rilascio della licenza, godono di un potere discrezionale. L’Amministrazione, infatti, deve “valutare con il massimo rigore qualsiasi circostanza che consigli l’adozione del provvedimento di revoca di un’autorizzazione di polizia, potendo esercitare il suo potere nel rispetto dei canoni tipici della discrezionalità amministrativa, sia sotto il profilo motivazionale che sotto quello della coerenza logica e della ragionevolezza”. Nella motivazione, però, deve dare conto “dell’adeguata istruttoria espletata al fine di evidenziare le circostanze di fatto in ragione delle quali il soggetto richiedente sia ritenuto pericoloso o comunque capace di abusi”. Il Prefetto, invece, “ha un potere ampiamente discrezionale per valutare con il massimo rigore qualsiasi circostanza che consigli l’adozione del provvedimento di divieto o di revoca della detenzione stessa”. gr/AGIMEG