Avv. Sbordoni: “Necessaria una presenza pervasiva dello Stato per un sistema complesso ed articolato come quello del gioco”

dai nostri inviati a Salerno – “Il comune denominatore nel caotico mondo delle norme che hanno regolato e regolano il gioco nel nostro paese è l’ipocrisia.  Infatti se guardiamo all’accezione che ha avuto il fenomeno gioco nelle diverse epoche in cui è stato oggetto di normativa, l’esito è negativo. Già i primi legislatori (negli anni ’30) ritennero che questi tipi di giochi dovessero essere vietati dalla legge in quanto descritti come attività immorale e socialmente dannosa, che fomenta la cupidigia di denaro, incentiva l’avversione al risparmio, deprime la dignità della persona e le impedisce di realizzare uno sviluppo armonico della propria personalità. Questo ha portato progressivamente ad ignorare l’esistenza del fenomeno fintanto che fosse gestito da criminali o affini, ed a rimarcare gli aspetti negativi sopra citati ogni qual volta si è dovuto intervenire pubblicamente. Ciò non ha impedito sino a tutt’oggi di mantenerne comunque l’esercizio traendone risorse ingenti”. E’ quanto dichiarato dall’avvocato Stefano Sbordoni nel corso del convegno che si è tenuto all’università di Salerno.
“L ’esigenza ludica in Italia deve poter essere esercitata esclusivamente sotto il controllo del Monopolio statale che gestisce in modo esclusivo ogni forma di gioco pubblico. L’ordinamento giuridico italiano riserva, infatti, allo Stato l’esercizio in via esclusiva delle attività di gioco (Legge n. 496 del 1948). La disciplina dei giochi pubblici spetta, dunque, allo Stato, con esclusione di altri centri di normazione quali le Regioni e le Province. Appare evidente come ancora oggi, manchi all’attualità il dialogo fra i politici, gli studiosi (accademici) e i giuristi, e non ricorrano le condizioni politiche e istituzionali per stabilire dei punti cardine unanimemente avvertiti e per giungere a qualche approdo soddisfacente. A nostro avviso – ha detto ancora l’Avv. Sbordoni – uno dei punti cardine dal quale partire per rivisitare questo approccio, è la concessione in materia di giochi. Questa è, secondo dottrina e giurisprudenza, riconducibile allo schema della “concessione di servizio pubblico”: con tale provvedimento l’autorità concedente demanda a una persona giuridica – concessionario – il compito di esercitare e gestire un servizio pubblico sotto il suo controllo. La concessione costituisce il titolo amministrativo attraverso cui lo Stato conferisce a determinati soggetti le attività e le funzioni pubbliche per l’esercizio dei giochi. Alla luce di quanto sopra, il gioco viene offerto in un contesto regolamentato e tutelato da ADM, veicolato attraverso i concessionari: si tratta quindi di offerta pubblica di gioco lecito.
Il settore dei giochi, visto anche il numero elevato degli operatori impiegati, è intensamente regolamentato e sottoposto ad una congerie di vincoli e disposizioni normative. La ratio di una presenza dello Stato così pervasiva dipende dal fatto che l’organizzazione dei giochi è un’attività che assicura all’erario un flusso di entrate finanziarie aggiuntive rispetto alle entrate tributarie e secondo alcuni rappresenta sostanzialmente il motivo ultimo per il quale i giochi stessi vengono istituiti. Non secondarie sono invece considerazioni dettate dall’esigenza di tutelare fasce di utenza esposte a fenomeni di gioco problematico e, quindi, limitare i potenziali risvolti negativi dal punto di vista sociale, oltre che contrastare qualsiasi forma di gioco illegale.
In questo quadro generale si registrano da qualche anno – con una particolare accelerazione negli anni recenti – domande di chiarezza normativa da parte degli operatori del gioco che si trovano spaesati e spiazzati di fronte ai continui cambiamenti; e purtroppo le contraddizioni ed i conflitti tra norme nazionali e quelle degli enti locali in genere sono sempre più frequenti e non fanno altro che destabilizzare gli operatori e i giocatori stessi.
Il legislatore, a tal fine, aveva avviato nel 2014, con opportuna legge delega, il progetto di racchiudere e razionalizzare tutte le norme sul gioco in un codice apposito. Di fronte alla mole di disposizioni susseguitesi negli anni, il legislatore aveva avvertito il bisogno di riscrivere ex novo la disciplina sui giochi pubblici, invitando il Governo a tal fine a raccogliere e coordinare l’insieme delle norme vigenti in materia, in un unico codice opportunamente redatto. Sarebbe stata un’opera meritoria che però, a distanza di due anni, ancora non riesce a vedere la luce. Un ultimo effetto dell’instabilità che caratterizza l’attività degli operatori del settore, si è avuto con la legge di Stabilità 2015 8 , che ha inciso in senso negativo su posizioni giuridiche già acquisite (concessioni di gioco per la commercializzazione del gioco pubblico di cui all’art. 110, comma 6 lett. a) e b) TULPS) modificando le certezze degli operatori e dando luogo ad una retroattività “impropria”, con ciò vanificando ogni previsione economico finanziaria delle imprese stesse e dell’intero comparto.
I titolari delle concessioni c.d. di rete e tutta la filiera del settore sono stati chiamati a corrispondere il c.d. onere di stabilità pari a 500 milioni di euro; detta disposizione ha dato vita ad un importante contenzioso che è arrivato alla Corte Costituzionale, chiamata a decidere se quanto richiesto a tutta la filiera dell’intrattenimento sia in linea con i principi cardine della nostra Carta Costituzionale. Anche con l’ultima Legge di Stabilità si è cercato di normare il settore. Nella legge di stabilità 2016 che inizialmente era incentrata solo su una revisione del prelievo fiscale, sono state poi introdotte norme per sanzionare l’impiego dei c.d. totem ed avviare un processo di contenimento del numero delle slot machine. Sono state approvate anche disposizioni limitative della pubblicità, con riferimento sia agli orari in cui sono vietati i messaggi pubblicitari nelle tv generaliste.
E’ stato infine attribuito alla Conferenza unificata Stato – autonomie locali il compito di dettare Linee guida sulle caratteristiche dei punti di vendita ove si svolge il gioco pubblico e la loro ricollocazione territoriale. Una delle misure più importanti della Legge di Stabilità 2016 per il settore dei giochi pubblici era, inoltre, il processo di evoluzione tecnologica delle newslot.
Il nuovo decreto tecnico VLT, inviato a fine settembre a Bruxelles per la procedura di notifica comunitaria, quasi un anno dopo la legge di stabilità, è stato reso necessario per definire le linee guida per la certificazione dei sistemi, che non è più esclusiva Sogei ma è stata differita agli enti di certificazione privati. Il decreto VLT, salvo opposizioni, tornerà a ridosso di Natale. Questa è solo una delle tante disfunzioni del sistema legislativo che ruota intorno al settore del gioco pubblico; e se la norma impiega tempo a regolare fenomeni di mercato, quale è quello delle slot machine e delle videolotteries, si creano situazioni di fatto distorte, che producono danni a tutto il comparto e non solo. La domanda da porsi, a questo punto è: esistono dei limiti al potere discrezionale del legislatore? La risposta è affermativa. La domanda per il gioco esiste e va gestita dal legislatore e dalla Conferenza Unificata Stato Regioni, neil’ambito e nei limiti delle proprie competenze, in maniera attenta senza cadere nella trappola del proibizionismo evitando di legiferare a tutti i costi e gestendo efficientemente le problematiche nell’interesse dei cittadini e nello spirito di osservanza alla Costituzione.
Il settore ha conosciuto, nel corso degli ultimi quindici anni, una notevole evoluzione: occorre garantire presidi pubblicistici di regolazione e vigilanza adeguati ad assicurare i primari interessi pubblici sussistenti, ribadendo innanzitutto che i principi cardine della regolazione di tale settore devono essere rappresentati dalla tutela dei giocatori; dal rispetto del divieto di gioco per i soggetti minori; dalla garanzia circa la piena trasparenze della struttura proprietaria e l’operatività dei soggetti concessionari e infine dalla tutela degli interessi erariali.
Il cambio di rotta deve tendere verso due direttrici: da un lato individuare quelle norme “semaforo” che possono, in determinate situazioni di stallo, dettare i tempi del mercato in armonia con il sistema concessorio; dall’altro procedere a rinvigorire la realtà del gioco pubblico italiano introducendo norme che, per mezzo della sperimentazione, consentano al settore di stare al passo con i tempi e con l’attuale sistema globalizzato. Per poter seguire il filo delle due direttrici è necessario in primis salvaguardare l’operatività delle aziende concessionarie quali organi centrali del sistema di gestione pubblica dell’offerta, affidando ad esse lo sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche di rete; successivamente è indispensabile mantenere una capacità di offerta di gioco adeguata alla domanda di mercato e che sia orientata alla prevenzione e non alla proibizione. Gli interventi restrittivi dell’offerta legale degli ultimi tempi, infatti, non proteggono la salute dei giocatori non potendo, in alcun modo, incidere sulle cause alla base della diffusione di fenomeni di consumo di gioco inconsapevole ed incontrollato. Ci si riferisce, nello specifico, alla scelta di dislocazione territoriale del gioco praticato mediante gli apparecchi da intrattenimento, basata su criteri di distanza da categorie di luoghi sensibili, che deriva dalla convinzione che l’emersione del gioco illegale (operata dal Legislatore a fini di maggiore controllo e tutela degli interessi collettivi) e la conseguente espansione del gioco legale generi la diffusione di epidemie d’azzardo.
Questi dictat non sono sufficienti né utili ad evitare il gioco patologico, che dovrebbe essere combattuto potenziando i filtri all’accesso nei luoghi dedicati al gioco e inserendo la mediazione di accesso a tutti i prodotti di gioco offerti nei luoghi non dedicati. A tal fine sarebbe utile introdurre il conseguimento di un “titolo” da parte dell’esercente di gioco, atto a consentire l’acquisizione di un livello base di competenze tecniche e conoscenze normative che garantisca il più adeguato livello di professionalità nello svolgimento dell’attività intrapresa a chi si trova al gradino più basso della filiera del gioco. Attraverso tale strumento, inoltre, potrebbero essere assicurati i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico, della pubblica fede dei giocatori e la prevenzione del rischio di accesso dei minori al gioco. Da ultimo è necessario l’avvio di un percorso di ammodernamento teso a salvaguardare gli elementi costruttivi che caratterizzano il sistema gioco in Italia, correggendo razionalmente, sulla base di dati empirici, gli elementi non più al passo coi tempi. Il mercato impone queste scelte di sensibilità sociale, oltre che di buon governo.
Certo il “mestiere” del Regolatore non è stato e non sarà facile, soprattutto in periodi di crisi come quello che sta attualmente attanagliando l’Europa, e non solo. I prossimi traguardi da raggiungere, per il legislatore con un occhio rivolto al mercato, sono il contemperamento degli interessi dell’Erario e la tutela della salute.
Il difficile esercizio di conciliare la necessità di gratificare maggiormente il giocatore con l’arricchimento dell’offerta, la differenziazione e l’aumento del payout, con la corrispondente necessità di controllo, tutela e contenimento dell’offerta stessa, richiede peraltro una professionalità notevole. Negli scorsi anni l’ampliamento della rete di vendita e l’arricchimento dell’offerta si è reso necessario anche per la necessità di limitare la fuoriuscita di domanda verso gli operatori esteri. Il modello italiano si è perciò affermato sullo scenario internazionale come esempio anche per Stati con tradizioni giuridiche e politiche differenti. Tuttavia il 2013 ha segnato un’inversione di tendenza e i dati relativi all’industria dei giochi sembrano seguire quelli più generali dell’andamento dell’economia europea.
Il quadro del mercato dei giochi con vincita in denaro nei paesi dell’Unione Europea è piuttosto eterogeneo: in generale i diversi settori dell’industria del gioco possono essere considerati mature industries, la cui crescita in termini di introiti è più o meno parallela alla crescita del reddito personale aggregato nei 28 Stati membri.
Il gioco è stato oggetto di molte riflessioni sia dal punto di vista fenomenologico che socio-antropologico. Parecchi studiosi hanno accordato al gioco un ruolo particolare all’interno della vita dell’uomo, rendendolo un tema degno di riflessione oltre che un importante concetto operativo per tematizzare il rapporto fra gli uomini all’interno della società e quello tra gli uomini e gli dei. E’ stato soprattutto Nietzsche che più di ogni altro filosofo ha trattato il tema del gioco presente un po’ in tutti i suoi scritti, da quelli del periodo giovanile fino alle opere della maturità. Il gioco è un fare non serio, un fare “come se” che svincola l’uomo dalla pesantezza della vita reale; dunque è leggerezza, gioia, spensieratezza ed è assoluta libertà della creazione. Se dall’esterno il gioco appare uno svago, un trastullo senza impegno, per chi è dentro il gioco, per chi sta giocando, esso comporta la massima serietà e il massimo impegno. Anche Platone non esitava a comprendere nella categoria del gioco le cose di ordine sacro. “L’uomo gioca …per divertirsi e ricrearsi, sotto il livello della seria vita. Ma può anche giocare al di sopra di quel livello, giochi improntati a bellezza e a senso sacro…”. Anche gli dei giocano, e la rappresentazione idealizzata che noi abbiamo dell’uomo è un dio che gioca. Il problema è allora come giocare divinamente e non diabolicamente.
Dobbiamo capovolgere la prospettiva e vedere nel gioco una risorsa, in termini di libertà, autenticità e creatività, piuttosto che trasformarlo in vincolo patologico e mortifero. Per farlo abbiamo bisogno di una cultura del gioco che lo sottragga ad un ambito di disvalore e quindi contro-culturale. Senza una corretta diffusione di una cultura del gioco come forma di socializzazione, di divertimento e, quindi, di crescita, rischiamo di cristallizzare il gioco solamente nella polarità archetipa negativa stigmatizzata da comportamenti patologici e distruttivi, che creano immobilismo e morte. Non è certamente il regime monopolistico a dover essere bandito.
In conclusione, il sistema normativo italiano – con la sua impronta marcatamente monopolistica, con le sue aporie e contraddizioni – necessita di un organico piano di riforma che, innanzitutto, sia saldamente rispettoso delle libertà fondamentali sancite nel diritto comunitario e risulti decisamente ripulito dalle vetuste incrostazioni di tipo “moraleggiante”. es/AGIMEG