Cassazione: i PC collegati a siti illegali non sono reato, occorre che vengano usati effettivamente

Per condannare un imputato per gioco illegittimo di gioco d’azzardo è necessario “lo svolgimento effettivo del gioco, e, qualora si tratti di apparecchi automatici da gioco di natura aleatoria, l’effettivo utilizzo dell’apparecchio per fini di lucro, non essendo sufficiente, in tale ultimo caso, accertare che lo stesso sia potenzialmente utilizzabile per l’esercizio del gioco d’azzardo”. Lo ha affermato la Terza Sezione Penale della Cassazione annullando la sentenza di condanna della Corte d’appello di Palermo.

La vicenda è quella del titolare di una sala da gioco che aveva istallato quattro computer che “potenzialmente” consentivano di accedere a una piattaforma  di gioco non autorizzata. Secondo quanto avevano verbalizzato gli agenti di polizia che avevano effettuato un’ispezione, l’uomo aveva assunto immediatamente un atteggiamento sospetto e si era affrettato a digitare dei comandi sul proprio PC, presumibilmente per bloccare l’accesso ai siti dai 4 computer. Le macchine erano impostate per cancellare immediatamente la cronologia della navigazione. Inoltre la sala disponeva di un lettore ottico che secondo gli agenti serviva a accettare le giocate (all’interno erano stati rinvenuti 5 euro) e il titolare era in possesso di 175 euro, anche questi – secondo gli agenti – frutto delle giocate.

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, tutti questi elementi rappresentano dei meri indizi che da soli non bastano a configurare il reato di gioco d’azzardo, visto che mancano “elementi univoci indicativi dell’effettivo svolgimento del gioco”. Nella sentenza spiega infatti che “La Corte d’appello è pervenuta alla affermazione di responsabilità dell’imputato in relazione a detto reato in modo illogico, in quanto ha ritenuto provato lo svolgimento del gioco d’azzardo, mediante gli apparecchi elettronici presenti nel circolo ricreativo di cui l’imputato è gestore, sulla base della astratta potenzialità di tali apparecchi a consentire l’esercizio del gioco, in assenza di elementi univoci indicativi dell’effettivo svolgimento del gioco”. In particolare, per la Cassazione, si è dato troppo peso al fatto che venissero  cancellati i dati di navigazione: questa prassi serve “a evitare la ricostruzione immediata dei siti visitati”, d conseguenza “non può trarsi la conclusione che la stessa sia strumentale all’occultamento degli indizi di attività illecite, potendone trarsene solamente elementi di sospetto in tal senso, ma non anche la prova o indizi dello svolgimento di giochi d’azzardo

In sostanza tutti questi indizi indizi considerati, pur essendo “in grado di esprimere elevata probabilità” del compimento del reato, non sono “precisi” dal momento che possono “essere spiegati anche diversamente”.

La Suprema Corte ha comunque disposto il rinvio ai giudici palermitani “per nuovo giudizio, da condurre alla stregua dei rilievi che precedono per quello che riguarda la valutazione degli elementi indiziari a disposizione”. lp/AGIMEG