Scommesse, Tribunale del Riesame di Roma annulla sequestro a Stanleybet di 56 milioni di euro

Il Tribunale del Riesame di Roma, con ordinanza depositata ieri 13/11/2014, ha annullato il decreto di sequestro preventivo disposto sul conto corrente della Stanleybet e sui beni del dott. Garrisi. Con una ricostruzione precisa ed ineccepibile, il Tribunale, in accoglimento delle argomentazioni dei difensori, avvocati Daniela Agnello e Roberta Feliziani, ha dichiarato insussistente il fumus del reato ipotizzato, escludendo sia la sussistenza di una stabile organizzazione occulta di Stanleybet, sia l’esistenza dell’intento di evadere le imposte. Il nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma – si legge in una nota della società di Liverpool – nel marzo di quest’anno aveva
avviato una vasta indagine su tutto il territorio nazionale, giungendo alla conclusione dell’esistenza di una stabile organizzazione occulta a direzione unitaria di mezzi e persone individuate nei centri trasmissione dati e nella rete dei managers della Stanleybet. L’indagine si era sviluppata con intercettazioni, sequestri e varie dichiarazioni di soggetti informati sui fatti, quali esponenti dei Monopoli di Stato, ex dipendenti di Stanleybet e altri soggetti a vario titolo coinvolti con la società. La Procura di Roma, ipotizzando un’interposizione fittizia di società operanti in Stati Esteri con precise finalità di elusione fiscale, aveva chiesto il sequestro preventivo per equivalente del conto corrente della società di Liverpool per un importo di 56 milioni di euro o, in via subordinata, dei beni e dei conti correnti del dott. Garrisi, quale titolare della società, per il reato di associazione per delinquere finalizzata all’omessa dichiarazione dei redditi prodotti in Italia. Già il Giudice delle Indagini preliminari, nell’accogliere le richieste della Procura, aveva escluso il reato associativo. La Stanleybet ha però dimostrato:

1) che i CTD e i managers svolgono un’attività preparatoria e ausiliaria rispetto alla gestione delle scommesse;
2) che le società del gruppo – Stanleybet Malta e Stanley International Betting – adempiono regolarmente e in piena trasparenza gli obblighi fiscali nel Paese di appartenenza e che anche la società Maltese paga le imposte nel Regno Unito;
3) che non è possibile accusare la Stanleybet di aver creato una stabile organizzazione quando è sotto gli occhi di tutti che nei passati 15 anni, fin dal 2000, tale società è stata avversata in tutti i modi nel suo tentativo di ‘stabilirsi’ in Italia;
4) che per il riconoscimento dei diritti della Stanleybet e della loro conformità all’ordinamento comunitario e nazionale si sono rese necessarie, in 15 anni di attività, circa 2000 pronunce dell’A.G. italiana e 5 sentenze della Corte di Giustizia Europea.
È veramente singolare pretendere ora, dopo 15 anni, che in tale arco di tempo il Gruppo Stanleybet avrebbe dovuto adempiere in Italia a tutti quegli obblighi di dichiarazione e versamento delle imposte, che invece presuppongono uno stabile riconoscimento della liceità dell’attività da essa esercitata. Un riconoscimento, tuttavia, che non è mai arrivato dalle autorità italiane, che finiscono quindi per entrare in contraddizione con se stesse. Il Tribunale ha ritenuto le argomentazioni difensive pienamente fondate. Il Giudice di Roma ha confermato, nella sua ordinanza, che “È documentalmente dimostrato che SML [Stanleybet Malta] e SIBL [Stanley International Betting Liverpool] adempiono regolarmente gli obblighi fiscali nel Regno Unito; e che Garrisi aveva avviato, nel 2013, un tentativo di definizione del contenzioso pendente con l’Amministrazione dei Monopoli di Stato (AAMS), in relazione al pagamento dell’imposta unica sui giochi; rimasto senza seguito per il perdurare dell’attività di contrasto nei riguardi della Stanleybet, sfociata in nuovi sequestri e procedimenti penali”. Il Tribunale – conclude la nota – ha poi precisato che “È ragionevole ritenere, a tale stregua, che se Stanleybet ottenesse riconoscimento definitivo della liceità dell’attività di scommesse svolta in Italia (cui aspira), adempirebbe anche qui agli obblighi fiscali – e può condividersi la perplessità difensiva sulla pretesa tributaria dello Stato avanzata nei confronti di un’impresa il cui stabilimento in Italia, per converso, è sempre stato ritenuto illegittimo”. lp/AGIMEG