Lotterie, la Georgia Lottery finisce nella bufera. Accuse di razzismo nel pagamento dei premi

La Georgia Lottery Commission finisce nella bufera per le indagini condotte sui vincitori dei premi al di sopra dei mille dollari, l’accusa – secondo alcuni avvocati che hanno adesso intentato delle cause milionarie – è che di fatto abbiano portato a una serie di discriminazioni nei confronti dei nativi americani, e i cittadini di origini asiatiche o ispaniche. Dall’adozione delle policy di controllo – nel 2014 – la lotteria non ha pagato circa 300 premi per un valore complessivo di 17,1 milioni di dollari. In diverse occasioni – si sostiene nelle cause – non c’era alcuna prova di truffa. Il 63 per cento delle vincite non pagate è stata centrata da nativi americani, cittadini di origini asiatiche o ispaniche. Il sospetto è che nella maggior parte dei casi la Commissione abbia dato troppo peso alle omonimie, il 23% dei vincitori che non ha riscosso i premio ad esempio aveva come cognome Patel. La Commissione ovviamente respinge ogni accusa, e spiega che i controlli vennero istituiti dopo aver costatato che alcuni giocatori reclamarono vincite a ritmi statisticamente impossibili. Ma Mark Spix – uno degli avvocati che sta patrocinando le cause – sottolinea che, per certificare una vincita, i commissari della lotteria effettuano un colloquio  con i vincitori, le domande però non vengono registrate e non ci sono degli interpreti, in sostanza non c’è alcuna prova del fatto che i fortunati abbiano capito cosa viene loro chiesto e che abbiano risposto con piena consapevolezza. Una delle cause in questione riguarda una vincita da 5 milioni di dollari, anche in questo caso la fortunata, porta il cognome Patel. Il premio non è stato pagato perché, nel colloquio, la donna ha spiegato di aver comprato il biglietto in occasione del compleanno della figlia (il 7 giugno), il lotto da cui il tagliando proveniva tuttavia sarebbe stato messo in commercio solo una settimana dopo. Gli avvocati sottolineano però che la donna parla solo Gujarati, la lingua dei Parsi dell’India, e al colloquio non era presente un interprete certificato. La donna in realtà non avrebbe capito nemmeno il senso del colloquio. rg/AGIMEG