Direzione Nazionale Antimafia “Almeno 200 mila apparecchi illegali e nelle mani delle mafie”

La Direzione nazionale antimafia ha diffuso una stima allarmante: tra le379mila newslot e le 40mila videolottery autorizzate, ce ne sarebbero almeno 200mila illegali. Clandestine perché scollegate dalla rete telematica, o perché contengono schede manomesse, o perché importate dall’estero senza essere registrate. Per i padrini valgono oro. “Generano un utile di 10 miliardi di euro all’anno», sostiene Diana De Manino, sostituto procuratore antimafia. Nicola “Rocco” Femia trafficava con le schede elettroniche truccate, «quelle con le serigrafie belle, capisci a me!», diceva ai clienti. Il 23 gennaio scorso i finanzieri dì Bologna lo arrestano, gli sequestrano un patrimonio da 90 milioni di euro e mettono i sigilli a 1.500 videolottery da lui distribuite in tutto il Nord e il Centro Italia. Un’armata di apparecchi, alcuni regolari, molti truccati, quasi tutti scollegati dalla rete e quindi invisibili al fisco. Perché era questo il vantaggio di avere le slot di Femia, imprenditore «affiliato — si legge nell’ordinanza di arresto — alla cosca Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica». Consentivano di versare la metà delle tasse dovute ai Monopoli. Se ne sono accorti i periti ingaggiati dalla procura, quando hanno smontato due slot machine contraffatte dal boss calabrese e piazzate in due bar a Cerveteri e a Torino. «Su 33 euro inseriti — scrivono i tecnici — gli apparecchi ne conteggiano solo 15». Dunque, giocando mille euro, la scheda alterata con gli “abbattitori” comunica ai Monopoli poco meno di 500 euro. Solo su questi sono calcolate le tasse (13,5 per cento). Il resto è incasso in nero e liquido, diviso tra il titolare del locale e il noleggiatore. In questo caso ancora Femia. Un vero affare, che aveva un prezzo. «II mobile (altro nome in codice perle schede taroccate, ndr) costa 2.000 euro e qualcosa…», diceva Femia. Quelle omologate non superano gli 800 euro a pezzo. L’interesse delle mafie per le slot machine è cresciuto di pari passo a quello degli italiani. Solo nel 2012 la Guardia di Finanza ne ha sequestrate 2.600 illegali, i Monopoli per irregolarità varie ne hanno spente altre 1.400. «All’inizio i clan si accontentavano di estorcere ai noleggiatori — spiega De Martino — si prendevano la metà degli incassi. Poi sono passati alla gestione diretta delle slot nei territori da loro controllati». Come? Infiltrandosi con prestanome e società di comodo tra i 4.000 noleggiatori iscritti all’albo. Sulle macchinette sono stati fondati imperi commerciali malavitosi. E dove c’è un impero, c’è un imperatore. Gioacchino Campolo in Calabria è un nome che conta. Ormai ha 74 anni, ma fino al 2011 è stato il padrone assoluto dei videopoker di Reggio Calabria. Poi – si legge su La Repubblica – è stato condannato in secondo grado a 16 anni di carcere per estorsione. Minacciava gli imprenditori locali, imponendogli le sue slot. Cosi aveva accumulato un patrimonio di 330 milioni di euro. Tra i 260 immobili confiscatigli ci sono una megavilla con venti stanze a Roma, sul colle Aventino, un appartamento a Parigi, decine di case a Reggio Calabria, macchine e automobili. Custodiva pure una prestigiosa pinacoteca con 119 quadri d’autore. Per vent’anni ha avuto il controllo del gioco, ha trasformato la ludopatia in business «sfruttando l’aiuto e la protezione—scrivono gli investigatori —delle ‘ndrine Audino e Zindato, alleate dei Libri-De Stefano». lp/AGIMEG